Alla corte dei miracoli di Carlo Carena

Alla corte dei miracoli Alla corte dei miracoli Un trattatello dell'erasmiano Vives sui poveri nell'Europa del 500 Ludovico Vives: « De subventione pauperum », Ed. La Nuova Italia, pag. LXXXV101, lire 3200. Juan i-itis Vives, detto dagli amici « il viaggiatore anfibio », si era trasferito dalla nativa Valencia a Parigi, poi, uscendo da quell'Università scolasticissima « come si emerge dalle tenebre dello SUge », a Lovanio. Ora, intorno al 1525, faceva la spola tra Bruges (una seconda patria per lui) e l'Inghilterra. Da Enrico Vili era stato fatto precettore della principessa Maria (la Mary Tudorj ed era divenuto professore a Oxford. Anni di idillio. Dalle profondità moresche della Spagna Vives era affiorato alle città commerciali delle Fiandre e alla corte inglese mentre rifulgeva l'astro di Carlo V e i municipi fiamminghi ispiravano confidenza politica e sfiducia metafisica. Un interesse « anfibio » lo guidava verso la filologia e la psicologia. Anche per questo suo singolare trattatello « Sul soccorso ai poveri » la mossa venne da uno sguardo fissato sulla realtà sociale circostante e dalle amate costruzioni dei filosofi antichi, che avevano appena ispirato l'Utopia, del suo amico Tommaso Moro e ispireranno più tardi la Città del sole di Campa¬ nella. Il tema in apparenza è molto ristretto. Ma cela un desiderio riformatore che con l'applicazione rigorosa delle premesse andrebbe ben oltre il quadro dell'assistenza pubblica. Centro delle proposte di Vives è ancora una polis, e l'ispirazione è lo spettacolo degli strati più bassi della città di fronte alle ricchezze della nobiltà o della borghesia. Gli squarci descrìttivi dei poveri sparsi nel volumetto sono tra gli spunti più interessanti per ogni ottica, anche per quella della letteratura maledetta: qualcosa tra la corte dei miracoli e la gang delinquenziale. « Sono — traduco dallo spigliato latino di questo grande filologo — di una rara sfacciataggine e importunità nel chiedere, per spillare più di quanto poi ottengano. Si aprono la strada tra la folla sozzi di piaghe, mandando un tetro fetore da tutto il corpo. Alcuni risultò che s'erano inferte e allargate delle ferite per destare più pietà, o avevano deformato per avidità di guadagno non solo il loro corpo, ma anche dei figli... Nelle festività entrano in qualsiasi chiesa e ci tocca di fendere due muri di malattie, di piaghe, di altre cose che mi vergogno di dire. Quegli squarci di carne ci vengono ficcati non solo sotto gli occhi, ma sotto le nari, la bocca, le mani, tanta è la sfron- tatezza di chi chiede l'elemosina. Se non si espande la benevolenza pubblica, alcuni sono costretti per mancanza di mezzi alle rapine, sia in città sia lungo le vie di comunicazione, altri a rubare di nascosto; i figli vengono educati malissimo, adulti e giovani si appostano davanti alle chiese o vagano qua e là mendicando, senza che si sappia con quali leggi e norme vivano, cosa pensino della religione e della morale ». Per la pace sociale prima ancora che per il precetto evangelico occorreva intervenire. E intervenga — dice Vives — lo Stato regolando i sussidi, istituendo ospedali, ricoveri, scuole. Dieci anni dopo il Principe, questo pacifista rintraccia nella miseria il più serio perìcolo alla convivenza; gli Stati devono fondarsi, al loro interno e nei loro rapporti, sulla bontà e sulla carità, non sulla violenza e sull'egoismo. Ai suoi occhi la società mercantilistica mostrava le proprie ingiustizie e per queste, di lontano, i cataclismi. La parte più debole del trattato è la seconda, quando dall'analisi si passa ai rimedi, alle riforme necessarie: la carità pubblica sovvenzionata in primo luogo dalle rendite delle gerarchie ecclesiastiche spontaneamente offerte da vescovi e abati. La posizione dell'autore si fa equivoca per un cumulo di circostanze, come nota il Saitta nell'ampia introduzione al volumetto: timore di essere scambiato, lui cattolicissimo, per un luterano, e di compromettere, col chieder troppo, l'esecutività stessa dei suoi progetti: oppure l'ispirazione dell'intero evangelismo erasmiano. L'inevitabile tentazione comunistica della Repubblica di Platone si stempera nella legge ugualitaria di natura e in pure istanze cristiane. Tuttavia fioccò anche per Vives l'accusa di eresia; dopo le prime, ristrette esecuzioni pratiche delle sue proposte sotto il regno di Carlo V, fu soverchiato dall'offensiva degli ordini mendicanti e dai provvedimenti di Filippo II, che autorizzavano nuovamente l'accattonaggio. Era la fine anche dell'erasmismo, di cui questo è un tentativo d'applicazione tra i più interessanti. Questo « padre della psicologia moderna », come fu definito, avvertì forse tra le pieghe dell'animo umano, con le sue abiezioni, anche le sue scintille. Se, nelle delusioni e negli eventi dei suoi ultimi anni, si spostò su posizioni più retrive, lasciò tuttavia in queste non molte righe uno dei documenti più vivi della società e del pensiero riformistico, meritevole di essere ri suscitato. Carlo Carena

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