A passeggio con Moore
A passeggio con Moore Incontro a Rimini con lo scultore inglese A passeggio con Moore Il grande artista ha visitato la mostra "Città, spazio, scultura" (Dal nostro corrispondente) Kimini, 12 settembre Henry Moore, 75 anni, piccolo, minuto, occhi chiari e penetranti, capelli bianchi, si appoggia al bastone. Sembra quasi che voglia sostenere più agevolmente il peso di essere considerato il più grande scultore vivente. Figlio di un minatore di origine irlandese, conserva nei tratti e nello spirito i caratteri della sua razza. Lo accompagna la moglie Irina. Siamo nella piazza Cavour, trasformata in un grande museo. Vicino a noi, il sindaco Pagliarani e gli organizzatori della mostra «Città, spazio, scultura». Tutt'attorno, all'aria aperta, opere di Marino Marini, Emilio Greco, Alberto Viani, Giuliano Vanzi, Sergio Signori, Lorenzo Guerrini, Stahli, Mormorelli, Pietro Cascella e Azuma. Di fronte, entro gli eleganti spazi della settecentesca pescheria, opere di Cappello, Fabbri, Negri e Tavernàri. Dietro, attorno al voltone trecentesco dell'Arengo, sculture di Mirko, Jo Pomodoro, Pietro Consagra, Nado Canuti, Cardenas, Alicia Penalba; e altre ancora nel grande prato artificialmente creato in 24 ore dietro ai palazzi medioevali dell'Arengo e del Podestà; strutture di Marini, Rosalba Gilardi, Etienne Martin, Carlo Ramous, e Jsamu Noguchi. «Qual è il suo giudizio sulla mostra di scultura rimine se?». «La prima impressione è stata piacevole». Gli faccio presente che mostre di scultura all'aria aperta cominciano a diventare normali, quasi di routine, e che i realizzatori della mostra riminese, Pier Carlo Santini, Giancarlo Citi, e Giuseppe Davanzo hanno inteso superare il momento puramente estetico della manifestazione per perseguire un nuovo aspetto, più umano e civile, del centro di Rimini. «Sono d'accordo che la scultura dev'essere una parte I integrante della vita della cit- tà. Molte persone dicono di non sapere dove sistemare le sculture nelle loro case per mancanza di spazio. Ma io penso che la città sia una grande casa dove, come in ogni casa, si possono sistemare opere d'arte dappertutto. Tranne che nella stanza da bagno — soggiunge con un sorriso. «Per quanto riguarda la scultura moderna — riprende l'artista — devo dire che nel 1920, quando ho incominciato, non c'erano mostre pubbliche di scultura. Allora c'erano, sì e no, cinque scultori che sapessero fare qualcosa d'interessante. Oggi ce ne sono molti di più e ciò è un bene, è una cosa che mi rende felice e interessato». Henry Moore è stato sempre stimolato, dalle arti primitive, di cui continua ad ammirare l'intensa vitalità. Tanto che negli ultimi anni le sue composizioni si sono addirittura rivolte verso quelli che i suoi esegeti hanno definito la «favolosa geologia» delle Grandi Figure distese, risolte spesso in blocchi di materia, erose dal vento e dalle acque. Quando entriamo nel museo delle arti primitive, che comprende la collezione Delfino, Dinz, Rialto, di opere africane, oceaniche e precolombiane, non ci sorprende il suo consenso: «Meraviglioso, eccezionale», esclama con occhi brillanti. Lo colpiscono soprattutto le opere dei sudanesi, dei bantu, delle tribù del golfo di Guinea, della Nigeria. «C'è qualcuna delle sue opere che lei ricorda particolarmente o che, in qualche modo, preferisce fra le altre?». «No, sono tutte come dei figli. Un giorno ne preferisco una, il giorno, un'atlra». «Il sindaco s'è rammaricato perché a Rimini non è esposta nessuna sua opera e ha auspicato che la mostra dell'anno prossimo sia interamente dedicata a lei». « Ho preso spunti per una mia futura partecipazione», risponde con naturalezza. La stessa naturalezza con cui s'è sottoposto alle misurazioni del viso, necessarie per la fusione del suo ritratto che sarà collocato a Londra, nel museo delle cere di Madame Tussaud, accanto a quella di Pablo Picasso. Un'iniziativa che a Moore è piaciuta, tanto che ai curatori dell'originale museo londinese ha donato l'abito con cui vestire la sua statua. Edda Montemaggi
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