Una legge che funzioni

Una legge che funzioni SCUOLA MEDIA SUPERIORE E FERMA MILITARE Una legge che funzioni Il Paese non soffre delle riforme non proposte: soffre delle riforme proposte e non fatte. Quel che attende, non è la grande, la grossa legge, ma la legge che funzioni; che cambi effettivamente quel che propone di cambiare, disponendo il personale, gli edifici, i mezzi tecnici. Mi guarderei perciò dal proporre riforme che non siano nel programma della coalizione governativa, convinto come sono che già tra queste scegliere le precedenze, disporre i fondi, fare accettare i sacrifìci che ciò comporta, sia un compito solo in parte attuabile nel corso d'una legislatura. Ma sarà pur lecito parlare della stretta connessione che mi sembra si possa introdurre tra due riforme entrambe proposte o progettate: la nuova scuola media superiore e la riduzione a un anno della ferma militare. Quando la nuova scuola media superiore (risolti gli infiniti problemi di edilizia, di quadri, di abitudini che essa comporta) diventasse bene o male, e speriamo bene, una realtà, essa sarà assai diversa da quella del passato. Lo è già, per un mero fatto quantitativo, la scuola media superiore attuale. La vecchia media si proponeva in vario modo la formazione di una élite, o di un gruppo discretamente ampio di cittadini da cui trarre il grosso di certa professioni, della burocrazia civile e militare, della « classe media » o « classe colta » cui toccava sostituire il clericato o la nobiltà. La nuova e già fino a un certo punto l'attuale media superiore va trasformandosi in scuola di massa, oggi per una classe media ingigantita nelle sue proporzioni, presto per tutti gl'italiani fino ai diciott'anni. Non le si può chiedere, anche se molti entrandovi s'illudono di poterlo fare, quel che la vecchia media superiore dava. Non ci sono nell'era industriale abbastanza impieghi di geometri e ragionieri nel vecchio senso della parola; né negl'impieghi e nelle libere professioni posti assicurati per tutti quelli che intendiamo mettere in grado di proseguire gli studi alla Università. Né saranno, in ogni caso, i vecchi posti. Se il numero dei professori universitari pareggerà quello degli antichi maestri di scuola, non si potrà pretendere che siano pagati molto diversamente da quanto fossero questi ultimi, a parte i vantaggi derivati a tutti dalle risorse di una società più prospera e tecnica. Ora, ima scuola media — preparazione di tutti al compito di tutti, com'è in prospettiva l'attuale — c'è ancora ini senso a tirarla innanzi fino ai diciannove anni compiuti? Persino nella scuola di preparazione dell'elite — la scuola dei severi esami, di Guido Baccelli o di Giovanni Gentile —, il corso scolastico medio era più breve dell'odierno, com'è del resto in tutto il mondo. Quattro anni di elementari in una buona scuola municipale (diciamo, per evocare un ricordo, la « Federico Sclopis ») preparavano a un ginnasio anche severo. Uomini non eccezionali — li ho avuti in famiglia — uscivano dall'Istituto Tecnico in diciassette anni e terminavano senza andare fuori corso un duro Politecnico. Poi la scuola elementare si prolungò di un anno — inu¬ tilmente, se non come tentativo di estendere la scuola dell'obbligo, che oggi comprende la media e comprenderà sempre più la media superiore —; si vietò inoltre di entrarvi prima di aver compiuto i sei anni. In conclusione, coloro che, privi della televisione, della « vita di gruppo » e di tanti altri sussidi, avrebbero dovuto essere più addormentati degli adolescenti d'oggi, erano considerati sufficientemente maturi per affrontare a diciassette, diciotto anni le ultime asperità di una « scuola di élite ». Dovrebbe esser possibile lo stesso per la scuola di massa: incominciandola un anno prima, restandovi un anno di meno. Ma di questo anticipo nell'uscita dalla media superiore non è chi non veda la possibile connessione con un'altra riforma: quella del servizio militare (o, magari, civile, quando sarà consigliabile e possibile) ridotto a un anno. A parte gli altri molti costi e problemi, anche questa riforma richiede una condizione: la fine di ogni esenzione privilegiata dal servizio. Ed esenzione e privilegio è certamente anche l'odierno rinvio del servizio a dopo il corso universitario. Ora, il privilegio militare universitario, in ima società a istruzione generalizzata, diventa sempre più anacronistico, oltre che essere fonte per molti studenti di ansie e preoccupazioni coscienti e incoscienti, di speranze, illusioni o tentativi di eluderlo. E' un elemento di diseguaglianza e di nevrosi di più che s'interpone tra il mondo, sempre artificioso, degli studi, e il mondo ad esso esterno. Insomma, per la scuola media sarebbe un bel vantaggio non trovarsi a controllare in una routine quotidiana (per ora neppure a « tempo pieno ») le energie di impazienti adolescenti. Per l'Università, la sutura con il mondo di « dopo gli studi » avverrebbe più naturalmente. E per l'Esercito, chissà che quella « specializzazione che desideri », la quale fa oggi bella mostra di sé soprattutto nei cartelloni per invitare a entrare nei servizi speciali, non finisse per diventare qualcosa di concreto, esperienza di preparazione effettiva alla disciplina necessaria di vari mestieri e professioni, se a specializzazioni e gradi si accedesse per concorso. Fra esse, naturalmente, quella stessa delle armi: che le Accademie militari non dovrebbero sottrarsi alla regola di accogliere le loro reclute solo da chi abbia già fatto il servizio militare comune, e le scelga a ragion veduta. Ora, né la nuova scuola media superiore, né la riduzione della ferma a un anno usciranno tutte pronte, fatte e armate dall'opera legislativa e amministrativa per un semplice « fiat ». Vanno preparate; e non improvvisate, come tanto si è improvvisato nel recente passato. C'è quindi il tempo di « concertarsi ». C'è il tempo per preparare ! la massa dei giovani a quella che sarebbe comunque una nuova avventura. Ma bisognerebbe non farsi sfuggire l'occasione di ristabilire i contorni netti nelle istituzioni, diminuire i privilegi e le esenzioni; ciò che è parte essenziale di ogni riforma democratica. Aldo Garosci

Persone citate: Aldo Garosci, Giovanni Gentile, Guido Baccelli