Il ritorno di Biorges di Angela Bianchini

Il ritorno di Biorges Il ritorno di Biorges Jorge Luis Borges: « Discussione», traduzione di Livio Bacchi Wilcock, Ed. Rizzoli, pag. 169, lire 3000. Jorge Luis Borges e Adolfo Bioy Casarés, « Racconti brevi e straordinari », traduzione di Gianni Guadalupi, Ed. Franco Maria Ricci, pag. 152, lire 2000. Aumenta la bibliografia di Borges, ma anche quella di « Biorges », autore reale e, tuttavia, senza riscontro anagrafico perché prodotto del connubio tra Borges e il più giovane scrittore argentino Adolfo Bioy Casarés. Comprendiamo sempre più Borges e il mondo intellettuale argentino compenetrato delia sua ispirazione, ma rischiamo anche, ad ogni passo, di ripeterci, per il moltiplicarsi delle coincidenze spirituali e delle filiazioni letterarie. Ieri, era la volta di Porfirio, narrazioni di Silvina Ocampo, moglie di Bioy Casarés. Pochi mesi fa, già nella « Biblioteca blu » di Franco Maria Ricci, fece la sua comparsa Cielo e injerno, compilazioni di « Biorges », cioè di Borges e Bioy Casarés, sulle immagini del mondo dell'ai di là, in uno spaziare letterario che, tra Quevedo e Santayana, tra Minucio Felice è Leon Bioy, riusciva ad includere parecchi testi di intellettuali argentini, Ocampo, Casarés, Murena, Borges stesso, particolarmente dediti, com'è noto, alle gioie della speculazione fantastica. Oggi, due testi di un tipo consimile: Discussione, una scelta saggistica compiuta da Borges ben trent'anni fa (vi figurano saggi famosi e, per lo meno, schemi di idee sviluppate poi con ampiezza maggiore più tardi ed altrove) e Racconti brevi e straordinari. Il primo testo, come il lettore ben addestrato comprende subito, è di Borges, e l'altro è di « Biorges », cioè del maestro e dell'« altro », del « doppio », Bioy Casarés. La distinzione vale fino a un certo punto, però, per quel proliferare di influenze di cui si diceva. Più ci si inoltra in simili testi più ci si rende conto che l'atmosfera, il piacere dell'intelletto li pervade e permea fino a renderli simili, ma non uguali. Non credo che valga affatto la pena (a meno che non si tratti, si capisce, d'una tesi di laurea) di sviscerarli fino in fondo per distinguere l'apporto dell'uno dall'apporto dell'altro, ma sia necessario, invece, scoprire il modo in cui i meccanismi di questo particolarissimo gioco intellettuale si sono messi in azione. A questo fine, benché più noto, meno vario e anche, in parte, superato, risulta più importante, tra i due libri di oggi, il Borges, cioè Discussione. Sappiamo che Borges è un classico, se non altro per le fonti, vere o apocrife che siano, alle quali si rifa di continuo. Ma ecco qui, chiarissima, la sua idea, fin dal 1931, della «postulazione della realtà »: « Il romantico, in genere con povera fortuna, vuole incessantemente esprimere; il classico, rare volte fa a meno di una petizione di principio. Il classico non diffida del linguaggio, crede nella virtù sufficiente di ciascuno dei suoi segni »; e l'accenno, significativo, all'« invenzione di circostanza » e ai « particolari laconici di lun ga proiezione ». Come classico, egli persegue una «pericolosa armonia», «una frenetica e precisa causalità»: causalità che non trova necessa riamente riscontro nella realtà, ma è tuttavia stringente e ango sciosa. Cos'è, infatti, l'inferno se non un sogno, dice Borges, un luogo in cui non si sa dove ci si trovi e non si riconosca se stessi? Il luogo, cioè, dove esiste l'oblio del nome e delle cose. Tale oblio è, chiaramente la morte, il non esistere: per Borges, « nominare nel tempo » equivale a narrare, infatti, an corché il narrare altro non sia se non inventare, e sempre sotto l'insegna della perplessità e dell'arte combinatoria. « Le possibilità dell'arte combinatoria non sono infinite, ma non di rado sono spaventose », troviamo scritto. Possiamo sorridere rendendoci conto che tale enunciazione fu sollecitata, verso il 1929, dall'invenzione del doppiaggio cinematografico e che la possibilità di combinare le fattezze della Garbo « con la voce di Aldonza Lorenzo » ricordasse a Borges l'invenzione della Chimera e della Trinità. Ma su questi presupposti si regge, appunto, buona parte delle creazioni di Borges e anche di Biorges. Si aprono ora i Racconti straordinari, a proposito dei quali Borges e Bioy dissero: « Osiamo credere che l'essenziale della narrazione si trovi in questi brani». Gli editori, giustamente, ritengono che l'essenza del narrare stia « in piaceri più lenti » e diffusi e parlano, però, di «veloci giochi dell'intelligenza » e di « stralunate simmetrie ». Forse. Ma, qui dentro, al di là della grandissima astuzia borgiana, mirante a « stendere », per così dire, il lettore, c'è, come sempre, il bisogno di afferrare, definire e fissare per sempre un qualcosa che deve apparire al lettore come la verità, poi sparire, e, tuttavia, dati i giochi di probabilità della vita, riapparire, tutto sommato, come tale. « — Che strano! — disse la ragazza avanzando cautamente. — Che porta pesante! — Così dicendo la toccò, e si chiuse improvvisamente, con un tonfo. Mio Dio! — disse l'uomo. — Mi sembra che all'interno sia priva di serratura. Ci ha chiusi dentro tutti e due! — Tutti e due no. Uno solo — disse la ragazza — passò attraverso la porta e scomparve ». Il titolo è: « Finale per un racconto fantastico ». Apocrifo? Chissà. Angela Bianchini