Violenti scontri in aula tra detenuti al processo per le rivolte carcerarie di Filiberto Dani
Violenti scontri in aula tra detenuti al processo per le rivolte carcerarie Atmosfera incandescente nel tribunale di Pescara Violenti scontri in aula tra detenuti al processo per le rivolte carcerarie Gli incidenti hanno coinvolto soltanto gli imputati -1 prigionieri divisi in tre gruppi : gli oltranzisti, quelli pronti a collaborare e quelli che temono rappresaglie - Il presidente ha quindi ordinato la sospensione dell'udienza (Dal nostro inviato speciale) Pescara, 24 settembre. Il primo dei grandi processi per le ribellioni carcerarie non ha vita facile: dopo i gravi incidenti che cinque giorni fa hanno insanguinato l'aula del tribunale di Pescara (trentatré feriti, diciannove tra i 50 detenuti imputati di danneggiamenti, resistenza e oltraggio, quattordici fra i carabinieri), oggi ve ne sono stati altri. Questa volta, però, si e trattato di incidenti che hanno coinvolto soltanto i detenuti e che possono essere così sintetizzati: due tentativi di aggressione, entrambi falliti, e un'aggressione riuscita che ha costretto il presidente a sospendere l'udienza, la sesta, e ad aggiornarla a domani. I nuovi episodi di violenza danno l'idea dell'atmosfera incandescente nella quale il processo è costretto a muoversi. Ci sono detenuti, tutti oltranzisti, che motivano la rivolta carceraria con un contenuto politico; ci sono altri, invece, senza particolare convinzione ideologica, che vogliono cavarsela con il minor danno possibile, magari ren- dendosi benemeriti facendo nomi e cognomi dei promotori della rivolta. Tra i due gruppi rivali, infine, ci sono quelli che oggi dicono bianco quello che ieri giuravano essere nero: il timore di rappresaglie (.«Quando torniamo in celta, tutto può accadere», dicono) li rende estremamente prudenti. Le ostilità, dunque, riguardano soprattutto i primi due gruppi che, in aula, sono tenuti separati, e sono circondati da un muro compatto di almeno duecento carabinieri. L'eccezionalità della sorveglianza non ha comunque potuto impedire il sorgere degli odierni incidenti. Quando avviene il primo, l'udienza non è ancora cominciata. E' il momento in cui i detenuti prendono posto sui banchi allineati contro il muro del lungo corridoio del palazzo di giustizia che porta in aula. Uno di essi, Alberto Moscariello, 25 anni, napoletano, si avventa contro un altro detenuto, Matteo Lizzi, 24 anni, pugliese, senza tuttavia poterlo raggiungere perché un maresciallo dei carabinieri lo trattiene per la catena infilata nei ferri di sicurezza. Uno strattone e Alberto Moscariello (accusato dal pugliese di aver sobillato i detenuti del carcere di Pescara) perde l'equilibrio. Scoppia un mezzo putiferio, tutti gridano, insorge l'avvocato Nereo Battello di Gorizia, difensore del napoletano. Si accende un battibecco tra avvocato e sottufficiale, di cui si parlerà poi in apertura di udienza. L'avvocato lamenta di essere stato offeso dal maresciallo («Lei si occupi dei fatti suoi, stia zitto, ci lasci fare», gli aveva urlato in faccia), accenna ad una possibile istanza di «legittima suspicione» («Sono stato intimorito, leso nella mia dignità, ci sono gli estremi per chiedere il trasferimento del processo ad altra sede»), ma si ritiene «parzialmente soddisfatto» quando il presidente Mario Viscione, commentando l'accaduto, attribuisce lo «spiacevole episodio» al clima di tensione che avvolge il processo. Il secondo incidente ha per j protagonisti Arnaldo Serafini, ce anni, abruzzese, e Vincenzo Damiani, 23 anni, pugliese. Il | secondo ha appena terminato di rispondere alle domande del presidente («I detenuti Tizio, Caio e Sempronio mi intimarono di partecipare alla rivolta, io rifiutai e mi barricai in cella, poi andai incontro al te forze dell'ordine che consi aeravo come le mie salvatri ci») e si accinge a tornare al suo posto: passando davanti al gruppo degli oltranzisti, viene intercettato da Arnaldo Serafini che ha tutte le buone intenzioni di aggredirlo. Non meno di cinquanta carabinieri si gettano nella mischia, Vincenzo Damiani se la cava con molto spavento, il presidente ordina l'allontanamento dall'aula dell'aggressore. Come un uomo solo, una i ventina di detenuti si alzano in piedi. «Se esce Arnaldo Serafini, usciamo anche noi», annunciano. L'abruzzese chiede ed ottiene la parola. «Domandi 'usa al tribunale», dice con aria contrita. Il tribuI naie, che non può tirare trop| po la corda, le accetta. Proseguono gli interrogato| ri. Al pretorio si avvicendano | altri detenuti che si dichiarano estranei alla rivolta, che sostengono di essersi rifugiati nelle loro celle al momento dell'azione, che denunciano pubblicamente i capi della sommossa. Tra questi è Rosario Vinci, 32 anni, palermitano. Sarà la vittima del terzo e più grave incidente. Congedato dal presidente, torna al suo banco, ma cinque minuti dopo impallidisce improvvisamente e, con un gemito, si accascia privo di sensi. Che cosa è successo? Mentre viene portato via dall'aula (e intanto il clima si fa rovente) i carabinieri accertano che un detenuto del gruppo oltranzista gli aveva allungato un calcio al basso ventre. Il colpevole è un torinese, Roberto Cignetti, 20 anni: il p.m. Bruno Paolo Amicarelli I chiede che il verbale dell'ac| caduto venga rimesso al suo I ufficio per il da farsi, il presij dente, vista l'impossibilità di I proseguire oltre, ordina la so| spensione dell'udienza, agI giornando il processo a doI mani. E per domani è annun! ciata una novità: il recinto ; degli imputati sarà protetto da una grossa gabbia in tubi di ferro, suddivisa in settori, a prova di pugni e di calci. Filiberto Dani Pescara. Rosario Vinci, colpito da un altro detenuto, giace svenuto a terra (Ansa)
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