I "memorabili,, di Gadda

I "memorabili,, di Gadda Gli studi più recenti sul Gran Lombardo I "memorabili,, di Gadda Leggendo le Vite di Vasari, ci capita spesso di sentirci coinvolti in un gesto, in una vicenda, in un'opera, in un umore o in una battuta di Giotto o di Filippo Lippi o di Franciabigio: perché queste notizie, queste chiose hanno il fascino grande dei reperti — magari incerti e mutili — mediati da una grazia analitica straordinaria che ha trovato il suo immediato linguaggio. Così è per il più recente libro di Giulio Cattaneo pubblicato da Garzanti: si intitola II gran lombardo, che è Carlo Emilio Gadda, e si riferisce principalmente agli anni in cui Gadda lavorò alla Rai a Roma — dal '50 al '55. C'è subito da dire che questo Gadda dei discorsi « a tavola » — sarebbe più pertinente dire, nel caso del nostro scrittore che non aveva, come Lutero, commensali e pensionanti che prendevano appunti, « in ufficio » — è somigliantissimo, anche lessicalmente, al Gadda della pagina stampata. Ed è mirabilmente ritratto nelle sue paure quotidiane, nelle sue bontà tempestose di crucci, nei suoi scontri sommessi quan to agitati, in certe taglienti « linguistiche » musonerie: o in quell'abituale sorriso stento che sembra un rimbrotto e che è il risultato esterno di una difficoltosa accondiscendenza. Cattaneo raccoglie circostanze, voci, ansie: e le intreccia in un commento elegantissimo, dove le squisitezze d'arguzia scoprono la sua civiltà fiorentina, collocando reperti e note in una fetta di storia del costume italiano. Gadda, dunque, nell'ottobre del '50, prende servizio alla Rai. Annota Cattaneo: «Atteggiato il volto ad una dignità triste, si preparò ad apprender qualche particolare sul lavoro al quale era destinato e sulla composizione dell'azienda che lo assumeva come "praticante..." ». L'ufficio lo angustia, ma gli procura anche qualche delizia, dovuta a quello che egli stesso ha definito il suo « leggero masochismo ». In ufficio «correggeva e trasformava con grande accanimento i testi da approvare per la trasmissione. Gli capitarono due racconti dello stesso autore: cambiò il titolo, i nomi dei personaggi, mutò completamente l'inizio e la conclusione... e rifece il tutto nella sua prosa inconfondibile ». Questo lombardo a Roma, che cambia spesso dimora — abita sempre presso qualche vedova querula e bruttoccia — lavora intanto a quello che sarà riconosciuto da molti come il suo capolavoro: Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. Cresce il suo amore per il linguaggio straordinario del Belli che egli ritiene, a ragione, un poeta grandissimo, e i fatti, i « casi » piccoli e grandi delle realtà, i processi clamorosi e le notizie dei parenti, i cambiamenti dei colleghi di lavoro e dei regnanti, sia che lo intimoriscano o lo rallegrino, gli suscitano commenti suggestivi. Un giorno — di anni ormai ne sono passati parecchi — decide di lasciare l'ufficio: a Roma molte cose sono cambiate ma per Gadda, dice Cattaneo, « la vita non avrebbe cambiato molto » tanto « era rimasto in lui il senso di un'esistenza da umiliato e offeso... »: libero, si dedica alla revisione del Pasticciaccio. La vecchiaia avanza, rsr questo scrittore ormai riconosciuto tra i grandi del Novecento: « Fu preso — riferisce il suo eccezionale biografo — da follie cicliche e la prima fu condizionata dal terrore di essere assassinato... ». Poi cominciò a rimandare ogni incontro, a chiudersi nella solitudine: e negli ultimissimi anni « camminava curvo, anche per apparire ammalato e decrepito ». Il I libro termina con un giudi¬ zio di Gadda su Gadda, che ci lascia emozionati come quando, al principio dell'estate scorsa, abbiamo appreso la notizia della sua morte. Restando in argomento, segnaliamo nella collana « Invito alla lettura » di Mursia, un utilissimo, bel libretto di Ernesto Ferrerò, dedicato alla lettura di Gadda: specialmente nei capitoli « Temi e motivi », Ferrerò si rivela ricercatore molto coscienzioso (si leggano le pagine che riguardano il lessico gaddiano: un'attenzione di lettura particolarmente congeniale a Ferrerò che è autore di un dizionario di termini cangianti, in uso nella malavita). Sugli « affini » e sui « discepoli » Ferrerò, tra l'altro, osserva: « Quanto agli eventuali discepoli e continuatori, è fin troppo ovvia la constatazione dell'assoluta irrepetibilità di ur, "caso" del genere... ». Gli improbabili «nipotini», che non avevano con il Gran Lombardo la minima consanguineità, gli provocavano — e citiamo ancora Cattaneo — « qualche scatto di impazienza ». Il giovane studioso Ferrerò ci dice che le « ultime generazioni di critici e di scrittori si sono accostate all'opera gaddiana non certo per ripeterla, ma per cercare di smontarla dall'interno ». Che è un buon esercizio: a patto che non ci si metta in testa di smontarla per usarne i pezzi in proprio. Rossana Ombres

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