L'errore di Attende

L'errore di Attende La lettera del sabato L'errore di Attende Quando sento affermare con risolutezza (o leggo) che « l'Italia non è il Cile », nel senso che il nostro diverso grado di sviluppo, le istituzioni, tradizioni, ecc. ci garantiscono contro i pericoli che sta correndo adesso quel remoto Paese, un leggero brivido mi scorre per la schiena. Ricordo i tanti centroeuropei che, all'inizio degli Anni Trenta, ripetevano con presunzione « la Germania non è l'Italia », e la mia anima latina fa gli scongiuri. In realtà, è molto più vero ancora che « tutto il mondo è paese ». Certe esperienze corrono per tutto il mondo, causa e conseguenza degli attuali equilibri e squilibri del mondo. L'Italia « può essere » Cile, come « può essere » Grecia, « può essere » Cecoslovacchia, anche in assenza di tradizioni da colpo di Stato e di eserciti alla frontiera. Fronte popolare A che pensa, a che pensava infatti il primo che indicò in Italia il « pericolo cileno »? Non certo alle miniere di rame, alla riforma agraria, al ruolo di garanzia delle forze armate, tutti cose che in Italia non esistono. E neppure al diverso grado di sviluppo del Paese. Benché si esageri con il sottosviluppo, ricordiamo che il fascismo nacque in un'Italia ancora semiagraria e divenne la crisi di una grande società superindustriale. Chi parlò di « pericolo cileno » all'origine, metteva in guardia contro la costituzione di un « fronte popolare » che includesse, con i comunisti e gli estremisti di sinistra, socialisti massimalisti e no, e cattolici radicalizzati, da contrapporre a una democrazia cristiana certamente in crisi, uscita da un esperimento di riforma certo condotto con debolezze ed errori, come tutti questi esperimenti, ma non reazionaria. Perché l'inquietudine? Per preoccupazioni internazionali, certamente, ma anche per una altra ragione. I fronti popolari, quando vennero creati, dovevano isolare e battere pericoli di reazione fascisti o parafascisti. Non si può neppur dire che vi siano riusciti; perché chi batté il fascismo alla fine, non furono i « fronti popolari », ma coalizioni più larghe, nazionali e internazionali, e in Italia, per quel tanto che potè fare l'Italia, i comitati di liberazione nazionale. Ma insomma, all'infuori del periodo antifascista (e non senza che del fenomeno vi fossero sintomi premonitori in Spagna) dappertutto i « fronti popolari » degenerarono, o comunque divennero « democrazie popolari », e cioè coalizioni apparenti, che nel rispetto di apparenti regole democratiche, di apparenti pluralismi, in realtà sotto la pressione assieme di masse irreggimentate e di influenze esterne, nascondevano il regime a partito unico, irreversibilmente burocratico. Questo pericolo, formalmente, non esiste per ora in Italia. Ma c'è chi lo pensa, chi teorizza future coalizioni di questo genere o, come si disse per alcun tempo, « equilibri più avanzati », e ciò è elemento di inquietudine nella nostra società, di divisione, di concorrenza demagogica. Fu la paura di una « futura » rivoluzione, oltre che di un disordine presente, a preparare il terreno di coltura del fascismo, non una rivoluzione in atto. Sta di fatto che, dato che ormai la coalizione cilena esiste, avremmo potuto anche smetterla di parlare di errore « cileno », se gli avvenimenti di questi giorni, i pericoli di questi giorni non ci offrissero altri temi di meditazione. Senso della lotta Già di particolare nel fronte popolare cileno sembra ci sia la posizione che in esso ebbero, e hanno tuttora, il presidente eletto, Allende, e il partito socialista (massimalista), principale membro della colazione. Questo partito, sinceramente estremista nella sua volontà di riforma socialista, sembra, almeno nel suo presidente, essersi attenuto, nell'assieme, alla prassi democratica e aver progettato la riforma socialista come il risultato di un consenso da acquisire nel Paese; anche se, e nel suo interno stesso, e come alleati, ha dovuto ammettere il concorso di altri, i quali non credevano che un simile compito potesse toccare, efficacemente, se non a chi si fosse impadronito rivoluzionariamente del potere. Quale è stato, a quanto sembra, il risultato della tattica « allendista »? Dapprima (stando ai risultati delle elezioni mu¬ nicipali, poi anche delle politiche triennali, che cadono cioè a metà del mandato presidenziale) un aumento di consensi. Le riforme, certo, avevano costi e provocavano crisi; ma costi e crisi potevano essere tanto più facilmente messi in conto al nemico di fuori, agl'intrighi dei conservatori colpiti, alle destre fasciste (ricordiamo che « regime fascista » in Cile non ce ne fu mai, ma molti furono gli echi delle vicende europee degli Anni Trenta). Del resto, le riforme che riescono disaffezionano dal governo che ormai le ha fatte; quelle che non riescono aguzzano il senso di lotta. Forse proprio qui è ora l'« errore » cileno. Certe, questo metodo esaspera il sentimento di lotta dei propri partigiani: ingrossa il numero degli attivisti, ma spacca in due il Paese. Se è difficile governare da conservatori con poco più d'una maggioranza legale, ancora più difficile è governare a lungo da riformatori senza la fiducia permanente di vaste maggioranze. Allende sembra essersene reso conto da un pezzo, così come i comunisti, al solito flessibili prima di possedere il monopolio del potere. Ma finora ha preferito i compromessi con i ceti o i gruppi di malcontenti (sfruttati anche dall'opposizione, ora) o con le forze « apolitiche » come i militari, a seri accordi di compri ksso di fondo. Alla logica della coalizione di estrema, antiriformista, gli è difficile rinunciare. L'avvenire soltanto dirà se è possibile evitare la spaccatura del Paese senza un governo di unione nazionale e con la mobilitazione perpetua degli attivisti, che ormai (lo ha detto lo stesso Presidente) è bilaterale. Ogni volta che si pretende — non solo in Cile — che una serie di riforme (che dovrebbero di per sé essere atti di razionalizzazione e perciò pacificairici) diventi una serie di « lotte » progredienti, si cade nell'errore che ha portato il Cile (a sentire i suoi dirigenti) così vicino alla guerra civile. Le varianti del caso possono essere infinite: ma l'ultimo mònito che sembra venire dal « modello cileno » par; questo: la riforma avanza soltanto dopo aver accertato un non improvvisato consenso di maggioranze sostanziali. Solo così, del resto, si mantiene la democrazia; perché solo in tal modo l'opposizione di ieri può diventare governo di oggi, e viceversa: perché, cioè, anch'essa ha accettato, in sostanza, le innovazioni che si sono compiute sotto il fuoco di fila delle sue stesse critiche. Aldo Garose!

Persone citate: Aldo Garose, Allende