Dipenderemo sempre più dal petrolio mediorientale

Dipenderemo sempre più dal petrolio mediorientale Dopo la riunione dell'Opec a Vienna Dipenderemo sempre più dal petrolio mediorientale Sotto l'incalzare della domanda dei Paesi industriali, la produzione di greggio è in forte aumento - Ma soltanto le risorse del Medio Oriente sembrano capaci di far fronte ad incrementi vistosi della richiesta (Nostro servizio particolare) Roma, 17 settembre. La conferenza dell'Opec, ossia dell'Organiszazione dei Paesi esportatori di petrolio, tenuta a Vienna nelle giornate di sabato e domenica, si è conclusa con la decisione di avviare al più presto negoziati per la revisione dei prezzi dell'accordo di Teheran. L'accordo interessa direttamente gli Stati del Golfo Persico, sei dei quali sono membri dell'Opec e alcuni di essi sono fra i maggiori fornitori del mondo intero. Le trattative, che dovrebbero avere inizio (sempre a Vienna) l'S ottobre prossimo, sono ritenute necessarie perché i patti di due anni or sono, e che avrebbero dovuto valere fino al 1975, « non sono più compatibili con le prevalenti condizioni di mercato e con la galoppante inflazione mondiale ». Trattandosi di una riunione a porte chiuse i cui lavori sono durati molto più del previsto, non si conoscono le posizioni dei vari delegati. Sino a qualche settimana fa si usava contrapporre i Paesi petroliferi intransigenti (Libia, Algeria, Irak), protagonisti in tempi recenti di nazionalizzazioni, in tutto o in parte, delle loro risorse d'idrocarburi, a quelli moderati, disposti ad ottenere miglioramenti ma non a rischiare conflitti aperti con le compagnie, e tanto meno ad interrompere la forniture. Alla conferenza di Algeri dei Paesi non allineati Gheddafi ha accusato di « tradimento » i capi di Stato arabi che non sanno usare delle loro riserve di petrolio per imporre agli Stati Uniti un diverso atteggiamento nel conflitto fra Israele e l'Egitto. Quasi negli stessi giorni, Gheddafi decideva di acquisire il controllo dei beni delle filiali libiche delle grandi compagnie e re Feisal d'Arabia, in un'intervista al settimanale Newsweek condizionava il ritmo della produzione saudita al comportamen- to americano verso il Medio Oriente. La mossa suscitava grande scalpore negli ambienti diplomatici, americani e no. Dopo qualche giorno d'imbarazzato silenzio, Nixon riteneva dì dover rispondere agli arabi, invitandoli a non tirare troppo la corda per non rischiare di trovarsi senza acquirenti; gli Stati Uniti s'impegnavano, per quanto li riguardava, ad affrancarsi in cinque anni dalle importazioni di petrolio del Medio Oriente. In un messaggio al Congresso Nixon ribadiva la priorità da osservare per conseguire l'ambizioso obiettivo. Anche per effetto del caso Watergate, pochi credono che il Congresso, dominato dai democratici, varerà le proposte di Nixon, salvo quella di costruire un grande oleodotto per sfruttare i giacimenti scoperti in Alaska. Ma, per bene che vada, il petrolio potrà fluirvi solo verso il 19781979; saranno guai per gli Stati Uniti se non potranno intanto disporre, su scala sempre maggiore, delle risorse energetiche (metano compreso) provenienti dai due scacchieri mediorientale e africano. Questo giudizio è condiviso da quanti seguono l'andamento dei consumi mondiali e della produzione necessaria a soddisfarli. Sotto l'incalzare della domanda, vivacissima in tutti i Paesi industriali (Usa, Giappone ed Europa), la produzione è in forte aumento; si calcola che nel primo semestre sia cresciuta di oltre il 10 per cento nei Paesi capitalisti e di circa la metà, o poco meno, nei Paesi del blocco comunista. Ora, solo i Paesi del Medio Oriente, e in primo luogo l'Arabia Saudita, sono in grado di far fronte ad incrementi vistosi della domanda. Ai tassi attuali il regno saudita supererà, già quest'anno, l'Unione Sovietica, avvicinandosi di molto agli stessi Stati Uniti, in perte de vitesse ormai da qualche anno. Solo impegnandosi a fondo, e attingendo alle riserve destinate alle forze armate, Washington può sperare di difendere il suo primato. Così stando le cose, tutti i Paesi industriali debbono porsi seriamente il problema della copertura dei bisogni energetici, a breve e a media scadenza. Per non averlo fatto in passato, risulta difficile sottrarci alle pretese — giuste e meno giuste — dei Paesi detentori degli idrocarburi indispensabili alla vita quotidiana: per far funzionare gli impianti (di produzione, di riscaldamento e condizionamento) e per far circolare i mezzi di trasporto. Non a caso, tutte le nazionalizzazioni degli ultimi anni sono rimaste « impunite »; i tempi dì Mossadeq sono lontani. Arturo Barone Aree petrolifere mondiali nel 1973 (in milioni di tonnellate) Principal! Produzione 1 Var. in *n ! Quota sul produttori 1° semestre ' su 1972 totale Medio Oriente • 523,0 +19,4 37,7 Nordamerica 306,5 +1,2 , 22,1 Blocco comunista 219,9 +5,3 16,6 Africa 137,4 +5,0 9,9 America Latina 130,1 +7,7 9,4 Estremo Oriente 51,8 +16,6 3,7 Europa • ■ • • 7,9 +0,1 0,6 Totale 1386,7 +9,7 100,0

Persone citate: Arturo Barone, Feisal D'arabia, Gheddafi, Nixon, Principal