Il triste primato del Mezzogiorno di Emanuele Gazzo
Il triste primato del Mezzogiorno Fondo europeo per le zone depresse Il triste primato del Mezzogiorno L'Italia meridionale ha tutti i requisiti previsti dalla Cee per l'assegnazione dei finanziamenti - Molto dipende tuttavia dall'efficienza dei nostri organi politici Ho spiegato nel precedente articolo perché la scelta delle Regioni dove il «Fondo regionale europeo» potrebbe intervenire è teoricamente piuttosto vasta. Ma i criteri previsti per l'intervento effettivo operano una selezione ben più, severa in funzione di parametri che misurano «l'intensità degli squilibri». I criteri che permettono di delimitare le Regioni beneficiarie sono in sintesi i seguenti. Il primo, generale, consiste nell'appartenenza della Regione a una zona aiutata dallo Stato. Il secondo nel fatto che il reddito pro-capite vi sia inferiore alla media comunitaria (ma per essere considerata di sottosviluppo il reddito della zona deve essere meno della metà di quello comunitario). Il terzo è l'esistenza dì una disoccupazione «elevata e di lunga durata» (elevata significa per la Commissione dell'ordine del 3,5 per cento e superiore dell'1,2 per cento alla media nazionale). Il quarto è l'esistenza di un saldo migratorio negativo (il tasso di emigrazione deve superare l'I per cento all'anno). Già a prima vista appare indubbio quali siano le Regioni europee che avranno titolo a beneficiare degli aiuti del Fondo. Ma chiunque si prenda la briga di verificare, alla luce di questi criteri qualitativi e quantitativi, lo scarto che separa il Mezzogiorno da altre aree, si renderebbe conto del triste primato che ci spetta. Constatazione che non rallegra ma in un certo senso fuga le preoccupazioni di chi teme che il setaccio non sia abbastanza fine e che aiuti sostanziali possano andare a chi non ne ha veramente bisogno. Più ancora dell'analisi teorica dell'incidenza dei criteri, conta l'operazione concreta che condurrà chi gestisce il Fondo a stabilire ì beneficiari degli aiuti, e che è basata su una combinazione di tutti i fattori. Si potrebbe forse esigere che certi criteri siano ancor più selettivi. Per esempio c'è chi trova che il «tetto» del reddito medio pro-capite comunitario è troppo elevato e converrebbe abbassarlo perché altrimenti c'entra troppa gente. Ma se lo facesse, la Comunità verrebbe meno all'impegno politico (preso al vertice) di «prendere in considerazione» le zone comprese nei piani nazionali di politica regionale. E le sue proposte non andrebbero in porto. Sebbene la convergenza dei criteri sembri fornire all'Italia una «garanzia obbiettiva» che non lascia dubbi, si potrebbe anche prospettare l'ipotesi di chiedere che la ripartizione del Fondo, anziché su questi criteri, avvenga sulla base di «quote» prestabilite: tanto a ciascun Paese in base a una valutazione d'insieme del sottosviluppo da compensare. Se l'ipotesi non va scartata a priori, va però esaminata con cura sotto il profilo dell'opportunità politica e della tecnica. E ricordando che l'acquisizione di una «quota» non costituisce affatto una garanzia assoluta (triste esempio quello del 33 per cento riservato all'Italia sui fondi Feoga per la riforma delle strutture agricole). Comunque, l'Italia potrebbe giocare anche la carta delle «quote» nelle prossime trattative, purché si tratti di quote flessibili ed a forchetta. La risposta vera peraltro non consiste né nell'nammaestramento» dei criteri selettivi, né nella garanzia illusoria delle quote. Il banco di prova della capacità negoziale dell'Italia in questa materia non sta tanto nel negoziato che si concluderà a Bruxelles prima del 31 dicembre di quest'anno, ma in quel che l'Italia sarà riuscita a spendere il 31 dicembre 1974. Non si tratta tanto di «chiedere» quanto di saper «recepire». Allora i poteri responsabili debbono dire oggi se saranno in grado di presentare, il primo giorno di esistenza del Fondo, non solo «progetti» ma progetti accompagnati da concreti impegni di spesa (solo beneficiano dell'aiuto comunitario i progetti aiutati dai poteri pubblici nazionali). I responsabili debbono anche poter dire se nella scelta dei progetti saranno guidati dalla volontà di operare in vista dell'inserimento durevole e progressivo delle Regioni aiutate nel contesto economico europeo, accrescendo così e non diminuendo le «convergenze» economiche. Per concludere, è doveroso per chi negozia per l'Italia cercare di assicurare al Mezzogiorno la percentuale più elevata possibile di aiuto. Omettiamo pure le cifre anche se ricordiamo che, secondo le ipotesi fatte a Bruxelles, l'Italia riceverebbe grosso p modo un terzo delle disponibilità, cioè 500 miliardi di lire su 1500, e che secondo l'ipotesi massimale avanzata a Roma dovrebbe assegnarsi a Italia e Irlanda insieme il 50 per cento (750 miliardi). Ma il punto fondamentale, quale che sia l'entità dell'aiuto, è la sua utilizzazione. Il concorso del Fondo è un «incentivo» risultante da una solidarietà europea delle pubbliche risorse. Il suo obiettivo prioritario deve essere di attirare un flusso cospicuo di investimenti dalle zone centrali europee verso le zone periferiche come in particolare il nostro Mezzogiorno. Se dotasse ridursi a facilitare ovvie operazioni di trasferimento di impianti, già decise in sede aziendale, dal Nord al Sud dell'Italia, il nostro Paese avrebbe perduto un'occasione storica di inserirsi stabilmente nell'economia europea. Per raggiungere questo obbiettivo non conta un centinaio di miliardi in più o in meno, ma conta fare una certa politica di sviluppo, legata e un profondo risanamento amministrativo e morale. E questo non dipende che da noi stessi. Emanuele Gazzo Oggi la consegna
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