Sakharov: sono diciassette i dissidenti in manicomio di Paolo Garimberti

Sakharov: sono diciassette i dissidenti in manicomio La coraggiosa campagna del fisico russo Sakharov: sono diciassette i dissidenti in manicomio Polemica risposta ad una dichiarazione di ventuno psichiatri russi, secondo cui i "pazzi politici" non esistono - Fra pochi giorni in Urss un convegno di schizofrenia: Mosca teme che il problema vi sia sollevato (Dal nostro corrispondente) Mosca, 4 ottobre. Nel gergo dei «dissidenti» sovietici si chiamano Spetsbolnitsa, forma contratta di Spetsjalnaja Bolnitsa, ospedale speciale: sono le carcerimanicomio, dove vengono internati quei «dissidenti» contro i quali la polizia politica non riesce ad accumulare prove sufficienti per tradurli ir. tribunale sotto l'accusa di «attività antisovietica». Sulla loro esistenza e sui metodi che vi vengono praticati dai «carcerieri in camice bianco» si dispone ormai di precise testimonianze, così copiose da formare una letteratura. Zhores Medvedev, un biologo di fama internazionale, che soggiornò brevemente nel manicomio di Kaluga, ha fornito all'Occidente, in un dramma- tico libro pagato poi molto caro, un'agghiacciante descrizione di queste « cliniche ». Ma per le autorità e la pubblicistica sovietiche lo Spetsbolnitsa non esiste, è un'invenzione della stampa occidentale e della propaganda antisovietica. E, a conferma di questa tesi, la Literaturnaja Gazeta ha pubblicato ieri una lettera di ventuno tra i più illustri psichiatri sovietici, tutti membri della società scientifica di neurologia e psichiatria dell'Urss, i quali dichiarano che (d'internamento degli alienati mentali nelle cliniche psichiatriche viene deciso nella più stretta osservanza della legge» e che le notizie diffuse in Occidente sull'esistenza di «pazzi politici» sono «elucubrazioni calunniose, tentativi di ostacolare la cooperazione internazionale tra i medici». La polemica non è nuova, anzi è più vecchia del regime. Nel 1911, i più noti psichiatri russi sottoscrissero un documento nel quale si negava che 10 zar facesse rinchiudere i propri avversari politici nei manicomi. Ma allora, come ora, queste attestazioni ufficiali urtarono contro la realtà di prove precise e concordanti. Alle testimonianze già esistenti, si è aggiunta oggi quella del fisico Andrej Sakharov, del matematico Igor Shafarevic e del geofisico Grigorij Podjapolskij, membri del semi-illegale Comitato per i diritti umani, fondato tre anni fa dallo stesso Sakharov. In una replica alla dichiarazione dei ventuno psichiatri, distribuita ai giornalisti stranieri, Sakharov elenca diciassette nomi di «pazzi politici» (alcuni dei quali già noti in Occidente, come Grigorenko, Painberg, Borisov, Pljush) e sette città nelle quali esistono «cliniche speciali»: Mosca, Dnepropetrovsk, Sicevsk, Oriol, Kazan, Leningrado e Cernjakovsk. La ragione della pubblicazione della lettera dei ventuno psichiatri sulla Literaturnaja Gazeta (che riapre una polemica certamente dannosa al Cremlino e all'immagine dell'Unione Sovietica all'estero) è probabilmente il fatto che, tra pochi giorni, si terrà a Tbilisi, in Georgia, un convegno internazionale sulla schizofrenia. Molti dei partecipanti stranieri hanno già espresso l'intenzione di sollevare, nel corso del convegno, 11 problema dell'internamento nei manicomi sovietici di persone sane, ma politicamente non ortodosse. Il documento degli psichiatri sovietici — tra i quali figura il professor Georgij Morozov, direttore dell'istituto Serbskij di Mosca, conosciuto come la più terribile spetsbolnitsa — appare dunque come una difesa preventiva contro eventuali accuse dei colleghi stranieri. Ma, proprio riferendosi al prossimo convegno di Tbilisi, Sakharov chiede che gli psichiatri di tutto il mondo intervengano per imporre nell'Unione Sovietica un rigoroso rispetto dei diritti civili e politici dei cittadini, onde evitare ogni abuso medico-legale. Sakharov chiede, ad esempio, che i parenti di persone sottoposte ad esame psichiatrico possano nominare un perito di parte, magari straniero; che la Croce rossa internazionale indaghi sui manicomi sovietici dove gli internati vengono sottoposti a «trattamenti crudeli» (non molto tempo fa, ancora Sakharov denunciò l'uso di droghe sui «pazzi politici» per ridurli in uno stato di impotenza psichica); che alcuni «dissidenti» internati in manicomio vengano sottoposti ad un esame di un corpo speciale di psichiatri internazionali e che un apposito comitato venga costituito, magari in occasione del convegno di Tbilisi, per indagare sulla situazione nelle «cliniche speciali» sovietiche. Con questo intervento, Sa¬ kharov ha assunto ancora una volta il ruolo di «leader» spirituale del «dissenso». Da parecchio tempo, ormai, egli giuoca a carte scoperte contro il regime e molti, a Mosca, si chiedono quale possa essere la sorte di questo fisico nucleare, uno dei padri della bomba all'idrogeno sovietica, che ha praticamente abbandonato ogni attività scientifica per una vocazione politica, nella quale egli sembra essere sempre più isolato. Sebbene la stampa sovietica non perda occasione per sviluppare una campagna denigratoria nei suoi confronti (alla quale egli, talvolta, dà esca con malaccorti interventi, come quello sul nuovo regime cileno), è opinione diffusa che le autorità non oseranno, tenuto conto del suo nome e del simbolo che egli è diventato, arrestarlo e processarlo. Voci sempre più insistenti sembrano indicare che il Cremlino tenterà piuttosto di sbarazzarsi di questo incomodo «contestatore» con un metodo indolore: permettendogli cioè di recarsi all'estero (Sakharov ha già avuto un invito dall'Università di Princeton) per poi ritirargli il passaporto e ia cittadinanza sovietica, come è stato fatto nei confronti di altri due «dissidenti», Andrej Chalidze e Zhores Medvedev. Paolo Garimberti