Il bluff con gli alleati di Vittorio Gorresio

Il bluff con gli alleati DAI GIORNI BADOGLIANI ALL'8 SETTEMBRE 1943 Il bluff con gli alleati Il governo Badoglio mostrò molte pretese verso gli anglo-americani - Si aspettava che essi corressero in suo aiuto e impartiva consigli sul modo migliore di vincere la guerra - Le assurde battute tra i negoziatori sembrano uscite dal film "Il dottor Stranamore" - Si giunse a sperare che le truppe tedesche fossero "risucchiate" fuori d'Italia da una sconfitta subita altrove Roma, settembre. Verso gli anglo-americani il governo dei quarantacinque giorni mostrò molte pretese. Si aspettava che essi corressero in suo aiuto, e nell'attesa impartiva loro buoni consigli sul modo migliore di far la guerra. Così un Paese sconfitto dava lezione ai propri vincitori, in più esigendo informazioni circa i loro piani segreti e riservandosi di assecondarli a condizioni determinate. Racconta Gianfranco Bianchi nel suo 25 luglio, crollo di un regime (Milano 1963, pag. 498) che il primo passo in tale direzione fu compiuto presso il governo svizzero all'inizio d'agosto (subito dopo l'incontro a Tarvisio tra Ribbentrop e Guariglia. Ambrosio e KeitelJ dal grande industriale milanese della gomma Alberto Pirelli, per incarico del duca Pietro Acquarone, ministro della Real Casa, e del ministro degli Affari Esteri Raffaele Guariglia, barone di Vituso. Scopo della missione era che il governo elvetico « si facesse interprete presso gli anglo-americani della speranza del governo Badoglio che all'Italia peninsulare fosse risparmiata l'invasione degli eserciti di quei Paesi ». Pirelli avrebbe dovuto far presente che « se lo sbarco fosse avvenuto altrove, i tedeschi avrebbero ritirato dall'Italia le loro truppe, anziché rinforzarle come stavano facendo. In tal caso l'Italia avrebbe potuto pensare da sola alle proprie sorti, risparmiata da una guerra tra gli alleati e i tedeschi sul suo suolo ». La missione Pirelli non sortì alcun effetto, ma già si vede come le idee dei suoi promotori fossero poche e semplici. Contemporaneamente, del resto, il marchese Blasco d'Ajeta — un consigliere di legazione che era stato capo del gabinetto di Ciano — fu inviato a Lisbona con l'incarico di persuadere il locale ambasciatore britannico, Ronald Hugh Campbell, sull'opportunità che le radio di Londra e di Washington sospendessero ogni polemica contro l'Italia «per impedire che un estremismo caotico, di cui si erano già avuti alcuni sintomi, potesse pregiudicare il normale ritorno a forme costituzionali di governo ». Sarebbe inoltre stato utile cessare i bombardamenti delle città italiane, pur « con opportune finte, per non favorire i sospetti germanici ». Anche la missione D'Ajeta fallì, avendo essa anzi provocato gli inglesi ad osservazioni per noi spiacevoli, Doveva infatti dichiarare Winston Churchill ai Comuni il 21 settembre che tutta l'esposizione del nostro diplomatico era stata nient'altro che « la preghiera che gli alleati salvassero l'Italia dai tedeschi e da se stessa, e al più presto possibile ». Per proprio conto radio Londra aveva già commentato: «Il governo Badoglio vuol fare il furbo ». In quegli stessi giorni, in ogni modo, fu dato il via ad una terza missione, quella del diplomatico Alberto Berto appositamente nominato console generale a Tangeri e incaricato di entrare in contatto con il suo collega britannico del posto, Thomas Gascoigne, per dimostrargli la convenienza « che gli alleati effettuassero uno sbarco nella Francia del Sud o nei Balcani, onde attirare altrove le forze tedesche dislocate in Italia e dare così maggiore libertà d'azione al regio governo ». Barone e duca Se queste erano state le sommarie istruzioni di Guariglia a Berto, Badoglio le aveva illustrate meglio « insistendo sulla necessità che gli alleati, con opportune operazioni militari di diversione "risucchiassero" le divisioni tedesche di stanza in Italia ». Il barone di Vituso e il duca di Addis Abeba non dubitavano insomma che lo scopo terminale della seconda guerra mondiale per gli anglo-americani fosse la liberazione della penisoia italiana. Gascoigne purtroppo diede a Berto una risposta deludente a nome dei governi alleati: « E' necessario che il maresciallo Badoglio comprenda che noi non possiamo negoziare, ma esigiamo una resa incondizio- ! nata (...). Il signor Berio deve essere informato che egli deve presentare un documento che offra la resa senza condizioni e chieda di conoscere i termini che il governo italiano dovrà sottoscrivere ». Così fallite le prime tre missioni, Badoglio voltò pagina cercando un quarto uomo — a livello militare — e scelse all'uopo quel generale Giuseppe Castellano che aveva il merito di avere già messo nel sacco il tenente colonnello tedesco Eugen Dollmann. Gli dette Ambrosio le istruzioni del caso: « La signoria vostra deve cercare di abboccarsi con gli ufficiali dello Stato Maggiore anglo-americano, esporre la nostra situazione militare, sentire quali sono le loro intenzioni e, soprattutto, dire che noi non possiamo sganciarci dall'alleato senza il loro aiuto. Consigli uno sbarco a Nord di Roma e un altro in Adriatico; uno sbarco a Nord di Rimini risolverebbe da solo tutta la situazione, perché i tedeschi, minacciati sul fianco delle proprie linee di comunicazione sarebbero costretti a ripiega! re dall'Italia centrale a difesa dei passi alpini». Par di sognare. Pur disponendo di servizi di informazione, il nostro comando supremo evidentemente ignorava quale fosse l'entità dell'effettiva potenza navale anglo-americana in Mediterraneo, e si induceva a sopravvalutarla immaginandosi una miracolistica possibilità di sbarchi qua e là, lontanissimi dalle basi di partenza. In secondo luogo, come osserva Ruggero Zangrandi C1943: 25 luglio-8 settembre, Milano 1964 pag. 290) quei nostri generali che erano « incapaci di fermare un plotone tedesco in casa loro, non solo pretendevano di conoscere le "intenzioni" dello Stato Maggiore anglo-americano (come se questo non desiderasse altro che confidarle al primo incontrato, anzi al nemico con il quale la guerra "continuava") ma seguitavano a impartirgli lezioni di strategia: uno sbarco a Nord di Roma, un altro in Adriatico; "risolutivo" se si fosse capito che bisognava farlo a Nord di Rimini ». La trimurti Bisogna ammettere che Castellano fece prodigi di abilità personale, comunque ristretti nei limiti della sua condizione di prigioniero del gioco frìvolo e futile che gli era stato imposto dalla trimurti Quirinale-governo-comando supremo. Egli era stato munito solo di un biglietto di presentazione per l'ambasciatore britannico a Madrid, sir Samuel Hoare, avendogli detto Guariglia che non era possibile dargli regolari credenziali: « Non si faccia scoprire — gli aveva raccomandato — altrimenti qui ci ammazzano tutti ». Ciononostante, Samuel Hoare ricevè Castellano a Madrid il giorno di Ferragosto del 1943, lo stette ad ascoltare per un'ora, poi lo spedì con Dio al proprio collega di stanza a Lisbona, Ro¬ ! nald Hugh Campbell. Costui dovette rimanere un po' sorpreso, come sappiamo dalla dichiarazione di Churchill ai Comuni: « L'inviato del governo italiano si presentò al nostro ambasciatore a Madrid a dire che quando gli alleati fossero sbarcati in Italia, il governo italiano sarebbe stato pronto ad unirsi contro i tedeschi. Ci domandò anche il giorno che noi saremmo arrivati ». Quando si è in guerra, questo è un domandare molto al proprio nemico e non c'è da stupirsi che i negoziatori alleati (oltre a Campbell essi erano l'incaricato d'affari Usa George Kennan e i due generali Walter Bedell Smith, americano, e William Kenneth Strong, inglese) ne fossero sconcertati. Ma il nostro Castellano si rivelò un abilissimo venditore di fumo, tenace nel reggere alle discussioni più lunghe senza nemmeno bere alcolici, a differenza degli anglo-americani. Egli insisteva suadente nel ventilare una possibile «partecipazione dell'Italia alla guerra a fianco degli alleati», magnificava le buone disposizioni di Badoglio al riguardo, e ripeteva ostinatamente che « sarebbe stato molto utile per il suo governo conoscere dove e quando l'invasione alleata si sarebbe effettuata ». Armi e scarpe Tuttavia il gen. Walter Bedell Smith ebbe buon gioco ad obbiettargli che « come soldato, il generale Castellano doveva capire i motivi che impedivano al comando alleato di dare in quel momento informazioni dettagliate sui suoi piani ». Castellano continuò a sostenere imperterrito che per gli ! alleati la cosa migliore sarebbe stata « sbarcare nel Nord dell'Italia, nella zona di Livorno, tra Grosseto e La Spezia», e in aggiunta chiedeva grosse forniture di carburanti, carri armati, armi anticarro, perfino scarpe per le truppe italiane: ciò che forse non era un grande accorgimento, questo dipingerci noi stessi come senza risorse, cioè alleati poco desiderabili. Ma era la fissazione del nostro governo e del nostro comando supremo venire a conoscere i piani del nemico ed ottenere larghi aiuti, fine a cui tutti gareggiavano a più pretendere. Guariglia trovava stupefacente che gli anglo-americani non ci volessero comunicare i loro segreti: « Se questo atteggiamento negativo non può spiegarsi che con la diffidenza nei nostri riguardi, mi si lasci pur dire che tale diffidenza non poteva che essere il frutto di calunniose, interessate informazioni, di sensazioni non controllate dalla ragione o di puerili errori di giudizio (Raffaele Guariglia, Ricordi, Napoli 1950, pag. 666). Egli comunque si aggrappava a una speranza: « Chissà che un rovescio tedesco altrove non risucchi le loro molte divisioni scese dalle Alpi! ». (Cfr. Ivanoe Bonomi, Diario di un anno, Milano 1947, pag. 77). Questa idea del «risucchio » era già stata prospet¬ tata da Alberto Pirelli a Berna e da Alberto Berio a Tangeri, ma altri puntavano piuttosto su un massiccio aiuto aereo nemico ritenuto doveroso: « Orlando è d'accordo con me che, in eventuali intese con gli angloamericani, occorra chiedere un forte aiuto di aeroplani che potrebbero giungere in Italia in poche ore » (Bonomi, op. cit., pag. 60). Sono discorsi di borghesi strateghi da caffè, ma il generale Giacomo Carboni li integrava con cifre: « Si potrebbe far giungere un mezzo migliaio di aerei inglesi e americani, ciò che darebbe possibilità di resistere in attesa di sbarchi alleati recanti pronti ed efficaci soccorsi » (Bonomi, ibid., pag. 78). Era d'accordo il ministro della Guerra generale Antonio Sorice: « Occorrerebbe che 500 o 600 apparecchi inglesi o americani venissero subito in nostro soccorso » (Bonomi, ibid., pag. 91). Possono anche sembrare le battute del dialogo in un film come II dottor Stranamore, ma Badoglio puntava più grosso. Da Castellano fece dire agli anglo-americani che era necessario un loro sbarco di non meno di quindici divisioni tra Civitavecchia e La Spezia, e si ebbe in risposta dal generale W. Bedell Smith che se gli alleati fossero stati in grado di sbarcare tante forze, non avrebbero avuto bisogno di concedere un armistizio all'Italia: dal che politici e militari più avveduti avrebbero potuto capire che se Castellano bluffava assicurando che gli anglo-americani « erano una manica di fessi che lui si cucinava a suo piacimento » (cfr. la relazione del maggiore degli alpini Alberto Briatore addetto al Sim, in Zangrandi, op. cit., pag. 951), anche gli anglo-americani bluffavano con promesse di imprese superiori alle loro forze. Onestamente detto tutto, quello italiano fu un modesto bluff da piccoli sbruffoni per non perdere la faccia, ma l'anglo-americano è poi entrato nella letteratura militare con il nome ufficiale di « gigantic bluff ». Esso non torna quindi a loro onore, ma non averlo noi capito viene a nostro disdoro. Vittorio Gorresio Milano, estate 1943. Mentre le « missioni » trattano, sulle città italiane continuano a cadere le bombe