Cronista nelle vie di Mosca di Gabriella Poli

Cronista nelle vie di Mosca Appunti di un viaggio nell'Unione Sovietica Cronista nelle vie di Mosca Strade, giardini e stazioni lindi come salotti - Un esercito di donne armate di scope di saggina, dodicimila spazzatrici e autopompe danno alla metropoli un aspetto ordinato e gradevole - Sterminati quartieri periferici, città-satelliti collegate al centro da rapidi trasporti sotterranei - Trenta metri di verde per abitante (Dal nostro inviato speciale) Mosca. 15 settembre. Per otto giorni, viaggi aerei inclusi, sono stata nell'Unione Sovietica, al seguito di una delegazione di amministratori comunali torinesi. Un gruppo vivace e composito, ricco d'interessi e di curiosità; animato, secondo la colorazione politica, da spirito critico, da intenti polemici, da incondizionata devozione verso la patria del socialismo. Che fa un cronista in un'occasione simile, tra turismo di piccolo cabotaggio e incontri ufficiali? Prende il taccuino e annota. Domande, risposte, impressioni. Questi sono gli appunti di una brevissima escursione in una terra affascinante; della sosta in due città. Mosca e Volgograd. Appunti e basta. Senza l'assurda pretesa di aver penetrato un modo di vivere né una politica. Questo immenso Paese, con la sua storia gremita di miserie, di battaglie, di rivoluzioni, di travolgenti conquiste, non è facile da interpretare. Ma respinge con violenza ogni approccio superficiale. Tre ore e mezza dalla Malpensa all'aeroporto di Sceremiétievo (così un taxista me ne ha insegnato a leggere il nome, al mio primo scontro col cirillico) uno dei cinque della capitale. Due ore, interminabili, al controllo passaporti, eseguito con infinita calma da un imberbe ragazzo in divisa — qui vanno sotto le armi a 16 anni — e poi fuori, ad aspettare il pullman. Valigie ai piedi e naso all'aria, puntato verso le nubi galoppanti. Il vento di Mosca. Il cielo alto, trascolorato, mutevolissimo. La prima cosa che ho visto, abbassando lo sguardo dalle nuvole a terra, è stata una grossa macchina gialla a spazzole rotanti, che ripuliva il piazzale. E dopo la prima, subito un'altra. L'asfalto era lucido. Non c'era un pezzo di carta né un mozzicone di sigaretta. Eppure le macchine continuavano a passare e ripassare. E sul largo marciapiede c'erano due donne senza età, fazzoletto in testa e scope di saggina saldamente impugnate, che spazzavano a grandi gesti una polvere inesistente, facendosi largo fin tra i nostri piedi. Arriva il pullman. Vecchiotto, sedili un po' scomodi. Ci porta, oltre a un autista spensierato e ardimentoso, l'interprete che ci accompagnerà per tutto il viaggio. Si chiama Eugenio Sizin, ha la faccia dell'intellettuale — è un insegnante — occhi incredibilmente azzurri, corpo asciutto e dinoccolato. Lo sottoporremo a un lavoro massacrante, senza riuscire a cancellare il suo sorriso infantile. Un lavoratore instancabile. Eugenio, durante i 40 chilometri percorsi sulla strada LeningradoMosca, ci tuffa a piombo nella storia prerivoluzionaria e nella pianificazione socialista. Descrive le dorate carrozze degli zar, che scendevano veloci sulle piste innevate da San Pietroburgo a Mosca; ci spiega i ponti, i fiumi, la rete dei canali, i boschi di betulla a perdita d'occhio. D'un tratto l'urto con la realtà di ieri. Una base di granito, sulla destra della carreggiata, pali massicci, rossi, squadrati, incrociati a «X». Dice: «Fin qui sono arrivati i tedeschi». L'ombra sanguinosa della guerra riempie la pianura. Guardo l'ora; siamo a meno di venti minuti da Mosca. E subito è la periferia, i vecchi tram, un'aria casalinga, non più campagna e non ancora metropoli. Uomini con la borsa sotto il braccio che tornano dal lavoro, innamorati sulle panchine di viali ombrosi, le prime case, i primi grandi magazzini, le prime code. Imparerò presto che la gente, a Mosca, fa code pazienti e silenziose, senza proteste, senza sornioni avanzamenti a scapito dei vicini, meno furbi o più educati. Per comprare la Pravda (2 copechi, al cambio ufficiale 16 lire) per infilare la moneta da 5 copechi nelle macchinette a cellula fotoeletrica della metropolitana per acquistare un gelato alla vaniglia e per mille altre cose. Sbarchiamo in un albergo lBralldrtcIudtgmlggsmgrsagtdtcsrpgipqache mi ricorda Manhattan tutto vetro e cemento, mille camere, venti piani, tre ristoranti, ufficio postale, cambio, bar, night, ascensori prò- j grammati, bagno, radio e tv | in ogni stanza. Le larghe fine- \ stre a doppi vetri si affaccia-1 no sulla prospettiva Gorkji, sei carreggiate e una al cen- tro per il traffico d'emergen- ! za, palazzi imponenti, sotto- ' passaggi, grandi negozi. A due passi le mura rosse e le favolose cupole del Cremlino. Devo dire che siamo andati tutti insieme e subito, alla piazza Rossa, sciabolata nella notte dai fasci di luce dei riflettori? A guardare la folla che, malgrado l'ora, premeva muta sulle transenne del mausoleo di Lenin; le stelle di rubino sulle guglie; la bandiera al vento sulla cupola del presidium dei Soviet e l'orgia architettonica di San IBasilio? Che siamo scesi alle rive quiete della Moscova, che abbiamo passeggiato, finché la stanchezza non ci ha rotto le gambe, nella fitta ragnatela di strade circolari, tagliate da radiali che ogni volta ci riportavano al centro? Lo fanno tutti i turisti, lo ha fatto anche la delegazione di Torino. Il modo più ingenuo e più umile per incominciare a capire. E il giorno dopo via, alla desiderosa scoperta della città, alla ricerca di un contatto diretto con le cose e con la gente; ricettivi e disponibili malgrado il diaframma della lingua. Eccola dunque. Mosca. Fasti di ieri e ardite realizzazioni di oggi in un crogiuolo urbanistico e architettonico da cui emerge un'armonia piena di risvolti imprevedibili. 1 sette poderosi grattacieli staliniani, irti di pinnacoli, montagne granitiche e goffe del « realismo » (al posto dell'ottavo, giudiziosamente, hanno costruito una grandiosa piscina all'aperto, riscaldata, brulicante anche sotto la pioggia. 27 gradi in acqua e 2 fuori); gli svelti grattacieli nordici di Prospettiva Kalinin. le vecchie strade come l'Arbat, fiancheggiate da botteghe e da superstiti case di legno; gli anonimi, sterminali quartieri della periferia: edifici a 7-11 piani in prefabbricato pesante, con negozi, scuole, teatri, cinema, impianti sportivi. Vere e proprie città satelliti, come il quartiere Gagarin. collegate al centro oltre che da trasporti in superficie fa Mosca ci sono 6 mila autobus. 2200 filobus. 1500 tram. 14.300 taxi, dalla metropolitana. Ecco, questa è la spina dorsale di Mosca. Il metrò. Lindo come uno specchio. 140 chilometri di binàri, ottima ventilazione, veloci scale mobili e un'ottantina di stazioni, alcune delle quali spettacolari. Mosaici, colonne, dorature, marmi, statue, ceramiche. Una risposta polemica agli stupefatti interrogativi degli stranieri. Giorno e notte (l'orario è dalle 6 all'I), davanti e dentro le stazioni, donne armate di secchi, stracci, scope, intente a una perpetua opera di pulizia. Una reazione di rigetto alla miserabile sporcizia della Mosca zarista? Certo, non ho mai visto una città, so- pra e sotto terra, più pulita di questa. Dappertutto. Nelle strade periferiche e al cen- tro. nei parchi e nei giardini. E nemmeno una città più verde: 30 metri quadri per ognuno dei 7 milioni e mezzo di abitanti. Ogni sera, dalle 23 in poi ho osservato le autopompe, I con getti lunghi dieci metri, lavare le carreggiate. Non era ancora giorno e dalla finestra già vedevo le donne lavare i marciapiedi. Capita di lasciar cadere la carta di una cara- mella e di trovarti accanto. gentile e timido, uno che ti dice: « Ha perso qualcosa ». Gli amministratori di Tori- \ no hanno la faccia buia. La sporcizia e l'abbandono della nostra città, remota e trascurata, sono nel vivo ricor- do di tutti. Vanno in municipi (o un palazzo pomposo, che è stato arretrato di 14 metri facendolo scorrere su rotaie quando s'è visto che imgombrava la «prospettiva») e domandano: « Quante mac¬ chine per tener pulita Mosca, condutture che è grande sei volte Tori no? ». Risponde Bezrukov, capo del Dipartimento esteri: « Dodicimila ». Il mio taccuino fornisce altri dati, della stessa fonte municipale: consumo di acqua 670 litri giornalieri per abitante; 15 mila chilometri di nel sottoscuolo tra metano, acqua e vapore per il riscaldamento (che è centralizzato). Assistenza sanitaria totalmente gratuita per sovietici e stranieri, 1200 policlinici — 102 mila letti — e ambulatori, dove prestano la loro opera 250 mila persone: 50 mila sono medici, 103 mila specialista. Cinquemila impianti sportivi, tra cui 71 stadi (quello intitolato a Lenin è uno dei Più grandi del mondo), 29 piscine, 293 campi di football, sei palazzi dello sport, centinaia di campi da tennis. Afferma Bezrukov, con un sorriso da sfinge: «Nel '75 queste cifre saranno ampiamente superate ». Il '75 è una mèta; il termine di un altro piano quinquennale. Nel Paese della pianificazione socialista i piani sono tappe di speranza. Gabriella Poli Mosca. L'ora del passeggio tra i grattacieli di via Kalinin, nella parte nuova della città (Foto Team)

Persone citate: Eugenio Sizin, Kalinin, Lenin