Il gioco degli inganni di Vittorio Gorresio

Il gioco degli inganni DAI GIORNI BADOGLIANI ALL78 SETTEMBRE 1943 Il gioco degli inganni L'imbroglio politico combinato dal governo militare lasciò esterrefatto lo stesso Mussolini: temeva che i tedeschi lo credessero ispiratore del 25 luglio - Mai la parola degli italiani discese a quotazioni così basse - Il doppio gioco riuscì a stornare "la brama hitleriana di una notte di San Bartolomeo" contro i sovrani e Badoglio; ma non impedì l'occupazione nazista . Roma, settembre. L'imbroglio politico che il governo militare italiano per disgrazia della Nazione riuscì a combinare durante i quarantacinque giorni fu cosa che lasciò esterrefatto lo stesso Mussolini. Una testimonianza di suo figlio Vittorio — riferita da Ruggero Zangrandi a pag. 126 del volume 1943: 25 luglio 8 settembre (Milano 1964 ) — la dice lunga. Pare infatti che il Duce si preoccupasse del sospetto tedesco « che il 25 luglio fosse stato organizzato o, quanto meno, favorito da lui, evidentemente per realizzare la rottura dell'alleanza. (...) Sempre al figlio Vittorio, ohe gli domandava se diffidasse anche Hitler, Mussolini rispose: "No, lui sembra di no. Ma il suo entourage sospetta, e non so dargli torto. Sai cosa pensa Ribbentrop? Che il 25 luglio sia stata una commedia all'italiana, imbastita tra me e il re, per salvare capra e cavoli" ». Le svolte di questa presunta commedia all'italiana servirono certamente a depistare i tedeschi, ma se ciò può esser visto come vantaggio tattico acquisito in una difficile contingenza, poi contribuì ad accrescere al momento buono il fu- rore nazista di rappresaglie, e per altro verso ad alimentare la diffidenza degli anglo-americani. Mai forse in nessuna epoca della storia moderna la parola degli italiani discese a quotazioni così basse come durante ì quarantacinque giorni, e in ogni modo anche Mussolini contribuiva del suo meglio alla confusione delle idee di alleati e nemici: non appena arrestato, egli difatti aveva scritto una bella lettera a Badoglio profferendosi a piena disposizione sua e del re, e pochi giorni dopo dal confino di Ponza aveva proclamato che per lui la maggiore umiliazione sarebbe stata di essere restaurato ad opera dei tedeschi. Rozzi e onesti / poveri nazisti nella loro rozzezza, come gli onesti anglo-americani nella loro semplicistica dirittura, difficilmente potevano raccapezzarsi. Il più sottile dei tedeschi in servizio a Roma — il tenente colonnello delle SS Eugen Dollmann, che si lusingava di essere il miglior conoscitore della psicologia politica italiana — ammette nel suo libro Roma nazista (Milano 1949, passim tra pagg. 190 e 209) di essersi fatto giocare come un bambino « nel periodo reso critico dalla brama hitleriana di una notte di San Bartolomeo ». A giocarlo fu il generale pugliese Giuseppe Castellano, che nell'occasione dette prova «di qualità diplomatiche che non tutti i generali posseggono. La mia incontestabile sconfìtta — scrive l'agente tedesco — non mi impedisce di riconoscere che si deve ai nostri rapporti l'aver evitato sciagure e sacrifici di vite umane, ragion per cui mi inchino volentieri alla vittoria del generale italiano ». Bisogna intendersi, naturalmente. Fu evitata la piccola notte di San Bartolomeo, « tragica bravata giovanile escogitata dal Fuhrer » il quale con un colpo di mano avrebbe voluto impadronirsi di Vittorio Emanuele III (il re schiaccianoci, « der Nussknacker » come lo chiamava), della regina Elena e del figlio Umberto principe ereditario, di Badoglio e di altri generali: « I piani prevedevano, senza preoccupazioni per un eventuale spargimento di sangue, un attacco da effettuare di sorpresa verso mezzanotte, con l'impiego di ogni mezzo. Provvisti di piante minuziose, i gruppi di assalto avrebbero dovuto arrestare i membri del governo, della Casa reale e gli alti ufficiali, disarmare la truppa e i carabinieri che avessero tentato di resistere, e occupare il ministero dell'Interno, le stazioni radio e la centrale telefonica. Si sarebbe pure dovuto isolare ermeticamente il Vaticano... ». Comunque, la polizia italiana ne era al corrente. Il dottor Raffaele Alianello. giovane funzionario addetto alla direzione della p.s., seppe una sera da Herbert Kappler — che accortamente egli aveva fatto ubriaca¬ re — « che il colpo era stato deciso, ma si aspettava l'occasione per eseguirlo ». Al momento buono Kappler glielo avrebbe comunicato per telefono « in una forma convenuta che Alianello portò anche a mia conoscenza », ha scritto Carmine Senise nel suo libro Quando ero capo della polizia (Roma 1946, pag. 232). Che poi non sia accaduto nulla, e nulla del genere sia stato nemmeno tentato, si dove anche all'ambiguità degli ingannevoli rapporti reciproci. Serve Dollmann che gli giovai « per influire sugli elementi moderati tedeschi, poter insistere sulla fedeltà dell'Italia e sulla sua volontà di continuare la guerra, appellandomi ad un rappresentante autorevole dello stato maggiore italiano, quale il Castellano era. Di rimando, il generale Castellano poteva togliere a Palazzo Vidoni (sede del comando supremo italiano, n.d.r.) i timori di rappresaglie tedesche per il crollo del fascismo, giacché dalle mie dichiarazioni esse risultavano per lo meno non imminenti. Così Palazzo Vidoni trovava tempo per i suoi piani, e il generale la calma occorrente ai suoi nervi ». Ma questo gioco degli inganni — commedia all'italiana — ebbe in realtà una dimensione e un'efficacia modeste. Salvò la libertà e le vite preziose dei componenti della famiglia reale, del governo e dei grandi generali del momento, ma nelle more di svolgimento della rappresentazione romana, i tedeschi ebbero il tempo necessario per occupare stabilmente l'Italia facendo affluire altre loro dieci divisioni nella penisola e apprestando le basi per una guerra che disgraziatamente era destinata a durare quasi ancora due anni. Ci volle poi la Resistenza — al costo di ben maggiori stragi — perché cessasse, e in ogni modo la rinuncia alla tragica bravata giovanile hitleriana della notte di San Bartolomeo non fu neppure molto meritoria da parte dei tedeschi. I suoi possibili esecutori — Otto Skorzeny ed Herbert Kappler — non ne avevano le forze sufficienti: « Durante la sua permanenza a Roma, Skorzeny arrivò a disporre di 80 uomini al massimo, mentre Kappler fino all'8 settembre non ebbe che tre o quattro collaboratori ». Parla Ambrosio / quarantacinque giorni furono invece impiegati dall'Oberkommando per invadere l'Italia: «A proposito — domandò il 31 luglio il nostro capo di stato maggiore generale Vittorio Ambrosio al maresciallo Albert Kesselring, comandante delle truppe tedesche nella penisola — perché vengono ora occupati tutti i posti di blocco a Sud del Brennero? ». « Non sono a conoscenza di questo fatto », gli mentì Kesselring, ed il colloquio fra i due capi continuò su un tono irreale, registrato con una gelida precisione che attinge all'ironia dall'anonimo estensore di un rapporto pubblicato in appendice nel libro di Frederick W. Deakin ('Storia della Repubblica di Salò, Torino 1963, pagg. 497-9). Kesselring affermò che Hitler intendeva solo mettere a disposizione nuove truppe tedesche per la difesa del territorio italiano. Gli eccepì Ambrosio che non bisognava « ingombrare il Paese, che è già pieno ». Kesselring: « Ritengo che due divisioni potranno affluire in zona di Livorno, per essere caricate e quindi fatte proseguire. Io ho migliaia di uomini dislocati nell'Italia meridionale, senza alcun collegamento col settentrione. Una base in zona di Livorno sarebbe giustificata ». Ambrosio: « Non posso consentire ciò. Queste divisioni devono andare nell'Italia meridionale, e quindi una loro sosta in zona di Livorno non è giustificata. Noi l'aiuto dobbiamo averlo laggiù e non in altri posti». Kesselring: «Potremmo portare un'altra divisione, se non la 305 e la 44 ». Ambrosio: « Stiamo parlando della 305 e della 44. Non discutiamo di altre divisioni ». Kesselring: « Giorni fa ho pprlato con sua eccellenza Roatta e si era detto fra noi che per aumentare la sicurezza sarebbe stato bene avere ancora altre forze in zona di Napoli e in zona di Livorno ». Ambrosio: « Non m'importa di quello che avete detto con Roatta. Prima di decidere di portare in Italia tutto l'esercito tedesco bisogna parlare con me ». L'ira di Dio Kesselring ammise che ci poteva essere stato qualche equivoco, ma che vi sì poteva rimediare: « E' il modo che non mi va! — replicò Ambrosio, che era un generale di cavalleria cocciuto e brusco — tralasciamo le discussioni perché non si conclu '.e niente. Vi prego piuttosto di ritirare le occupazioni lungo la ferrovia. Stamane, poi, ho avuto lamentele da parte di Sua Maestà, perché vostri paracadutisti, senza alcun permesso, hanno occupato una fenuta reale. A Viterbo, altri paracadutisti tedeschi (ce ne sono a migliaia) sparano, fanno l'ira di Dio. Voi siete il comandante, e come tale ne rispondete. A proposito, cosa sono tutti quei paracadutisti in zona di Viterbo? ». Kesselring: « Tre battaglioni destinati a completare gli organici della terza divisione Panzergrenadiere ». Ambrosio: « Dev'essere altra roba. Forse non ne siete al corrente. Comunque essi ci danno molto fastidio perché stanno facendo man bassa ». Kesselring: « Questo è un altro t.rgomento, ma vi sono grato per la segnalazione, così potrò provvedere. Chiedo soltanto che la fiducia sia reciproca ». Ambrosio: « Non si tratta di fiducia. Siamo preoccupati perché il contegno delle truppe tedesche lascia molto a desiderare e la popolazione si lamenta ». Da questo dialogo emerge una cosa essenziale, cioè che i tedeschi si ammassa¬ vano attorno a Roma per intimidire il governo Badoglio, e sul litorale toscano per controllare le mossi della flotta da guerra allora concentrata a La Spezia. A questi fini era necessario che i posti di blocco e le ferrovie a sud del Brennero fossero in mano tedesca, e si trattava di un'impresa molto più seria della vagheggiata piccola notte romana di San Bartolomeo. Si tornò infatti a parlarne con impegno — dopo il colloquio romano Ambrosio-Kesselring del 31 luglio — nell'incontro a Tarvisio fra lo stesso Ambrosio e il maresciallo Wil¬ helm von Keitel, capo dello stato maggiore della Wehrmacht, il 6 agosto 1943. Assistevano anche i ministri degli Esteri dei due Paesi, Raffaele Guariglia e Joachim von Ribbentrop, che si impegnarono in una conversazione « innegabilmente riboccante di sfiducia — annota Dollmann (op. cìt, pag. 204) — ma sempre diplomatica ». Viceversa, come ricorda ancora Dollmann, non appena la parola fu data ai due capi di stato maggiore alleati nell'Asse, « subentrò una singoiar tenzone per nulla diplomatica e a visiere calate. Incuranti della presenza dei ministri degli Esteri, i due si investirono gridando, come se ridiventati sottotenenti di prima nomina avessero dovuto istruire la più stupida delle reclute ». Ambrosio — un militare che avrebbe titolo alla gratitudine degli italiani se fino all'ultimo si fosse poi comportato con la stessa grinta e la stessa coerenza — pretendeva da Von Ke'.tel una dichiarazione impegnativa sui sospetti movimenti delle truppe tedesche, quali l'occupazione della linea del Brennero, i concentramenti nell'Italia settentrionale e a Frascati, Pratica di Mare e lungo le coste. Von Keitel, di rimando, reclamava spiegazioni sugli spostamenti delle truppe italiane intorno a Roma, sugli inaspriti controlli nelle grandi arterie, ed ambo i generali parlavano con voce forte, « eccitatissimi, ed ognuno convinto che l'altro lo ingannasse, lo minacciasse e lo tradisse ». JB così il tono del discorso saliva tra i rimproveri e le accuse: « Volete occupare l'Italia del Nord?». « E voi che cosa state preparando contro il quartier generale tedesco a Frascati? ». A un certo punto i ministri degli Esteri, che si erano astenuti dall'intervenire nella disputa fra i due caparbi militari, proposero di accomodarsi tutti a colazione dato che l'ora era già tarda. Guariglia scrive nei suoi Ricordi (Napoli 1950, pag. 630): « Ero riuscito, in realtà, ad ottenere una tregua: bisognava utilizzarla senza indugi per concludere i necessari accordi con gli alleati ». Ma sempre nello spirito del doppio gioco anche questi furono condotti malissimo. Vittorio Gorresio Settembre 1943: tedeschi istituiscono posti di blocco sulle strade italiane, l'alleato si trasforma in occupante