Il profeta invecchiato

Il profeta invecchiato VIAGGIO-INCHIESTA NELLA CINA D'OGGI Il profeta invecchiato Mao "somiglia sempre più a un Budda placido e saggio" - Convinto d'avere realizzato quanto un uomo può desiderare, parla più di metafisica che di politica - Spente le ultime grida della rivoluzione culturale Pechino, settembre. Una steppa giallastra e infinita, di quello stesso colore che hanno i deserti sugli atlanti geografici, appare dopo i contrafforti innevati del Baikal, che s'intravedono appena nel turbine sfilacciato di nuvole grigie. In questo vuoto di quando in quando appaiono ombre che evocano i cappelli di feltro dei pastori mongoli. E una strada, astrazione lineare fino a lontani spazi azzurri, spacca perfettamente m due questo paesaggio lunare. Poi le esigue tracce dell'uomo scompaiono del tutto. Specchi d'acqua salmastra circondati da un anello bianco, dune di sabbia, scuri tavolati rocciosi simili alle hammada del Sahara: è il deserto dei Gobi, ora, a invadere tutto lo spazio, il leggendario Gobi delle carovane e delle tempeste di sabbia. Appena l'aereo incomincia la discesa verso la capitale cinese questa scena arida si addolcisce. Montagne spelacchiate costeggiano vallate strette e senza vegetazione, in cui si raggruppano casolari color terra, come nell'Atlante marocchino. Pechino sembra situata alle porte d'uno dei deserti più desolati del pianeta. Senza dubbio, ad altezza d'uomo le cose non sono così brutali. Una « bretella » della Transiberiana collega Pechino a Irkutsk, passando per UlanBator, e una strada attraversa quella Mongolia che funge da paraurti tra l'Urss e la Cina. Ma il rapido volo permette di misurare la distanza, nello spazio e più ancora nel tempo, che separa le due teste di ponte delle due maggiori potenze del mondo socialista: la Cina del NordOvest e la Siberia orientale. Pechino è soltanto a due ore di jet da Irkutsk. Ma che viaggio! Irkutsk non è per nulla quella « città, gaia, giovane, dove il freddo è molto meno acuto di quel che si dice all'estero » come afferma lo studente diplomato in spagnolo e impiegato all'Inturist, che mi accoglie all'aeroporto. D'inverno il termometro scende frequentemente, per sua confessione, a quaranta gradi sottozero. Ultima Europa Ma non è più la borgata sonnolenta tra un passaggio e l'altro della Transiberiana. I quartieri di isbe dai colori vivaci vengono soppiantati da agglomerati, meno pittoreschi ma solidi, di abitazioni in stile moscovita. In dieci anni, la popolazione è raddoppiata e raggiunge oggi il mezzo milione di abitanti. Vi sono sette istituti universitari e settanta imprese industriali, una delle quali soffia i suoi fumi neri proprio da un angolo di Piazza Kìrov. A sessanta chilometri dal Baikal (esteso quanto il Belgio e l'Olanda uniti), Irkutsk è già un polo di sviluppo industriale, una città pioniera, a un'ora d'aereo dalla grande diga di Bratsk, sull'Angara, dalla maggiore fabbrica d'alluminio del mondo (ottomila operai, la bauxite viene dagli Urali), e da uno stabilimento di cellulosa, piantato come una gigantesca caserma senza finestre, che emerge dalla fredda foresta. Il viaggiatore deve risolutamente dimenticare Gengis Khan e Michele Strogoff. A Irkutsk, come a Bratsk, nel cuore della taiga siberiana delicatamente argentata, per le strade, nei cantieri, nelle fabbriche, nelle facoltà universitarie, nove sovietici su dieci sono chiaramente d'origine europea. Il viaggiatore dimentichi anche le maglie intermedie che portano al Cremlino: la Siberia occidentale, gli Urali, il Volga. Essenzialmente, Irkutsk non è per nulla diversa da Mosca o Leningrado. La stessa folla, vestita in modo confortevole, apparentemente ben nutrita, e in cui prevale nettamente il tipo russo, di solida struttura, attende alle sue occupazioni senza dimostrare una gioia eccessiva e sembra assorbita da pensieri che sono certo gli stessi della società dei consumi occidentale. E' dunque l'Europa, solidamente installata agli avamposti della Cina, che pare di lasciarsi alle spalle quando l'aereo decolla in mezzo a una burrasca, ed è l'Asia, finalmente, che vi esplode davanti due ore più tardi: gong, cimbali, giochi di porcellana, occhi a mandorla, sorrisi amichevoli, meli, e giardini minuziosamente curati, dov'è al suo posto anche il minimo filo d'erba. Al mondo della lotta per la vita, della necessaria ricerca della comodità e dell'efficienza, subentra di colpo una società amabile, ordinata ma distesa, molto meno uniforme di quanto s'immagini, e dove i gradi sono sostituiti da taschini e penne stilografiche sulle tuniche blu. Come si può credere, confrontando queste immagini, certo immediate e sommarie, che le sole divergenze ideologiche possano spiegare il conflitto tra Mosca e Pechino? La storia, le culture accumulate, le tradizioni, i temperamenti, i climi, le concezioni della vita sostengono un ruolo molto più importante di quanto non lascino credere le analisi politiche in questo « stacco » evidente per il viaggiatore meno prevenuto che passa bruscamente dall'Urss alla Cina. Curiosamente — oppure non è proprio la prova che i maggiori rivolgimenti rivoluzionari non fanno che scalfire le civiltà secolari? — uno dei tratti comuni ai sovietici e ai cinesi è oggi un certo orgoglio del passato. Per i sovietici, si sapeva. Ma fino a questo punto! Le folle giunte a Mosca da ogni parte dell'Urss, che ogni giorno visitano lentamente il Cremlino sono molto più attente agli splendori delle chiese ortodosse che al freddo ordine del palazzo dei congressi. Le fastose residenze di Pushkin e Pavlovsk, vicino a Leningrado, erano state quasi completamente bruciate e distrutte durante la seconda guerra mondiale: i dirigenti sovietici le hanno fatte ricostruire fedel mente, pietra su pietra, pavimenti di legno pregiato, colonnati e statue di marmo, riportando dalla Siberia i Canaletto e i Rubens messi al sicuro durante la bufera. Quanto ai cinesi, chi aveva detto che la grande rivoluzione culturale proletaria (così la chiamano a Pechino) dal 1966 al 1970 aveva distrutto i vasi e le giade della Città Proibita? Far tabula rasa del passato... E' possibile che queste « guardie rosse » che s'incrociano mentre corrono a frotte gioiose attraverso Pechino ne abbiano avuto l'idea o la tentazione. Questo slancio sembra interrotto. Forse non è che una pausa. Ma aprendosi al mondo esteriore, la Cina ha riaperto le porte dei suoi monumenti, dei suoi musei e delle sue pagode al pubblico, e dunque anche agli occidentali. Dopo aver attraversato la vasta pianura completamente coltivata, su cui sembra galleggiare una fine polvere dorata, che si estende a Nord di Pechino, l'automobile s'inoltra nelle prime gole aride scavate nel susseguirsi infinito di catene di monti solcati da potenti erosioni. Sorpresa: la Grande Muraglia non appare di colpo. La cerco sulla sommità degli eleganti crinali che sbarrano l'orizzonte. Ed ecco un angolo della Muraglia, cadente, sfaldato, sprofondato, dall'aspetto d'un vecchio acquedotto che s'affaccia sul vuoto. La Muraglia Ce n'e poi un altro, più in alto, appoggiato alle rovine d'un torrione. Quella costruzione che appare sugli atlanti geografici delicatamente merlata, eretta, si dice, a prezzo di quattrocentomila vite, irrisorio baluardo opposto alle irruzioni dei Mongoli, non è più che un'astrazione. Percorso di ronda aerea, che seguiva fedelmente la linea delle più impervie pendenze, fin nei più bruschi salti di livello, costeggiato di posti d'osservazione, il più lontano dei quali, nel vunto più alto della montagna, somiglia ai nidi delle aquile, il muro s'offre oggi allo sbalordimento e alla meraviglia delle folle vestite di blu della domenica. Pensano forse che al di là degli ultimi crinali, ancor più lontano verso Nord e NordOvest, il mongolo inquieto non sia più un asiatico? Pare di no. La preoccupazione apparentemente sincera dei dirigenti cinesi, che hanno ritenuto opportuno far scavare rifugi antiatomici sotto la città di Pechino, e che ammettono volentieri davanti allo straniero che « il vero pericolo è l'Urss », non traspare su questi visi tranquilli e così pronti a un sorriso gaio. La stessa folla, naturalmente blu, con qualche macchia verde delle divise militari e le giubbe più originali di qualche bambino, scorre come un fiume lento e possente tra il Lago Kunming, dai colori delicati come in una stampa, e la Collina della Longevità del palazzo d'Estate. Immaginavo, certo, una marea umana, insormontabile, un brulichio anonimo, opprimente. Ma questa massa ha tanti visi, tanti sguardi, tanti passi, quanti sono gl'individui. Sembra che un diplomatico della missione cinese negli Stati Uniti si sia lamentato del fatto « che tutti gli americani si somigliano ». A Pechino l'uniformità è dovuta alla giustapposizione di migliaia di differenze sottili. Ogni ciclista, che naviga senza fretta in plotoni che occupano in tutta la larghezza il Viale della Pace Eterna, sembra avere un obiettivo preciso e particolare. Suonando il clacson a distesa i guidatori delle automobili e degli autobus, relativamente rari, tentano di superare senza far danni queste lunghe processioni dalle reazioni imprevedibili. Perché non è raro vedere un ciclista lasciare all'improvviso la sua fila per attraversare la strada in diagonale e ripartire nel senso opposto. Fantasia, distrazione, ispirazione? In ogni caso, la disciplina è, direi, più latina che germanica. L'antica reggia Nelle stazioni, all'entrata dei giardini pubblici o dello zoo i cinesi apparentemente non esitano a superarsi a vicenda per prendere il biglietto. Soltanto lo straniero sembra godere d'una precedenza assoluta. Soprattutto perché non potrebbe trovarsi li senza essere un « amico della Cina ». Ha dunque diritto a ogni riguardo. Dopo la sala della Suprema Armonia della Città Proibita, ecco quella della Purezza Celeste poi, ai piedi della Collina Profumata, il modesto tempio, dal tetto di tegole gialle e ricurve come artigli, dove dorme il Budda coricato. Malgrado le sue più vivaci proteste, lo straniero è lasciato solo, all'interno del tempio, a contemplare la statua di legno rosso e dorato, e le centinaia di visitatori attendono pazientemente fuori che i guardiani li autorizzino a proseguire la loro visita domenicale. « 11 presidente Mao, dicono i visitatori d'alto rango ammessi di recente a visitarlo, giunto al crepuscolo della sua vita, somiglia sempre più a un Budda placido e saggio. Parla poco di politica. Dice d'aver raggiunto il suo scopo e realizzato tutto ciò che un uomo può desiderare di costruire nella sua esistenza. Guarda le cose molto dall'alto, con distacco... ». « Durante le tre ore circa del mio incontro con lui, mi confidava uno dei suoi ultimi visitatori, il presidente messicano Echeverria, Mao ha soprattutto ascoltato, parlando di metafisica, dell'armonia del cielo e della terra, della suprema saggezza, della concordia tra gli uomini di buona volontà...». La Cina dopo la rivoluzione culturale rispecchierà la immagine di questo profeta invecchiato, che esce così di rado dalla sua dimora discreta, situata a duecento metri dagli eleganti portici dell'antica Città Proibita e dai massicci colonnati del Palazzo dell'Assemblea del popolo? Dove sono i battaglioni schierati e feroci? Dove sono le migliaia di mani levate sopra l'oceano delle teste brandendo il piccolo libro rosso? L'eco delle grida della grande rivoluzione culturale proletaria è scomparso, i « tatsepao » sono stati tolti dai muri della città. Ciò che si scopre nelle fabbriche, nelle comuni popolari o nelle università somiglia soprattutto — con più colore e immaginazione — ai pannelli dei sindacati nelle imprese francesi. Due anni dopo il gran tumulto che paralizzò fabbriche e università in modo impensabile, sono soprattutto la gaiezza senza affettazione, la gentilezza spontanea di questa folla che s'impongono allo straniero tentato di credersi un marziano. Perché il fatto che le porte della Cina oggi siano più che socchiuse non ha ancora del tutto dissolto l'eccezionale curiosità della popolazione. Il «naso lungo» che s'avventuri nei quartieri periferici di Shanghai (ma i cinesi spiegano di chiamare così l'occidentale che regnava non molto tempo fa sulle «concessioni» lungo lo Huangpu) suscita immediatamente un assembramento, domande, sorrisi, visi che si sporgono, curiosi. Marcel Niedergang (Copyright di « Le Monde » e per l'Italia di « La Stampa ») Shanghai Bambini tra la folla nella grande città industriale (Foto Gaio Garrubba Team) Shanghai. Bambini tra la folla nella grande città industriale (Foto Gaio Garrubba - Team)

Persone citate: Echeverria, Fantasia, Garrubba, Gengis Khan, Mao, Michele Strogoff, Pushkin