Edipo re, nostro contemporaneo
Edipo re, nostro contemporaneo La tragedia all'Alfieri, con la compagnia degli Associati Edipo re, nostro contemporaneo La moderna regìa di Puecher, con Sbragia, Valentina Fortunato, Giovampietro e Ivo Garrani Dell'Edipo re allestito dagli «Associati» con la regìa di Virginio Puecher nella moderna traduzione di Quasimodo si è diffusamente scritto una settimana fa da Vicenza dove ha aperto il XXVIII ciclo di spettacoli classici dell'Olimpico allo stesso modo, ma si fa per dire, che un Edipo tiranno nella classicheggiante traduzione del Giustiniani aveva inaugurato nel 1585 il teatro palladiano. In realta, tranne i ceri composti da Andrea Gabrieli per la rappresentazione cinquecentesca, e che si è voluti con stridente contraddizione riprodurre, i due spettacoli non avevano nulla in comune se non lo stesso splen- dido luogo teatrale: Edipo re è di quelle grandi tragedie di tutti i tempi che continuano a suggerire, e le sopportano tutte benissimo, le più diverse e anche le più stravaganti e più audaci interpretazioni. Questa degli «Associati» è risolutamente « contemporanea» e se ne torna ora a parlare perché lo spettacolo, concepito dapprima solo per le rappresentazioni vicentine, ha dimostrato un'autonoma vitalità e ha suscitato un interesse così vivace da indurre la compagnia a tenerlo ancora nel proprio repertorio. A Torino la tragedia sofoclea ha dato il via alle manifestazioni di prosa del «Settembre torinese» con quattro recite all'Alfieri in programma dall'altra sera sino a domani. Certo, le mirabili architetture del Palladio non sono la stessa cosa che un moderno e anonimo palcoscenico ma l'invenzione scenografica, dello stesso Puecher, che è la sigla e la chiave di questo allestimento, mantiene quasi intatte la sua validità e la sua suggestione. All'inizio, gli interpreti leggono, più che dirle, le pagine del prologo quasi a sottolineare la problematicità e lo smarrimento della loro condizione di uomini e anche di attori d'oggi. Ma poi su di essi cade e spiega come un'immensa vela un candido lenzuolo che tutti avviluppa in fluttuanti e inquietanti figurazioni. La trovata, che domi na e condiziona tutto lo spettacolo, non è forse nuovissima (pensiamo, ad esempio, al gran letto del Peer Gynt di Trionfo o ai pesanti panneggi neri di Peter Stein per II principe di Hamburg), ma non è questo che importa. Piuttosto, che cosa rappresenta questo lenzuolo? Aperto com'è a tutti i significati, ciascuno vi può vedere, ed è già accaduto a Vicenza, ciò che vuole: un magma materico, una grande sola tunica, un velo rituale che avvolge l'intero mito di Edipo e gli restituisce una primitiva magìa, l'alvo materno, l'alma terra, la buia notte. Ma in ogni caso, e già lo si è scritto, è la stessa tra | gedia di Sofocle rivisitata dai nostri contemporanei che non credono più alla ragione e ne proclamano il fallimento. E' una lettura esistenziale, e talvolta onirica, del celebre testo, del quale viene deliberatamente trascurato il lato politico (nel senso etimologico, da polis) con la soppressione abbastanza conseguente delle parti corali, anche se il rilievo dato alla figura di Creonte, vigorosamente interpretata da Renzo Giovampietro, e i contorni netti del personaggio di Giocasta, tracciati da una vibrante Valentina Fortunato, si richiamano a quella «realtà corposa e massiccia» che, secondo Puecher, è appunto delle Giocaste e dei Creonti. In quest'aura di sogni di stoffa, dalla quale Tiresia (un sobrio Ivo Garrani) emerge bendato come una mummia, e allora Edipo vi s'immerge e vi si nasconde come a rifiuta¬ re la verità del vecchio indovino, si agitano le ombre misteriosamente illuminate e i corpi drappeggiati di bianco (i costumi sono di Vittorio Rossi) di quelli stessi che muovono il lenzuolo. E un Edipo in stampelle, intensamente e umanissimamente interpretato da Giancarlo Sbragia, lo percorre o vi si tuffa furiosamente saltellando: eroe sconfitto in partenza, tuttavia si batte contro la solitudine e il mistero, e forse anche contro la propria «diversità», della quale il suo piede infermo è un vistoso simbolo, alla ricerca di una coscienza e di una ragione che egli, Edipo d'oggi, e i suoi contemporanei hanno smarrito. Alberto Blandi
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