Lunga battaglia tra i portuali di Trieste per la gestione dei nuovi mezzi meccanici di Giuliano Marchesini

Lunga battaglia tra i portuali di Trieste per la gestione dei nuovi mezzi meccanici La vertenza dura da quaranta giorni, c'è tensione e malumore Lunga battaglia tra i portuali di Trieste per la gestione dei nuovi mezzi meccanici Questi sono per legge affidati ai dipendenti dell'ente porto - Ma anche gli operai delle compagnie portuali rivendicano il diritto di disporre degli impianti, per non essere tagliati fuori dai benefici - Trattamenti diversi per due categorie (Dal nostro inviato speciale) Trieste, 17 settembre. Grappoli di sacchi salgono rapidi aggrappati alle gru, vengono ingoiati dai magazzini allineati lungo la banchina. Il porto di Trieste funziona regolarmente, in questo periodo non ci sono più scioperi, ma il clima non è sereno. Si trascina quella vertenza di cui sono protagonisti i lavoratori dello scalo: in quaranta giorni non s'è potuta trovare una via d'uscita. Come abbiamo riferito, la lunga controversia riguarda l'uso dei mezzi pesanti meccanici per il movimento dei mezzi a terra. Un articolo della legge istitutiva affida la gestione di queste attrezzature esclusivamente ai dipendenti dell'Ente porto. Gli operai delle compagnie portuali, che operano per proprio conto, rivendicano a loro volta il diritto di disporre degli impianti. La tecnica viene incontro alle crescenti esigenze degli scali marittimi, mette a disposizio¬ ne nuovi strumenti, e i lavo-1 ratori delle compagnie mani- festano il timore di essere in , un certo senso «tagliati fuori» ' dai benefici di questo ammodernamento. Il caso non si presenta di facile soluzione, e lo dimostra la serie di giornate inquiete che sta attraversando il porto triestino. Vi sono state agitate riunioni, si sono susseguiti a ritmo intenso gli interventi dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali, si sono avuti anche contrasti nella va- ! lutazione della vertenza e delle sue conseguenze. Finora, a parte la tregua nelle astensioni dal lavoro, la situazione non è cambiata. Forse si potrebbe arrivare a sbloccarla in breve tempo, se non ci fosse di mezzo quella norma che sembra rappresentare un ostacolo invalicabile. Per cui si ha l'impressione che la disputa abbia radici più burocratiche che sostanziali. Comunque, pare di ravvisa- re una volontà di giungere al più presto ad una composizione. Giovedì scorso c'è stato un incontro a Roma, le tre segreterie sindacali hanno esaminato a fondo i problemi dello scalo triestino dedicando particolare attenzione a quello riguardante la conduzione dei mezzi pesanti meccanici. E sarebbe emerso l'intento di «superare le attuali momentanee divergenze», allo scopo di «rinsaldare l'unità di classe di tutti i lavoratori del porto». Si è deciso di affrontare nuovamente la questione, cercando di definirla, in una prossima riunione. Intanto, per domani è prevista la visita a Trieste del ministro della Marina mercantile, senatore Pieraccini. Una visita di particolare importanza: sarà sottoposta al ministro la somma di problemi che in questo momento travagliano l'emporio triestino, ed è probabile che si torni a parlare della controversia per la gestione delle attrezzature. Si osserva che l'ostacolo potrebbe essere scavalcato, ad esempio, con una modifica della legge istitutiva dell'Ente per il porto. Qualche rappresentante sindacale insiste perché l'attività nello scalo venga pubblicizzata il più possibile, con l'eliminazione delle differenze che rischiano di provocare una frattura insanabile tra gli operai addetti al movimento delle merci. «Ci si trova — dice l'ing. Renzo Colautti, direttore generale del porto — in un vicolo cieco in cui si scontrano due categorìe di lavoratori, che non sanno come venirne fuori. C'è la norma che assegna la conduzione degl'impianti ai dipendenti dell'Ente, ma esistono anche questioni di più vasta portata. Questo è il fatto che si potrebbe definire esterno. La sostanza, poi, è nello sviluppo dei mezzi meccanici. Una volta si portavano i sacchi a spalle, adesso gl'impianti consentono di lavorare in condizioni ben diverse. E' il discorso dell'evoluzione tecnica di qualsiasi settore industriale. Soltanto che qui abbiamo l'urto tra due esclusine: quella concessa dal codice della navigazione, di cui si avvalgono gli operai delle compagnie portuali, e quella stabilita dalla nostra legge istitutiva». L'ingegner Colautti conferma che la tendenza è quella di pubblicizzare lo scalo: «In questo quadro, evidentemente, lo strumento predominante è l'ente pubblico, mentre il codice della navigazione è più generico. E poi, ogni porto presenta una situazione diversa. Qui la legge non lascia molto margine. E allora, o la si modifica, oppure si accoglie la proposta di inserire il personale delle compagnie portuali nella gestione dell'ente. Mi pare che non si possano mantenere due trattamenti diversi nei confronti di persone che lavorano a fianco a fianco, due sfere di esclusiva nello stesso ambiente. Questo comporta attriti, come s'è visto. In ogni caso, quello che occorre fare è evitare che conflitti di competenze si ri¬ solvano in aumento di costi, in un danno di gestione». Questo, comunque, non è l'unico malanno che affligge il porto triestino. Lo scalo ha bisogno di garanzie, di interventi adeguati per poter essere in grado di tenere il ritmo dei grandi traffici marittimi internazionali. «Occorre tener presente — dice il direttore generale — che il nostro emporio è il più esposto alla concorrenza estera. A pochi chilometri di distanza ci sono i porti di Capodistria e di Fiume, dove i costi sono notevolmente inferiori, diciamo in una misura che va dalla metà a un terzo. E poi, i porti del Nord dispongono di impiantì altamente qualificati. L'utente ha quindi molte possibilità di scelta. Noi, per il momento, non siamo in condizioni di offrire il meglio». Giuliano Marchesini

Persone citate: Colautti, Pieraccini, Renzo Colautti

Luoghi citati: Fiume, Roma, Trieste