Oggi gli argentini tornano alle urne di Livio Zanotti

Oggi gli argentini tornano alle urne Oggi gli argentini tornano alle urne Per la terza volta in quattro mesi - Scontata l'elezione di Perón a capo dello Stato, i più consistenti avversari, i radicali, hanno l'occasione per verificare la loro forza - Le prospettive politiche (Dal nostro inviato speciale) Buenos Aires, 22 settembre. Per la terza volta in c?ntoventi giorni. 12 milioni di argentini tornano domani alle urne per eleggere il presidente e il vicepresidente della nazione. Di nuovo, stavolta, c'è che dopo 21 anni il candidato del giustizialismo torna ad essere Juan Domingo Perón. E mentre VII marzo passato il peronismo giocava la grande avventura del possibile ritorno al governo, oggi al governo ci sta già; con la nuova consultazione elettorale cerca di creare i presupposti per la conquista del potere, del controllo dello Stato che ancora non è nelle sue mani. Una partita che domani non si conclude, bensì appena comincia. Gli si oppongono tre for¬ mule, due sul versante di centro-destra e una a sinistra. I radicali, che presentano Ricardo Balbin e Fernando De La Rua, sono gli avversari più temibili. Non tanto perché possono aspirare al successo pieno, quanto perché si configurano come la forza moderata capace di aspirare alla successione nel caso di un fallimento peronista al governo. Contarsi di nuovo, dunque, per essi è importante. Ben scarse appaiono le possibilità della « Alleanza popolare federalista », il cui « leader », l'ex ministro della Previdenza Sociale del generale Augustin Lanusse, Francisco Manrique, ha perduto molti degli alleati che aveva VII marzo. Per una verifica della propria consistenza e dichiaratamente senza alcuna vel¬ leità, vanno al confronto Juan Carlos Coral e José Paez, rappresentanti del «partito socialista dei lavoratori». Il loro obiettivo è quello di riunire tutte le varie e disperse tendenze dell'estrema sinistra, che rifiutano l'indicazione del partito comunista e della «Alleanza popolare rivoluzionaria» (ex democristiani ed ex radicali) a votare Perón. Ma il fatto elettorale è soltanto un aspetto della lotta politica in atto. Tutta una serie di episodi maturati in queste ultime ore nelle forze armate caratterizzano la vigilia elettorale argentina e la rivelano meno placida di quanto appare ad una prima osservazione. La vittoria di Juan Domingo Perón, accompagnato dalla moglie Isabelita, nella formula del «Frente justicìalista de liberación» per la competizione presidenziale di domani, è ben certa. Ma non è questo il punto. Dietro il confronto politico aperto, sta muovendosi un vasto gioco che stabilirà i reali equilibri di potere e che in qualche caso forse non rifugge dalla cospirazione. L'altro giorno è stata firmata la legge di amnistia per i militari e i funzionari di polizia epurati dopo la caduta di Perón nell'ottobre 1955. Non è soltanto un atto di riparazione che il giustizialismo, tornato alla «Casa Rosada», vuole rendere ai propri vecchi militanti. La restituzione dell'anzianità ad un gruppo di ufficiali costretti a suo tempo al ritiro, comporta il loro passaggio di grado e per conseguenza, data la rigidità degli organici, l'uscita dai ranghi attivi di quanti oggi occupano funzioni determinanti con i gradi di generale. Significa, in ultimo, un cambio di tendenza al vertice delle forze armate. Perciò ha provocato reazioni, momentaneamente contenute con una trattativa che ha ridotto il numero delle promozioni e quindi l'ampiezza del movimento. Per coincidenza, il giornale brasiliano O globo pubblica alcune pesanti dichiarazioni del generale Marcelo Levingston, ex presidente argentino dopo Juan Carlos Ongania, poi parzialmente smentite dall'interessato. «Io ho soltanto dichiarato — ha detto il generale a riposo — che l'Argentina vive la più acuta crisi economica, finanziaria e sociale degli ultimi decenni e non che questa situazione è la stessa che portò le forze armate a deporre il presidente radicale Arturo Illia. nel giugno 1966». Il quotidiano di S. Paolo attribuisce a Levingston anche duri giudizi sull'azione politica del generale Augustin Lanusse, che dopo averlo sostituito nella massima magistratura dello Stato giunse a convocare le elezioni del marzo passato, in cui vinse il Fronte giustizialista. Al dibattito sviluppato tra le diverse tendenze presenti nelle forze armate argentine, non è del resto estranea l'ultima e più clamorosa risoluzione assunta dagli alti comandi, dopo la recente riunione dei comandanti in capo degli eserciti americani a Caracas, in Venezuela. Il generale Raul Carcagno, massimo esponente dell'esercito argentino, ha comunicato al ministro della Difesa — perché porti a conoscenza dell'iniziativa il capo dello Stato e il ministro degli Esteri —, che l'arma da lui rappresentata chiede l'immediato ritiro dal Paese delle missioni militari francese e nordamericana, attualmente ospiti. Livio Zanotti

Luoghi citati: Argentina, Buenos Aires, Caracas, Venezuela