L'Italia e il dramma del Cile di Giovanni Trovati

L'Italia e il dramma del Cile Le reazioni del governo e il dibattito tra le forze politiche L'Italia e il dramma del Cile La posizione ufficiale della de, indicata in tre documenti di Fanfani, oggetto di violente critiche da parte degli extraparlamentari e della sinistra socialista che giudicano blanda la condanna del colpo di Stato - "Lotta continua" e "Manifesto" attaccano anche il pei che, accusando la de cilena, ammette la possibilità di un dialogo politico con le forze cattoliche Se è opinione prevalente che la tragedia del Cile non possa ripetersi in Italia, perché sono diverse le norme costituzionali (da noi un governo cade quando non è sorretto dalla maggioranza parlamentare), è convincimento comune che abbia ripercussioni nei rapporti tra i partiti e nell'interno dei partiti, e possa anche turbare il cammino del centro-sinistra. Due sono i motivi provocatori di polemica: il comportamento della de cilena, la controversia sulla possibilità di una via al socialismo nel rispetto delle libertà democratiche. Le critiche La posizione della de italiana, ufficialmente, è stata indicata in tre documenti da Fanfani. Appena avuta notizia del colpo di Stato militare egli esprimeva «fraterna apprensione per le sorti del popolo cileno, vittima della mancata concordia tra forze democratiche nel respingere ogni atto capace di infiacchire le istituzioni e di mettere a repentaglio la sicurezza e la lìbera vita dei cittadini», condannava il «ricorso alla violenza anche nella vita politica» e «la stolta pretesa di restaurare l'ordine calpestando la libertà». Per il segretario della de italiana tutti i partiti avevano le loro colpe non essendo riusciti ad arrivare alla concordia. Il giorno seguente, quando le agenzie diramavano il comunicato della de cilena, Fanfani dettava una seconda nota: riconosceva alla de cilena il diritto di giustificare la propria condotta e di criticare gli avversari, ma aggiungeva che «l'espressione di semplice rincrescimento per ciò che è successo non (...) sembra adeguata alla gravità degli avvenimenti» e dichiarava di stupirsi del\'«ottimistica attesa» che essa dimostrava «per l'evolversi di un intervento che la de italiana condannava», ossia per una evoluzione democratica del colpo di Stato militare. Infine, il terzo giorno, confermava il distacco dalla de cilena, avvertiva che la de italiana non sarà disponibile per «confuse esperienze che hanno sempre portato prima alla scomparsa del benessere e poi alla perdita della libertà». Una parte dei socialisti e i comunisti hanno giudicato insufficiente il distacco della de italiana dalla de cilena, i gruppi extraparlamentari l'hanno ritenuto addirittura una complicità. E qui si innesta il secondo punto di polemica che coinvolge tutti i gruppi della sinistra, induce «Lotta continua» e «Manifesto» • a considerare la de «nemico numero uno» della volontà di emancipazione delle masse popolari e ad accusare il pei di moderatismo e di riformismo, ripropone al psi il problema della sua funzione al governo. Se la tragedia cilena dovesse essere considerata come una prova che è impossibile la via pacifica al socialismo, che cosa starebbe a fare il psi nella coalizione di centro-sinistra? La sua sarebbe una posizione di semplice copertura a interessi conservatori? Potrebbe ancora attribuirsi il compito di spingere ad un progressivo cambiamento di modello? E potrebbe rimanere alleato con una de italiana che non sapesse staccarsi in modo netto dalla de cilena? Nel partito socialista si sono delineate due posizioni: quella ufficiale, della maggioranza che ha i suoi uomini al governo, e quella di minoranza che avrebbe preferito che il psi desse il solo appoggio esterno. Svll'Avantil di domenica Gaetano Arfè affermava che in Cile «la sedizione fascista è passata attraverso la breccia, diventata insanabile frattura, tra la de, che ne porta la responsabilità, e lo schieramento di sinistra», ma prendeva atto della «sconfessione dei democristiani italiani e non italiani», e ammoniva a non prestarsi al gioco di chi vuol servirsi dei fatti cileni «per inserire elementi di provocazione e di rissa nel dialogo tra le forze politiche» e per riprendere «un'offensiva contro i partiti e le organizzazioni tradizionali del movimento operaio». Una lezione Invece, la minoranza del psi non si è accontentata della «sconfessione»: Lombardi è arrivato a dire che la «blanda critica» in luogo di una «dura critica» fa sorgere «l'inquietante dubbio su come si comporterebbe la de italiana nell'ipotesi di analoga situazione in Italia». (Dubbio che diventa certezza per «Lotta continua» che oggi intitola un suo corsivo: «Un Pinochet per Fanfani?»). 1 comunisti, più ancora dei socialisti, sono incalzati dai gruppi extraparlamentari ed essi replicano accusandoli a loro volta di miopia politica perché affermano che senza violenza non si instaura il socialismo e che occorre combattere «muro contro muro». Il pei ritiene che dalla tragedia cilena si debba trarre questa lezione: non si può trasformare il modello di società senza prima essersi assicurato il consenso della maggioranza della popolazione. E' un assurdo chiedere di combattere la de in toto, occorre distinguere tra democristiani e democristiani seguendo il criterio che non basta l'unità della classe operaia, ma occorre cercare «alleanze della classe operaia con i ceti medi contadini e con gli intellettuali democratici ». Paolo Bufalini scriveva sull'Unità di domenica che c'è una esigenza di comprensione, di inlesa «tra le forze politiche democratiche che hanno basi nei diversi strati della popolazione lavoratrice». Di qui la necessità di «coinvolgere tutte le parti di sincera ispirazione democratica della de». Più che una condanna è un appello: «Di fronte alla barbarie fascista scatenata nel Cile, la de italiana non può cavarsela con qualche parola di critica», deve battersi contro «l'ignobile politica della de cilena» e «riconoscere che in Italia una prospettiva di insuperabile divisione delle grandi forze popolari radicalmente contrasta con le esigenze della difesa e dello sviluppo della democrazia». Un'utopia? Mentre i socialisti danno la colpa intera della tragedia alla de cilena e Mancini sottolinea che non si può fare «nessun rimprovero al comportamento del compagno Allende», il pei invece fa un'analisi critica di «Unità popolare». Analisi che ha punti in comune con quella pubblicata dal «Manifesto». Diverse però sono le conclusioni: per il pei è possibile la via pacifica al socialismo, per il «Manifesto» è un'utopia. Giuliano Pajetta fa due osservazioni principali: «Unità popolare» è arrivata al potere con poco più di un terzo dei voti, in una repubblica presidenziale in cui i poteri del presidente erano assai limitati, quindi parlare «di una via parlamentare non corrisponde alla realtà»; le profonde trasformazioni «rese più costose da spinte e improvvisazioni massimalistiche tesero a produrre oscillazioni e turbamenti crescenti nel ceto medio». Implici¬ tamente, Pajetta difende la condotta moderata dei comunisti cileni, mentre il «Manifesto» esplicitamente dichiara che l'ala sinistra del psi si andava radicalizzando e avvicinando al Mir. Secondo il «Manifesto», Allende avrebbe dovuto distruggere l'apparato statale una volta che si era accorto che gli era ostile; Pajetta invece ritiene che l'aver «proposto e minacciato» questa distruzione ha finito per spostare a destra l'apparato. Ancora oggi l'Unità, nel riprendere, con tono più violento, l'attacco alla dirigenza della de italiana e a Fanfani in particolate per le sue dichiarazioni anticomuniste, accusa di incoerenza e di confusione mentale «ceri: settari che s'ammantano con vesti di sinistra» («Lotta continua» e il «Manifesto»), perché «questi nostalgici della setta» propongono di «tornare a una linea di scontro frontale fra movimento operaio e l'insieme della de». Rileviamo quel «tornare» che rivela il riconoscimento di un cambio nella condotta del pei. Anche se da più parti si afferma che tra Cile e Italia nessun raffronto è possibile, non vediamo come si possano negare certe analogie, quanto meno nel comportamento dei partiti. Come in Cile, il pei non vuol chiudere con la de, come in Cile il psi ha un'ala massimalistica, come in Cile i partiti tradizionali della sinistra debbono difendersi dal facile estremismo degli extraparlamentari (denunciato più volte da Allende), come in Cile la de italiana è divisa: c'è chi condanna senza attenuanti il comportamento dei dirigenti del partito di Frei, e c'è chi (come Forlani) soprattutto si preoccupa di spiegare, se non proprio di giustificare, il comportamento della de cilena e riscuote l'applauso della destra italiana. Rimangono due interrogativi. La polemica renderà più difficile i rapporti tra i partiti del centro-sinistra o i dissensi tra i partiti e nell'interno dei partiti saranno assorbiti dalla logica dello stare al governo? Lo si potrà vedere al dibattito fissato alla Camera il 26 settembre sul Cile e il successivo dibattito del 27 sul dissenso nell'Urss. Giovanni Trovati