CU ammalati colpiti dal contro hanno diritto di essere illusi?

CU ammalati colpiti dal contro hanno diritto di essere illusi? Congresso mondiale di oncologia a St -Vincent CU ammalati colpiti dal contro hanno diritto di essere illusi? Tesi contrastanti fra i medici su come affrontare il paziente - Per alcuni è preferibile la verità; ma in prevalenza si tace "anche se il malato capisce molto di più di quanto si creda" (Dal nostro inviato speciale) St-Vincent, 20 settembre. Si deve dire ad un canceroso la verità o è meglio illuderlo? E qual è la reazione dell'ammalato alla notizia? Anni fa il prof. Achille Mario Dogliotti ebbe una risposta molto bella: « L'esperienza personale mi permette di affermare che nella generalità dei casi l'uomo che nella vita ha lungamente lottato e vinto le sue battaglie sa superare anche quest'ultima con dignità. Spesso, anzi, con ammirevole coraggio ». Domando a medici che partecipano al congresso mondiale sul cancro di Saint-Vincent: quando accertate un tumore grave, come vi comportate con l'ammalato, ed egli come reagisce? Alcuni medici francesi ricordano che l'argomento è stato affrontato, un paio di anni fa dalla televisione del loro Paese, in una coraggiosa trasmissione. Furono esposti due casi-limite. Primo caso. Un ufficiale che era uscito dalla guerra con medaglie al valore chiede al medico la massima franchezza. Con calma dice che vuole sapere la verità, perché deve mettere ordine nei propri affari e sistemare la famiglia. Davanti a tanta determinazione, il medico gli risponde che è condannato. L'ufficiale non mostra emozione, ringrazia. Va a casa e si uccide con una rivoltellata. Secondo caso. Nel 1964 il signor Peter Fenbow appreni de dal medico che gli restano , a i e e a a n o i , o e i ro a. a el iea i o i tre mesi di vita. Qualche giorno dopo si sposa « deciso a riempire ogni giornata, ogni ora restanti di una massa di ricordi felici ». Passano alcuni anni e il signor Fenbow racconta alla televisione la sua guarigione e la sua esperienza di « resuscitato ». Il prof. Caldarola, direttore dell'istituto di oncologia di Torino, dice che alla terribile notizia ogni ammalato reagisce secondo il proprio temperamento, è impossibile stabilire una regola comune. « Ma è opportuno, professore, informare l'ammalato? ». « Bisogna essere realisti. Quando l'ammalato è persona che ha degli obblighi sociali, delle responsabilità, io gli dico: "Guardi, signore, che lei non può più fare programmi ". Naturalmente è un colloquio a quattr'occhi e sempre resta sacro il segreto professionale. Nel caso, invece, di persone che non hanno responsabilità sociali e tanto più quando il nucleo familiare già soffre moralmente ed economicamente, allora bisogna essere pietosi fino al punto di mentire ». Ma quanto dura l'illusione? I medici affermano: « L'ammalato capisce molto di più di quello che noi crediamo ». Quasi sempre sono gli stessi familiari che si tradiscono. Diventano troppo premurosi, il loro imbarazzo è evidente, non sanno nemmeno più di che cosa parlare. L'ammalato un giorno si accorge di essere guardato in modo insolito, e capisce. « E' difficile avere che fare con l'ammalato a questo punto — dice la dottoressa Kobler Ross che ha compiuto un'indagine su 400 ammalati gravi — è sospettoso, ipercritico, diventa cattivo. Qualunque cosa si faccia, non va mai bene. Aspettiamo da lui la domanda cruciale: "Perché proprio a me?" e che dia sfogo al suo risentimento. Dopo starà meglio, moralmente ». Come si comporta lei con i suoi ammalati? La domanda è al prof. Maltoni, che dirige il centro tumori di Bologna. Risponde che al suo istituto va una popolazione sana o che si ritiene tale, ci va per misura preventiva e perché sotto controllo. « In alcuni scopriamo lesioni precancerose e subito li mettiamo in guardia. Ura facile cura e la cosa finisce lì. Oppure accertiamo un carcinoma, che è ancora perfettamente guaribile e in organo facile da raggiungere. Diciamo la verità, spieghiamo che non è davvero il caso di drammatizzare, comunque non si deve perdere tempo, ma curarsi subito ». Continua Maltoni: « Altre volte ci troviamo di fronte ad un carcinoma relativamente guaribile, ma in tempi lunghi. Quasi sempre, nove volte su dieci, diciamo la verità. La nascondiamo o la sfumiamo solo quando si tratta di soggetti psichicamente fragili ». Per lunga esperienza, il prof. Maltoni può affermare che in genere la verità, invece di stroncare l'ammalato, lo fortifica, gli dà una « coscienza sanitaria » che gli fa seguire la cura con maggiore scrupolo. E' quello che si dice un buon paziente. Tanto più (e questa è una bella notazione psicologica del Maltoni) che la franchezza del medico dà speranza e l'orgoglio di poter dire: « Beh, insomma, mi è capitato un guaio, ma lo risolvo ancora ». Infine, il quarto caso: il tumore è inguaribile. Dice il prof. Maltoni: « A meno che non si tratti di persona con particolarissime responsabilità o con formidabile forza spirituale, non diciamo la verità ». « La bugia pietosa, professore? ». « Diciamo che diamo all'ammalato la risposta che egli vuole sentirsi dire. Dall'insistenza delle sue domande intuiamo se preferisce essere illuso o preparato ». Anche il prof. Sannazzari, direttore dei servizi radioterapici all'università di Torino, ha parecchio da dire sull'argomento. Ogni giorno tratta in media 150 pazienti con tumore. Dice: « Ci sono ammalati lottatori ed altri angosciati: è chiaro che è importante saperli riconoscere e comportarsi in modo diverso. Mi capitano ammalati che già sono stati curati in America. Là dicono sempre la verità, qualunque sia. Alcuni di questi ammalati, che conoscono la loro sorte, sono ammirevolmente stoici, il comportamento di altri è talvolta, spesso dolorosamente, falso, sono personaggi tragici anche se fingono indifferenza o addirittura allegria ». Dice anche: «Il rapporto medico-paziente deve sempre risolversi a vantaggio del secondo. Nei casi disperati il medico deve saper capire se è meglio far vivere gli ulti,777.7 mesi in un modo piuttosto che in un altro ». E' una responsabilità enorme. E' spaventoso quel colloquio a quattr'occhi, come dice Caldarola, quando il medico riesce a dire: « Lei non può più fare programmi. Non prenda impegni che vadano oltre i due, tre mesi ». Dice il prof. Sannazzari: « Se vedo la possibilità di gzlcnltlptlqcVqrpèE"ldrolmlfipdtrnm«lvnn guarigione dico senza reticenze la verità al paziente. Così lo si responsabilizza, lo si può curare con più efficacia. Ma non so se sia opportuno dire la verità quando si è di fronte ad un caso disperato. Se la verità non serve più per poter curare meglio il paziente, forse è preferibile lasciarlo nell'illusione ». Tre tipi di risposte, dunque, che mi hanno dato anche altri medici qui a SaintVincent. « Sì, dire la verità quando l'ammalato ha delle responsabilità, obblighi, impegni ». Altri, invece: « Forse è meglio lasciare l'illusione ». E infine: « Intuire qual è la "verità" che l'ammalato imole sentirsi dire ». Ma nessuna di queste risposte può essere presa come regola perché ogni ammalato è diverso dall'altro, ognuno reagisce in modo differente, come la televisione francese ha esemplificato in due casi autentici. 1. c.

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