Tra la folla di Mosca di Gabriella Poli

Tra la folla di Mosca Viaggio di un cronista nell'Unione Sovietica Tra la folla di Mosca I grandi magazzini della Piazza Rossa sono percorsi da una marea di gente, a passo di carica da una galleria all'altra - Nell'antico cimitero moscovita, un giorno di festa: intere famiglie, uomini soli, coppie d'innamorati, militari, turisti - A teatro un pubblico folto e attento, quasi rapito in estasi religiosa (Dal nostro inviato speciale) Mosca, 19 settembre. Ho incontrato, tra il sabato e la domenica, tre aspetti della folla di Mosca. Al Gum, al cimitero di Novo Devici] e in due teatri: al Bolscioi e in quello del Palazzo dei congressi, dentro le mura del Cremlino. Il Gum è il Grande magazzino universale che sorge sulla Piazza Rossa. Facciata floreale, tre lunghissime gallerie coperte da una cupola di vetro, lampadari e una fontana a zampilli, che forse per compensare il forte acquazzone di fuori, era asciutta. Non è un grande magazzino come i nostri, ma un insieme di oltre seicento negozi e negozietti che si aprono a due livelli sulle gallerie e vendono di tutto. Eravamo tre o quattro quando un « taxi di linea » che ci aveva prelevato sotto scrosci di pioggia nella vecchia Arbat ci ha sbarcati al Gum, ma appena entrati ci siamo persi di vista, travolti da una marea di gente che a passo di carica percorreva le gallerie, faceva massa davanti ai banchi di vendita, chiacchieravc, divorava gelati e sembrava sempre diretta verso un obiettivo opposto a quello raggiunto. Ho visitato il Gum lasciandomi trasportare dalla corrente, fermandomi dove potevo e come potevo, a vedere che cosa comprano i moscoviti in quello sterminato, gioioso bazar che mi è parso il Gum. Madri e figli davanti a un negozio gremito. Qui si vendono quaderni e matite — la scuola è cominciata da poco — cartelle, plastilina e fogli sciolti. Ragazze in tripla fila aspettano di acquistare un rossetto: 120 rubli (il mensile medio di una donna addetta alle pulizie è di 75 rubli; di un'operaia 14.0; di un'impiegata 120) o un flacone di lacca, un rublo: o uno di quei profumi orientali, dolci e pesanti che sanno di giacinto e di acacia: da 1 a 4 rubli. Alla bimbetta bionda che fa i capricci, la madre vorrebbe comprare una scatola di pezzi da costruzione in legno odoroso di pino, o una bambolina alta poco più di un palmo, 1,30 rubli; 2,50 costa il bambolotto vestito con un ricco costume usbeco. Per motivi a me incomprensibili, decide di ripiegare su una focaccetta da 20 copechi (il copeco è la centesima parte del rublo) e bene o male la bimba si acquieta. Un ragazzo s'incanta davanti a un pallone, 9 rubli; sua madre lascia il cuore su un completo pantalone di jersey giallo: 79 rubli. La misura è troppo piccola, il prezzo troppo caro. Un paio di scarpe da donna, decisamente brutte, 40 rubli; da bambino, poco di meglio, 5 rubli. Nel negozio di radio-tv vedo vendere un televisore portatile per 240 rubli e scegliere una radio: incertezza tra l'apparecchio da 76 e quello da 150 rubli. I dischi sono una montagna e costano pochissimo: 33 giri, 65 copechi. Duetre rubli per una bottiglia di vodka, poche decine di copechi per il pacchetto di tè o la scatola di marmellata. Il pubblico non si limita a guardare. Sceglie, a volte rigirando sospettosamente la merce tra le mani, a volte con strano distacco e indubbia precipitazione; compra, paga, esce con le braccia cariche e subito è inghiottito dal metrò. Mi sarà spiegato più tardi che la maggioranza dei clienti del Gum — prezioso osservatorio di mercato per gli esperti della pianificazione — è formata da provinciali. Ogni quartiere ha il suo grande magazzino, non ci sarebbe motivo di correre fino alla Piazza Rossa per acquistare la stessa merce che si trova con più comodità a poca distanza da casa. Le commesse Uno sguardo alle commesse. Giovani e meno giovani, velocissime col pallottoliere, mi sembrano automi senza sorriso. Porgono in fretta la merce richiesta; se non va, non si preoccupano di suggerire un'alternativa; se non c'è, rispondono con un « niet » definitivo, che scoraggia ogni ulteriore richiesta d'informazioni. Così al Gum, e si capisce, dato il numero dei clienti che si aggira sul mezzo milione al giorno; così nei negozi al di fuori del Gum, e qui noi riusciamo a capirlo un po' meno. Pomeriggio di festa, un pallido sole uscito dal cielo imbronciato. Andiamo al Nuovo convento della Vergine. Torri merlate, una mezza dozzina di chiese autorevolmente dominate dalle cupole a bulbo di Nostra Signora di Smolensk, e un antico cimitero. Il famedio di Mosca. Le tombe di Gogol, Cecov, Tolstoi, Majakovskij, Scriabin, Prokofiev. E anche di generali, scienziati, grandi medici. E quella di Kruscev: un semplice tumulo di terra, na- ' scosto da una montagna di fiori freschissimi e sormontato da un ritratto sorridente. Da chi è fatta questa folla domenicale che viene al cimitero come si va nel parco a passeggiare, che si aggira quieta tra bronzi corrucciati, estenuati marmi di donne recline, piccoli recinti in ferro battuto attorno alle tombe e all'interno di ogni recinto una panchina per il colloquio, a tu per tu, del vivo col morto? Vedo famiglie intere, uomini soli, coppie di innamorati, militari, gruppi di turisti armati di macchine fotografiche. La guida ci spiega che a Mosca ci sono molti cimiteri di periferia, ma che qui la gente viene anche di lontano per rendere omaggio agli uomini che hanno fatto onore a Mosca e alla patria. I grandissimi — dice — sono nella Piazza Rossa. Accanto a Lenin, il padre della patria sovietica. Là, dopo l'espulsione e la silenziosa parziale riabilitazione, ci hanno riportato Stalin. Il suo busto, spettrale, s'intravede tra gli abeti argentei addossati alle mura del Cremlino. Tifo al balletto Venire a Mosca e non assistere al balletto? Imperdonabile. La delegazione di Torino va in massa al Bolscioi per vedere « Giselle ». Tutti bravi, gli artisti bravissimi. « Anche se — dice gentilmente una signora di Kiev — la vostra Fracci è un prodigio ». Mentre Giselle danza, muore, risorge e danza ancora, guardo la gente che gremisce la bomboniera rossooro del Bolscioi. Non un posto libero — e mi dicono che è sempre così, in tutti i trenta teatri di Mosca — rigoroso orario di entrata in sala (chi arriva in ritardo resta fuori), un'attenzione sospesa, rapita, quasi religiosa, un pubblico multiforme per età e condizione. Contadini, funzionari, operai, studenti, donne di casa, giovani e vecchi accomunati dalla stessa tensione. E i « tifosi ». di uno o dell'altro artista, in gara appassionata di emulazione. Scoppi di battimani a scena aperta, concitate discussioni nei corridoi o al buffet, che è al pianterreno e offre, nell'intervallo, strane scoperte al forestiero. Champagne con pane e salame, per esempio; o birra con coppe di gelato all'amarena. Se col Bolscioi e il suo ambiente ottocentesco ci sentiamo quasi a casa e pensiamo al Carignano, un po' avviliti nel rievocare quanto sia disaffezionato il nostro pubblico, nel teatro del Grande Palazzo dei Congressi pare di essere in un altro mondo. Seimila posti, un palcoscenico colossale, impianti di scale mobili capaci di sfollare il pubblico in brevissimo tempo, un'acustica eccellente. La sera che noi torinesi ci siamo andati, erano in programma danze folkloristiche e balletti inframmezzati da brani d'opera, parecchi dei quali italiani. Un programma popolare. Ma il pubblico non era diverso, né meno attento di quello del Bolscioi. Anche qui giovani e anziani, molti operai (il sipario si apre alle 19 e si chiude alle 22, resta il tempo per una buona dormita). Abolita la discriminante dei posti; prezzo unico. Compreso nel biglietto uno spettacolo nello spettacolo: quello della valanga di spettatori che alla fine della prima parte si alzano tutti insieme, come ubbidendo a un richiamo e. senza chiasso, senza spingersi, senza disordine, attraversano gli atri lucidi di marmi dirigendosi verso le scale mobili che portano all'ultimo piano. Qui, su tutta l'area del Palazzo dei Congressi, sì apre un'immensa sala quadrata, quella dei banchetti. Sul perimetro sono sistemati i banchi del buffet. Robuste massaie servono cibi e bevande: dalle torte alla frittata, dalle polpette ai pomodori, a quelle piccole mele verdi più simili per dimensioni a prugne acerbe. Il pubblico ritira piatti e bicchieri, coppe e posate poi si avvia ai tavoli coperti di tovaglie bianche, lunghi decine di me tri, che occupano tutto il cen tro della sala, qualche scalino più in basso. M'immagino che babele se, al posto dei sovietici, che non alzano mai la voce, ci fossero — a divorare i rinfreschi — altrettanti latini. Invece si sente soltanto un brusio, come di un fiume tranquillo. Gabriella Poli Mosca. Il piccolo Bolscioi e, a destra, i cartelli con la pubblicità degli spettacoli in corso (Foto Michele Nazzaro)