Ritorno all'umiltà di Giovanni Arpino

Ritorno all'umiltà Quattro gol venuti dall' Est Ritorno all'umiltà Cerchiamo di amministrare il ■■ mercoledì nero » del football nostrano in Coppa. Si dice, e con discreta ragione: le squadre italiane non sono ancora sufficientemente rodate rispetto ad avversari tedeschi, inglesi, romeni. Di chi la colpa? Del clima, del calendario, di Giove Pluvio, magari della Lega o della Federcalcio? Non è un discutere sul sesso degli angeli, ma sui fatti: a molti giocatori di nostra conoscenza fa più danno la vacanza che non un superlavoro. Ci so"-, atleti di varie discipline ette entrano in forma » sorvegliando se stessi con un impegno, un lavoro fisico e caratteriale, assai più intenso. I calciatori subiscono, nella loro sfera divistica e quindi fastidiosa, più stress, ma potrebbero ugualmente prepararsi meglio. Almeno quelli che, appartenendo a società di valore, impegnate in tornei internazionali, sanno di preciso le fatiche che li attendono. Un'altra cosa: è addirittura irresponsabile pretendere che sette o dieci nazioni europee adeguino i loro calendari al nostro (anzi, a quello delle sei società interessate alle competizioni extranazionali). Sono I club nostrani, ed i loro dipendenti, a valutare con sufficienza eccessiva un « lavoro », una scadenza che invece dovrebbero spronarli a ritmi di preparazione più serrati e proficui. Vacanze Da questa radice nascono le sconfitte di Juventus, Torino, Inter, il pareggio della Fiorentina. Solo Giorgione Chinaglia va in gol contro i dilettanti svizzeri, mentre il Milan onora il suo titolo di Coppa Coppe favorito dai confusi assalti jugoslavi. Sulla questione del ritmo, della forma, della dinamica singola e del collettivo » che non riesce a ritrovarsi dopo un mese di vacanza, non bisogna indulgere troppo: sarebbe come dar credito a bambinelli che strillano perché gli manca il cestino della merenda, dimenticato a casa. Quindi, al di là dello sta¬ tus psicofisico di un giocatore, di una squadra, emergono fattori di altro rilievo: superbia di questo e quel protagonista, alibi mentale, faciloneria tattica, ignoranza degli schemi altrui, tutta un'enciclopedia di parole che tentano di nascondere altre falle, altri sbagli. La Juventus non doveva perdere a Dresda. La Dynamo non vinceva una partita da agosto, era priva di tre uomini e acciaccata in vari altri. Poteva essere contenuta a dovere, attraverso il filtro del centrocampo. Subito alcune voci gridano: mancava Furino. Già, lo abbiamo scritto e ripetuto che Furia-Furetto, carro armato leggero, è pedina essenziale. Ma venivamo assicurati sulla capacità del modulo che avrebbe dovuto sostituir-* lo. E così non è stato. La verità è questa: non ha perso Marchetti, o Capello, o Cuccù o Bettega a Dresda, ma tutta la Juventus, stranamente imbastita e priva di lumi. E non è lecito che i protagonisti della grigia serata sassone vengano a dire: loro picchiavano. I tedeschi hanno picchiato sì, ma dopo. In anticipo si sono distinti nel far volare gli avversari (gomitate, abbrancamene, colpi di falce e cioè di stinco maligno) vari difensori bianconeri. Ad un certo punto, i vari Rau e Sachse hanno risposto per le rime, da buoni vichinghi dimostrando ossa più solide. Se la rivincita del 3 ottobre verrà impostata sul piano gladiatorio, si sprecheranno le ammonizioni e magari le espulsioni, che in Coppa pesano anche troppo. La Juventus era troppo « mini » a Dresda, rispetto a se stessa: tranne Spinosi, Anastasi, Salvadore e Zoff non ha scaraventato sul piatto della bilancia il valore e la volontà necessari. Si sono visti duetti ed uno-due degli attaccanti gialloneri che tagliavano bellamente fuori alcuni « nazionali » juventini, costringedoli a figuracce dilettantesche. La mancanza di riflessi, di scatto, non veniva compensata neppure da una certa dedizione e sacrificio. Non c'è * Pelé al mondo che possa permettersi il lusso di sottrarsi ad una brutta figura, con uno scivolone o un contrasto poco ortodosso, quando le sorti della gara sono chiaramente compromesse. Ora l'intero clan bianconero si china sui cocci — previsti, ma digrignando i denti da parte nostra — della partita. Un bagno di umiltà, dicono in molti, una lezione che può tornare utile, un memento per i novanta minuti decisivi che dovranno essere giocati a Torino il 3 ottobre. Giustissimo, purché queste non rimangano parole: quelle parole che spesso gli « addetti al gioco » ripetono ricavandole con troppa leggerezza dagli articoli di giornale. Ora delicata L'umiltà è tanto pregevole quanto difficile. L'ora della Juventus — e del Torino, dell'Inter (mago permettendo), dei giovani fiorentini — è delicata, quindi bisognosa al massimo di umiltà e comaraderie. Il calcio italiano, viziato da calendari che debbono essere ridimensionati a seconda degli impegni, non può patire eliminazioni massicce nella prima giornata delle Coppe. Un incidente simile costituirebbe un handicap notevole. Dynamo Dresda e Lokomotive Lipsia hanno suonato le loro sirene. Il turno — inutile nascondercelo — è compromesso. Per i gialloneri di Kreische il « ritorno » a Torino non sarà una passeggiata, se sappiamo valutare le rabbie e i propositi juventini: ma è gente che sa lanciare la palla, « melinare » ad alto livello e con un nuovo gusto di vittoria sul palato (grande medicina). Nella sera del 3 ottobre sia i bianconeri sia i granata debbono offrire uno spettacolo di alta dignità calcistica, al di là del punteggio. La coscienza di « sapere perdere » in calcio è la prima pietra per costruire una vittoria. Gli atti di superbia e le lamentele postume lasciamole agli attori dei teatrini. Giovanni Arpino Dresda. Causio e Kreische, due stili e anche due ritmi diversi (Telefoto)

Luoghi citati: Dresda, Torino