America e Russia crisi a confronto di Alberto Ronchey

America e Russia crisi a confronto America e Russia crisi a confronto Dopo il riposo del « guerriero » Eisenhower e l'epoca del maccartismo, quando fu ucciso il primo Kennedy e i ghetti negri esplosero e apparve Goldwater si diceva: passerà. Poi una generazione subì la nevrosi della guerra « senza fine » nel Vietnam. Poi fu ucciso il secondo Kennedy, alterando una campagna presidenziale. Poi sul gran scenario fu visto il dollaro in caduta. (Dopo il Vietnam e lo psicodramma del dollaro, si diceva, tutto passerà). E oggi 10 scandalo di Watergate e 11 caso Agnew hanno scoperchiato la stessa Casa Bianca di Nixon. Dunque non passa mai. Cambiano le vicende, rimane il malessere. Forse è inevitabile che le grandi società siano in convulsione; e forse l'esatta dimensione di una crisi americana si misura solo a paragone con le crisi croniche della piccola Europa e della Russia. Da un'epoca all'altra gli episodi sono diversi, e alcuni accidentali; non si può confondere certo l'accidentale con il reale. Non tutto quanto accade è necessariamente provocato da « cause profonde »; ma davvero non esistono cause profonde? Fra i sintomi della patologia americana, almeno uno da tempo è ben visibile: il divario che separa la politica dalla « società civile » (la bilrgerliche Gesellschaft di Hegel e dei marxisti dotti) Per esempio nel '68, mentre Nixon veniva eletto Presidente la prima volta, l'America raccoglieva d'un colpo tutti i premi Nobel per le scienze e la medicina; i due avvenimenti assumevano già il valore di simboli del divario. E' raro che una singola nazione raccolga tutti i Nobel scientifici, solo una volta era accaduto agli Stati Uniti e nel 1905 alla sapiente Germania; ma è bensì raro che da una campagna presidenziale affiori un'America politicamente povera come dal '68 in poi. (« La cosa migliore di questa campagna — scrisse James Reston — è che ora è finita »). Oggi la classe politica appare ancor più povera; gli apparati dei due grandi partiti sono stremati, fra il plumbeo professionalismo di alcuni personaggi e l'astrattezza degli altri. Leggendo le cronache di Watergate, con le traversie di Nixon e dei suoi Haldeman, Ehrlichmann, Agnew, il loro spettacolo è di tanto peggiore in quanto alle spalle della Casa Bianca si muove una società davvero forte e articolata, protagonista d'uno sviluppo che si può definire « rivoluzione borghese permanente », ossia l'interprete contemporanea di quanto è positivo nello stesso concetto di borghesia illustrato da Marx oltre un secolo fa («...La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente i mezzi di produzione, quindi i rapporti di produzione, quindi l'insieme dei rapporti sociali... La borghesia ha creato forze produttive il cui numero e la cui importanza superano quanto mai avessero fatto insieme le generazioni passate »). Nel divario tra vecchia sfera politica e tumultuosa innovazione della società, sembra oggi proiettarsi quel fenomeno del costume americano che l'economista Jan Tinbergen ha definito « della doppia vita ». Nell'opera quotidiana si tende continuamente al nuovo con la massima efficienza dal lunedì al venerdì, per abbandonarsi poi tra sabato e domenica a usare metodi e attrezzi disprezzati gli altri giorni della settimana. Allo stesso modo la società sembra seguire i ritmi di un'accelerazione travolgente quasi in ogni sfera d'attività, per usare poi vecchi attrezzi e criteri quando è l'ora d'esprimere politicamente se stessa. ★ ★ In Russia, gli oppositori sempre più arditi riassumono la crisi sovietica in termini succinti: all'epoca zarista l'Impero esportava grano per comprare macchine, oggi esporta materie prime per comprare grano e macchine. Dunque, dopo 56 anni, l'Urss è una superpoten¬ zpczSsncKdsldcsdbUldldl za industriale « sottosviluppata ». Il giudizio sommario non comporta una sottovalutazione del colosso sovietico. Si sa bene che la sua industria di base è a grandi linee imponente, che il bacino carbosiderurgico del Kuzneck è venti volte più dovizioso del Donez, che il solo Kazachstan possiede su larga scala tutti gli elementi del sistema di Mendeleev, che da Brack e Krasnojarsk si sprigiona un'immensa produzione idroelettrica, che il bacino petrolifero VolgaUral è di gran lunga più opulento di Baku e che oceani di petrolio sono stati scoperti a Nord di Tjumen sotto la tundra siberiana. Il caso dell'Urss grande potenza industriale atipica nasce per l'appunto dalla considerazione che si tratta del più vasto impero di terra contemporaneo e del massimo serbatoio di risorse (la Siberia è tanto ricca da essere definita «scandalo geologico»), che può tollerare anche grandiosi margini d'errore e di sperpero nell'impresa di instaurare un elevato benessere materiale di massa. Ma la società del benessere per i russi rimane una Never Never Land. Nell'ultimo annuario statistico SSSR v cifrach, l'Urss risulta la prima potenza siderurgica: 126 milioni di tonnellate d'acciaio (123 in America). Ma che viene fatto di quell'acciaio? Secondo la formula dell'economista Vassily Leontief, la pianificazione sovietica è stata troppo a lungo un input-input system, ossia un input senza output, un « metter dentro » capitali senza dar vita a un'economia e una tecnologia articolate. Per mezzo secolo il sequestro di plusvalore statizzato da volgere all'investimento ha raggiunto quote vertiginose (talora fino al 40 o 50 per cento del prodotto). Alcune generazioni dovevano essere sacrificate per il benessere dei figli e nipoti. Bene, che dicono ora figli e nipoti? Che l'investimento continua. Esso continua ben oltre gli esosi margini d'accumulazione denunciati da Marx all'inizio dell'industrializzazione occidentale. « Accumulate, accumulate, questo dicono la legge e i profeti ». Dinanzi al problema d'instaurare una vera, fluida civiltà economica e tecnologica, o ai nuovi dilemmi che ne sarebbero scaturiti, è prevalsa finora l'alternativa delle priorità di prestigio e potenza. Dunque gli sputniki della sfida spaziale aperta dall'Urss e nemmeno condotta poi a compimento. (Perché spingersi così lontano quando non si sa che fare qui dove siamo? Si spingevano così lontano perché non sapevano che fare qui dove siamo). E dunque le nuove armi nucleari-missilistiche, il boom della marina militare; le pressioni sul Medio Oriente, sul Mediterraneo, sulla Mitteleuropa e sui Balcani (gli imperi ottomano e austro-ungarico insieme); gli allarmi esagerati o strumentali contro il « dragone » cinese. Ma tuttora il Politbjuro amministra un'economia così squilibrata, che deve puntare sui benefici del commercio con gli Stati Uniti nell'ambito del « rapporto speciale » tra superpotenze. A questo punto i brezneviani sono vulnerabili persino agli appelli del dissidente Sacharov al Congresso di Washington, perché non conceda all'Urss la clausola commerciale della « nazione più favorita » senza ottenere qualche attenuazione dei rigori del regime sovietico. Il Congresso ha votato secondo i consigli di Sacharov; può il regime brezneviano attenuare i suoi rigori, accettando l'interdipendenza tra distensione e affari interni? Mentre l'immagine del Pcus appare sempre più controversa, per la crisi complessiva e per i privilegi o poteri illimitati dei suoi apparateiki, qualche cosa accadrà prima o poi. Le esegesi ingegnose sul « giuoco delle parti » in corso a Mosca o sui singoli segni d'inquietudine sfumano spesso in quel che si usa chiamare cremlinologia; meglio attenersi ai dati oggettivi, ben sicuri, e aspettare. Il giudice più illuminato e integro è il futuro, anche se giunge sempre tardi. Alberto Ronchey