Il giornalista non è un impiegato senza autonomia e rivendica piena responsabilità verso il giudice di Clemente Granata

Il giornalista non è un impiegato senza autonomia e rivendica piena responsabilità verso il giudice Gli ultimi interventi e la relazione di sintesi sulle grandi assise Il giornalista non è un impiegato senza autonomia e rivendica piena responsabilità verso il giudice Questa tesi è stata sostenuta dal capocronista de "La Stampa" come sviluppo delle affermazioni scritte dal relatore di "Magistratura Democratica" - Una serie di episodi tratti dalla realtà per dimostrare il diffìcile lavoro del giornalista - Discorsi di Ramat, Franco, Rho e Carcano Il quindicesimo congresso dell'Associazione nazionale magistrati si è concluso domenica mattina con la relazione di sintesi di un giornalista, 11 capo cronista de «La Stampa», Ferruccio Borio. Le grandi assise che hanno visto protagonisti gli operatori della giustizia e quelli della notizia, non dovevano sfociare, per regolamento, In una mozione Anale. E' toccato pertanto al relatore-giornalista di tirar le Illa del convegno, e mettere a fuoco 1 punti di convergenza e divergenza sul quali hanno discusso 1 congressisti. In sostanza, tutti i magistrati delle quattro correnti (indipendenti, terzo potere, impegno costituzionale, democratici) hanno detto si alla revisione della disciplina del segreto istruttorio e del reati di opinione, e alla funzione fondamentale della libertà di critica, sia pure con quattro diverse sfumature. Mentre Magistratura democratica è per l'abolizione del segreto istruttorio e dei reati di opinione, le altre correnti sono favorevoli piuttosto a una limitazion3. Cosi per l'esercizio del diritto di critica, che per alcuni deve arrestarsi là dove può diventare interferenza o pressione, per altri invece deve esplicarsi sempre e in qualsiasi forma. Esaurita la parte strettamente giuridica, il capo cronista de «La S'impa» ha espresso il proprio pensiero sul tema « Giustizia e informazione », attingendo da un b caglio di esperienze accumulate in 28 anni di attività professionale. Ha citato una serie di episodi, che rappresentano il risvolto concreto delle difficoltà e delle contraddizioni emerse dalla discussione sui rapporti tra magistratura e giornalismo. Il detenuto che, scontata la pena, querelò il giornale perché aveva dato la notizia della sua scarcerazione; l'incriminazione del cronista che pubblicò la confessione di un omicida da lui intervistato prima che si costituisse alla polizia e al magistrato; la pubblicazione dell'avviso di reato a un padre sospettato erroneamente di un atroce delitto nei confronti della figlia; un esempio di collaborazione proficua tra giornalista e magistratura in occasione di un'inchiesta sulle cliniche torinesi e un esempio dei rischi — eccessivi — che un cronista affronta quando vuole scoprire la verità (è il caso di un giornalista che si fece ricoverare in manicomio per vivere, dal di dentro, l'esperienza dei malati, e fu incriminato perché, al momento di entrare in ospedale, non disse di essere un cronista, ma si dichiarò genericamente « rappresentante »). E ancora: il processo contro un giornalista che scrisse la verità, ma dovette attendere 13 mesi prima di sentirsi riconoscere innocente dal tribunale; la registrazione drammatica della voce di una donna che ebbe figlia e genero uccisi dallo scoppio del metano, da 5 mesi non ha ancora saputo nulla delle indagini e chiede disperata che sia fatta luce sulla morte dei congiunti. La vera minaccia Passando al problema della libertà d'informazione, Borio ha ricordato che uno dei relatori, il giudice Pulitanò, sostiene che il giornalista è un impiegato senza autonomia e che l'obiettività è un mito. «Della tesi di Pulitanò — ha osservato — io accetto la teoria: nessun dubbio che il giornalista, imperfetto come tutti gli uomini, sia sottoposto a pressioni e suggestioni e ai pregiudizi piii diversi, suoi, dei colleghi, dei superiori, dell'ambiente in cui vive, di quello in cui lavora. Ma non diciamo che è sema autonomia ». « Il giornalista bravo, capace, esperto (e non sono pochi) ha una sua riconosciuta personalità e autonomia. Il giornalista è il primo padrone della notizia e spetta in buona parte a lui il sapere valorizzarla o meno. Parlo delle piccole notizie di cronaca, come dei grandi avvenimenti giudiziari e politici. E' ovvio che egli tiene conto della linea del giornale per il quale scrive, ma non dimentichiamo che ì giornalisti, riuniti in assemblee redazionali, hanno la forza e i mezzi per influenzare questa linea. Non voglio accennare a recenti episodi clamorosi, in cui questa forza è stata ampiamente dimostrata. « La libertà d'informazione — ha concluso Borio — è ostacolata in modo gravissimo dal vincoli e dai divieti di legge che sono anticostituzionali e contrari al costume moderno e civile; in secondo luogo è effettivamente minacciata dallo strapotere di alcune concentrazioni e dal monopolio Rai-tv; ma i giornalisti, per chi li conosce, non sono per la maggior parte impiegati senza autonomia, naturalmente se lo vogliono. Possono esprimere non soltanto in assemblee e comunicati le loro idee, ma possono anche manifestarle in molti altri modi secondo le opportunità e le circostanze. Proprio sui loro giornali, proprio nel redigere le notizie ed i titoli, i quali, se vengono passati al vaglio di un caposervizio e del direttore, devono sempre affrontare in ultima istanza un tribunale decisivo: la corrispondenza della verità. In questo tribunale, se per la parte di puro diritto siedono i magistrati, per la più vasta sfera della critica e del costume, c'è l'opinione pubblica ». Libertà di critica Tra le proposte avanzate: abolizione del segreto istruttorio e dei reati di opinione, libertà di critica, lotta parlamentare ai monopoli dell'informazione e alle concentrazioni. Borio ha suggerito anche di rinunciare al segreto professionale e alla creazione degli uffici stampa, perché il giornalista deve saper assumere le proprie responsabilità ed instaurare col giudice un rapporto diretto e cosciente. E veniamo alle ultime fasi dei lavori congressuali che hanno visto un dibattito ancora accentrato, con toni « diversi » e talvolta di segno nettamente opposto, sui problemi di fondo, prò o contro l'abolizione del segreto istruttorio, con opinioni contrastanti sul ruolo dell'informazione giudiziaria, non senza critiche, perplessità, timori per l'auspicata sostanziale liberalizzazione dei rapporti fra magistrati e giornalisti. E' proseguita la discussione sui limiti da mantenere o da rimuovere alla libertà di stampa, alla libertà di critica, non solo per gli operatori dell'informazione, ma all'interno del terzo potere per gli stessi giudici, non più rinchiusi nella torre d'avorio, ma aperti alla realtà della vita, partecipi, al pari degli altri cittadini, ai problemi della società contemporanea. Non è stato celato, e non poteva esserlo, lo scontro e il dissenso fra le correnti che raggruppano 1 magistrati. Marco Ramat, segretario nazionale di Magistratura democratica, ha rilevato come n lo politica della libertà » impostata dal suo gruppo « ha trovato notevoli punti di avanzamento nei contenuti manifestati dal congresso ». Ha aggiunto: « Anche nel campo giornalistico non sono mancate esperienze decisamente positive, che fino a qualche anno fa sembravano impossibili ». Richiamandosi agli ordini del giorno congressuali contro il « golpe » in Cile e per la libertà d'espressione in Urss, ha ricordato che anche altri Stati, dal Brasile alla Grecia, dal Portogallo all'Italia (caso Terracini) « pongono il problema di come difendere la libertà dalla avversione e dai tradimenti ». Ha concluso: « Si è parlato di fedeltà alla Costituzione. Ma quale fedeltà? Anche in Cile generali che si proclamavano fedeli hanno tradito. E' necessario armarsi politicamente per non fare la fine dei profeti disarmati ». Il giudice torinese dott. Nicola Franco, sostenendo che « l'avvenire non è nella riservatezza del giudice, ma nella sua apertura all'opinione pubblica », ha affermato: « Qui ogni oratore ha denunciato la sua matrice ideologica e non vi è motivo di scandalo. Il segreto istruttorio già oggi per i processi che hanno risonanza non esiste più. E, allora, perché fare battaglie di retroguardia? Quanto al dissenso, esso non è aggressione al regime, ma arricchimento della nostra democrazia, che è fatta soprattutto dì confronto ». L'intervento rispondeva anche all'opinione del giudice Maddalena, secondo il quale « si deve distinguere fra 'il diritto a manifestare il pensiero proprio, il diritto ad essere posto a conoscenza di fatti altrui e il diritto di divulgare fatti altrui. Gli ultimi due possono e debbono incontrare dei limiti, quelli inerenti al retto funzionamento della giustìzia e al diritto e alla riservatezza e alla dignità di ogni singolo individuo ». Favorevole al mantenimento del segreto istruttorio si è detto il magistrato bolognese Ricciotti: n Sia pure con certi limiti, allo scopo di garantire la genuinità del processo e allo scopo ulteriore di difendere la stessa genuinità dal pericoli della concentrazione delle testate e quindi dal monopolio dell'informazione». Il dott. Palombarlni, di Padova, ha mosso rilievi all'informazione televisiva elencando esempi di « non corretta informazione (pochi minuti sulla pista nera per le bombe di Milano, senza nominare Valpreda; polemiche su Tv 7) ». Subito dopo il dott. La Monaca, presidente del tribunale di Venezia, ha affermato: « La pubblicità, nel caso della cronaca giudiziaria, ha funzione di pena morale. Ma la pena deve venire dopo la condanna definitiva. La necessità del segreto istruttorio è evidente, l'imputato non deve subire condanne di nessun genere prima, della sentenza ». Il dott. Cucco sullo stesso argomento ha aggiunto: « La critica di gruppi organizzati di magistrati costituisce una pericolosa interferenza sulla libertà dei giudici ». Nel suo intervento egli si è soffermato anche sulle « disfunzioni dell'apparato giudiziario, non attribuibili alla pigrizia dei magistrati, come hanno sostenuto gli avvocati a Perugia. I giudici, pur nell'enorme inefficienza dei mezzi strumentali, danno quotidiana prova di dedizione al lavoro ». Il dott. Car¬ melo Conti ha sostenuto che «la critica, il controllo, lo stimolo della pubblica opinione sono auspicabili fino al punto in cui non si trasformino in interferenze ed imposizioni. La critica è tanto più inammissibile se proveniente da magistrati singoli o assodati ». Critiche all'abolizione del segreto istruttorio sono venute dal dott. La Cava, della procura generale di Firenze, contrario anche al dissenso da parte di gruppi di magistrati: « Sarebbe una chiara forma di intimidazione, che indurrebbe il cittadino a chiedersi quale sia il giudice che ha ragione ». Esponendo divergenze di opinioni o consenso per runa o l'altra tesi, si sono succeduti nel dibattito numerosi altri oratori, Calabrese, Previdenti, Lupo, Scalia, (l'informazione riguardante 1 minorenni), Cicala (« il segreto istruttorio è morto, ma un'istruttoria senza segreto non ha senso »), Dapelo (sulla responsabilità del giudice), Ferraioli, Fascalino, Protetti, Bonelli, Testi (favorevole al mantenimento del segreto in camera di consiglio), Pastore, Casadei-Monti (.« l'informazione, anche quella del Consiglio superiore, deve essere improntata a pluralismo»), Buscaglino (riflesso della pubblicazione di notizie giudiziarie sul comportamento dei testimoni), prof. Pecorella (divulgazione di notizie su istruttorie in corso). Parola alla stampa Non sono mancate le voci dei giornalisti sulla vasta problematica dibattuta. L'aw. Silvano Rho, consigliere nazionale della federazione stampa per i pubblicisti, ha ricordato la linea della organizzazione unitaria della categoria: radicale modifica delle norme di legge Ispirate a principi autoritari in contrasto con l'ordinamento democratico; abrogazione di tutti i reati d'opinione, riforma del segreto istruttorio. Gio¬ vanni Buffa ha illustrato il « pesante condizionamento proveniente dalla giurisprudenza restrittiva » aggiungendo: « Spesso i giornalisti riferiscono notizie deformate, ma non siamo noi a fornirle falsate, sono le autorità ufficiali che appena accade un fatto si affrettano a presentarci il mostro imputato ». Ha auspicato anche la revisione della legge sulla stampa. Giancarlo Carcano, della giunta esecutiva della federazione stampa, ha detto: « La Federazione opera per porre sul tappeto la democratizzazione del sistema informativo nel nostro Paese. Che cosa chiediamo per la stampa? In sintesi, fra l'altro: pubblicità delle fonti di finanziamento; una legislazione che arresti il processo di concentrazione delle testate, bianche o nere che siano, pubbliche o private; uno statuto dell'impresa che divìda la gestione editoriale da quella giornalistica; una riforma del sistema pubblicitario; l'incentivazione alla nascita di cooperative di stampa; l'abrogazione dì tutte le norme del codici fascisti e in particolare dei reati di vilipendio. L'intervento della magistratura, per l'applicazione dello statuto dei lavoratori, può aiutarci molto ». Un contributo al congresso è venuto infine dal rappresentante del sindacato francese della magistratura, Etienne Bloch, che ha ricordato 1 principi che governano 1 giudici transalpini in relazione ai temi trattati dal congresso. « In sostanza — ha concluso — sia noi che voi ci battiamo per l'avvento di una società in cui l'eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge e la possibilità di ciascuno di esercitare tutti i propri diritti non siano più solo del principi astratti ma diventino una realtà vivente ». Antonio De Vito Sergio Ronchetti Clemente Granata