Una mostra affascinante sui tesori dell'Ecuador

Una mostra affascinante sui tesori dell'Ecuador Si apre oggi pomeriggio nel ridotto del Regio Una mostra affascinante sui tesori dell'Ecuador Quattrocento oggetti (ori e ceramiche) documentano la storia e la vita di una civiltà che fiorì per millenni sull'altopiano andino, fino alla conquista spagnola - La sorprendente affinità di alcune figure coi caratteri somatici dell'Estremo Oriente asiatico Il canto del cigno di Carlo Carducci prima di lasciare, col pensionamento dell'alta dirigenza, l'ufficio per tanti anni validamente tenuto di soprintendente alle Antichità del Piemonte (e ancora una volta gli sia testimoniata la riconoscenza dei piemontesi colti), è la splendida mostra dei «Tesori dell'Ecuador» che oggi alle 18 s'inaugura nel sontuoso ridotto del Teatro Regio: luogo — sia detto per inciso — quanto mai adatto a prestigiose manifestazioni d'arte. Alle sue insistenze si deve il trasferimento da Roma e Bologna a Torino, dove rimarrà aperta fino al 20 ottobre prima d'esser portata nel Petit Palais di Parigi, di questa suggestiva rassegna di ceramiche precolombiane e di sculture del XVIII secolo, che su un arco di tempo dal IV millenio a.C. fino all'estinguersi dell'età barocca documentano le cronologie e il complicato intrecciarsi delle varie culture ecuadoriane, finora in Europa assai meno note di quelle messicane, peruviane e di altri Paesi dell'America Latina. L'eccezionale prestito dei 400 oggetti esposti è stato generosamente concesso all'Isti- tuto italo-latino americano di Roma, organizzatore della mostra con particolare cura del vicesegretario professor Brook, del capo ufficio Vittorio Minardi e di Julio Macera dall'Orso, dal Museo creato a Quito dal « Banco Central del Ecuador » e diretto da Hernàn Crespo Toral, tramite Bruno Molajoli (supponiamo), che di recente si recò nell'America Latina. Quale lezione di civiltà e di cultura dà all'egocentrismo europeo quel Terzo Mondo che talora proprio dall'Europa è considerato con distaccata sufficienza! E l'iniziativa è tanto più lodevole in quanto tende ad arginare il saccheggio del patrimonio archeologico ecuadoriano da parte di scavatori abusivi, sì che ancor ieri è pervenuta a Torino una grossa partita di quei reperti, probabilmente illeciti, o non sufficientemente tutelati. Un saccheggio simile a quello italiano. Non rifaremo, in quest'occasione, la storia dei rapporti della cultura europea con le prime rivelazioni, più d'un secolo e mezzo fa, della civiltà precolombiana. Superata è ormai la posizione critica per cui — come fa notare il Mo lajoli — si tendeva ad assimilare, con facile quanto insidioso paragone, tale civiltà alle nostre, preistoriche, mediterranee ed euroasiatiche, «adoperando per tutte i mecesimi schemi mentali e paradigmi d'interpretazione», secondo un criterio di falso evoluzionismo. Il nuovo concetto, anche sulle indicazioni del Lévi-Strauss, dispone «nello spazio» piuttosto che «nel tempo» lo sviluppo delle conoscenze preistoriche ed archeologiche; ed è un metodo che bene si applica all'area delle culture andine, e in special modo alla zona ecuadoriana, «sensibile alla permeazione delle differenti influenze provenienti sia dal Settentrione, quali lontani riverberi, attraverso la Colombia, delle culture mesoamericane, sia dal Sud nel più intenso e costante flusso dei modelli della grande civiltà peruviana». Di qui lo straordinario interesse dello studio delle culture aborigene dell'Ecuador, il cui inizio si perde nella notte dei tempi (circa 8000 anni prima di Cristo il paleoindio), poi sottomesse al breve impero degli Inca, precedente l'arrivo dei Conquistadores spagnuoli nel terzo e quarto decennio del Cinquecento. «Fra i due termini estremi — scrive il Molajoli — è la grande età della crescita delle varie popolazioni ecuadoriane, con l'assetto della loro orga¬ nizzazione tribale, prima autonoma poi associata; età, che appunto si suole ripartire, anche sulla base dei reperimenti archeologici, nelle due fasi principali dello "sviluppo regionale" e delV'integraziane", entro le quali si incastonano le culture Tuncahudn, Panzaleo e Carchi». : Anche il comune contemplatore delle stupende millenarie ceramiche ecuadoriane — statuette, vasi, ciotole, recipienti e bottiglie con figure antropomorfe e zoomorfe, caraffe, grattugie, incensieri, flauti, tripodi, idoli, maschere, tutto d'una materia meravigliosamente patinata, simile a quella dei buccheri più raffinati —, e degli ori laminati, sbalzati, traforati, sarà colpito da un fatto sorprendente: l'affinità tipologica di alcune figure coi caratteri somatici esemplati in prodotti dell'arte ceramica dell'Estremo Oriente asiatico. Come spiegarla? Eminenti archeologi sostengono la tesi di un contatto transpacifico che sarebbe avvenuto intorno al 2500 a. C. con la cultura di Jomon in Giappone: forse un viaggio accidentale di pescatori trascinati dai venti e dalle correnti del Pacifico verso le coste ecuadoriane. E' un'ipotesi ardita, con sapore quasi di leggenda, e tuttavia fortemente convalidata da alcune figurine della cultura Valdivia. Altra curiosità singolarissima: le bottiglie o fiasche sonore, o per dir meglio cinguettanti come uccelli con l'introduzione o lo spostamento del liquido nei corpi globulari: un abbinamento ingegnoso d'un oggetto d'uso con uno strumento musicale. Questi prodotti delle culture Chorrera, Bahia, Jama Coaque, La Tolita, e l'abbondanza di figurette antropomorfe o zoomorfe che sono anche ocarine polifoniche, fanno pensare ad un vivace culto della musica nelle popolazioni ecuadoriane, che probabilmente s'integrava con quello religioso durante le cerimonie rituali. Comunque, eccezionale doveva esser la perizia di quei remoti ceramisti, se durante l'esperimento che cortesemente ci è stato sottoposto (e che per i visitatori sarà sostituito con registrazioni su nastri magnetici) mediante un secchio d'acqua, ci è sembrato di sentir dolcemente cantare un usignuolo. Anche nella visita di questa mostra, come di tutte le mostre di così detta arte «primitiva», bisogna saper distinguere ciò che compete alle discipline etnografiche da quanto invece va affidato ad una sensibilità estetica, fattasi ai giorni nostri ecumenica, con la caduta delle paratie tra civiltà e civiltà, epoca ed epoca, continente e continente. Saper avvertire, cioè, il punto in cui la funzione dell'oggetto diventa anche artisticamente significante, e l'oggetto stesso si carica — per citare ancora il Molajoli — di «un qualche cosa di più»: di un messaggio, di una vigorìa propiziatoria, «che non può esplicarsi se non nell'astrazione del segno o nella creazione di un'immagine che tanto più potrà esse¬ re tramite verso un mondo invisibile, quanto più si allontanerà dalla verosimiglianza di parvenze natu-alistiche». E' allora che l'orrida maschera zoomorfa, felino con le fauci aperte e zanne sporgenti, di cultura La Tolita (località eponima ne è l'isola nell'estuario del Rio Santiago sulla costa settentrionale dell'Ecuador, epoca 500 a. C. 500 d. C), si trasforma in realtà artistica per un misterioso trasfondersi di significanze sacrali nella rappresentazione plastica. Altre volte è quello che a noi appare, a prima vista, un aspetto caricaturale della figura umana, della fisionomia, nelle statuine delle culture Bahia e Jama Coaque, a rivelarsi invece una potente espressione di vitalità estetica; e certi recipienti antropomorfi del periodo detto di «Transizione» antecedente il dominio Inca, per la purezza delle superfici ovoidali so¬ no da paragonare coi paradigmi egizi più celebrati. Con la conquista spagnuola questo immenso tesoro degli aborigeni si dissolve; un abisso divide gli ultimi oggetti delle culture primitive dalle sculture lignee settecentesche della «Scuola di Quito», che si presentano, ora nella loro raffinata languida grazia di estremo prodotto Rococò o protoromantico, ora nella loro rustica spontaneità artigianale, come «una versione in minore dell'ultimo Barocco europeo filtrato dal gusto di Spagna»; quantunque nel magnifico gruppo policromo del Calvario, di forte impronta iberica, e in altre figure fem! minili di mirabile dignità, 1 qualcosa dell'arcaica e ancora autonoma civiltà artistica scuadoriana sembri sopravvivere. Ed anche questa testimonianza è un'utile informazione che la mostra procura. Marziano Bernardi Figura antropomorfa: periodo della «integrazione» (dal 500 al 1500). Il gonfiore della guancia è dovuto alla masticazione della coca

Persone citate: Bruno Molajoli, Carducci, Jama Coaque, Julio Macera, Marziano Bernardi, Petit, Strauss, Vittorio Minardi