Una strage d'innocenti di Gigi Ghirotti

Una strage d'innocenti AGLI ULTIMI POSTI NELLA DIFESA DEI BAMBINI Una strage d'innocenti L'Italia ha tristi primati nella mortalità infantile e nell'abbandono degli handicappati Anni fa un inviato speciale del Manchester Guardian venne spedito in Italia per compiere un'inchiesta che aveva per titolo: « Gl'italiani amano davvero i bambini? ». Pareva impossibile, all'autorevole giornale, che nel bel Paese, dove si dice che i bambini godano del più alto tasso al mondo di vezzeggiamenti, d'idoleggiamenti e d'ipernutrizione, potessero anche avvenire episodi come quelli rivelati da decine di processi per infami speculazioni sull'infanzia, come il caso dei « celestini » di Prato o quello di suor Pagliuca di Grottaferrata, per non dire che dei più turpi, del resto conclusi con soavi sentenze di quasi-assoluzione da parte della magistratura. Il luogo comune (gl'italiani sono il popolo che ama di più i bambini in tutto il mondo) uscì penosamente disfatto dall'inchiesta del giornalista inglese: ci sono cinquantamila enti, egli scoprì, che in Italia si occupano di proteggere il bambino. Troppi, francamente troppi perché il bambino non ne debba aver paura. In famiglia e fuori In realtà il fanciullo cammina su un terreno minato, entro il dedalo di potenti interessi occulti che spesso sono in contrasto con i suoi interessi. La riprova è fornita da una recentissima inchiesta, stavolta dovuta a due italiani, e non giornalisti, ma medici: Lucio Rosaia, cardiologo (ma già noto per alcuni saggi-inchieste sulla riforma sanitaria in Italia), e Alberto Zacutti, primario ostetrico. Sotto il titolo Non sparate agli uccellini (Rizzoli editore), gli autori prendono in esame il fenomeno della mortalità infantile in Italia. Le loro conclusioni confermano una situazione che potremmo definire di efferatezza istituzionale consumata ai danni del bambino, sia che viva nel nucleo familiare sia che ne venga escluso, il tutto in ossequio alle leggi vigenti e in conformità a lunghe tradizio-1 ni, tuttora rispettate sebbene abbiano già da tempo finito il loro ciclo vitale. Lo sapevate che muoiono in un anno per enterite più bambini in Italia che in tutto il resto d'Europa? E che in fatto di mortalità infantile solo pochi Paesi in Europa riescono a far peggio di noi (Grecia, Ungheria, Jugoslavia, Portogallo), e che un bimbo che nasca in Italia ha minori possibilità di sopravvivere d'un bimbo che nasca ad Hong Kong, a El Salvador e nell'Uruguay? Una parte considerevole, e forse la più originale ed acuta, dello studio di Rosaia e Zacutti è dedicata all'esame delle statistiche sanitarie dei vari Paesi in rapporto all'indice del loro sviluppo economico. Le conclusioni sono, ovviamente, che la parte più delicata del patrimonio umano, il fanciullo, è esposta ad una somma di pericoli maggiori via via che il livello economico del Paese o del ceto cui appartiene si abbassa. Così, si hanno Paesi prosperi dove s'aprono baratri d'indigenza, e qui la mortalità infantile semina strage; e si hanno Paesi in cui, via via che s'alza il tenor di vita della popolazione, s'abbassa parallelamente anche la curva della mortalità infantile. E c'è un Paese, il nostro, che malgrado sia arrivato ormai a posizioni di testa per quel che riguarda lo sviluppo industriale e la distribuzione del reddito, continua ad occupare posizioni di retroguardia per quel che riguarda il fenomeno in questione. Sono passati gli anni del boom ma, per i problemi della protezione della madre e del fanciullo, siamo rimasti all'età della battaglia del grano. Una considerazione grave e non marginale vien fatta dai due autori, a sottolineare le responsabilità che si addossano quanti fingono di non vedere il problema o di non scorgerne una soluzione: è scientificamente dimo¬ strato che la mortalità infantile non è che l'aspetto visibile d'un altro fenomeno, più sfuggente ma non meno preoccupante e oneroso per la società: il fenomeno dei bambini handicappati. Le stesse cause clinico-biologiche sono alle origini sia della « strage degli innocenti » sia della nascita di bambini sordi, ciechi, spastici, ritardati mentali, cardiopatici. Sistema sbagliato In altre parole, per ogni bambino che figura nelle statistiche della mortalità, ve ne sono molti che sopravvivono, ma in condizioni menomate. E' bene dunque considerare anche quest'aspetto della questione: muover guerra alla mortalità infantile vuole anche dire gettare le premesse per una seria e metodica campagna per il miglioramento del patrimonio umano della nazione e delle condizioni generali di vita della popolazione tutt'intera. Una proposta? Certo: il libro di Rosaia e Zacutti non è soltanto un dossier di denuncia, ma d'analisi anche politica e sociologica del problema. La medicina dei nostri giorni, sostengono i due autori, possiede le armi per distruggere, o almeno per contenere, l'effetto delle malattie infettive, dell'errata o insufficiente nutrizione, della disinformazione sanitaria. Ma per poter piazzare queste armi sull'obiettivo occorre che un disegno strategico esista, che si conoscano gli scopi e i mezzi della battaglia, e che si riesca a convincere la gente dell'opportunità ed anzi della necessità di partecipare attivamente alle operazioni. Un'altra conclusione del libro è infatti che nessuna speranza di vittoria parziale esiste: non è bastata l'Onmi, e non basterà mai sinché essa sarà concepita come parte a sé stante del sistema sanitario, quasi fosse uno sceiccato autonomo che non deve rispondere a nessuno. Cosi come non basta l'Onmi ad assicurare protezione alla ma¬ dre e al fanciullo, non bastano e non basteranno alla restante popolazione i mille ospedali, le cento mutue, gli infiniti enti che proliferano sulla medicina generale e su quella specialistica, sull'ospedaliera e sulla preventiva, sulla ricerca scientifica e sulla sanità pubblica. Non sono soltanto i bambini le vittime innocenti d'un sistema che polverizza le risorse, moltiplica le spese, frammenta in centomila baronie la « competenza » sui malanni dell'uomo, alzando dovunque barriere tra settori dell'attività sanitaria che invece dovrebbero comunicare e interagire, in vista d'uno scopo comune. Il discorso sulla madre e sul fanciullo ha trascinato inevitabilmente con sé l'altro, che gli sta alle spalle: il discorso sulla riforma sanitaria e sul modo di attuarla. In pratica, sarebbe la riforma di tutte le riforme e, annunciano Rosaia e Zacutti, non costerebbe una lira: si tratterebbe soltanto d'abolire, con un colpo di spugna, le infinite « autonomie » in cui è spezzettato l'ordinamento sanitario e che sono responsabili soltanto di sperperi e d'inutili, dannosi sbarramenti tra le varie fasi dell'intervento sanitario. Raggiunta l'unità e la coerenza del sistema sanitario, potrebbero essere razionalmente distribuiti gli ambulatori di base e quelli specializzati, e gli ospedali, e tutti gli altri presidi della medicina preventiva e della ricerca, secondo criteri di equilibrata e giusta valutazione delle necessità. Nel quadro d'un'assistenza generale riorganizzata dalle fondamenta, anche la mortalità infantile (con il fenomeno degli handicappati) può essere efficacemente combattuta. Diversamente, continueremo tutti ad avere una scadente e casuale assistenza sanitaria, e la madre e il fanciullo peggiore degli altri, perché più deboli e indifesi. Gigi Ghirotti

Persone citate: Alberto Zacutti, Lucio Rosaia, Pagliuca, Rosaia