L'inglese imprigionato nella March Scandaloso ritardo dei soccorritori

L'inglese imprigionato nella March Scandaloso ritardo dei soccorritori L'inglese imprigionato nella March Scandaloso ritardo dei soccorritori Dopo l'urto contro un guard-rail la vettura si rovescia - Purley si ferma e tenta di aiutare il collega - Le fiamme divampano e nessuno interviene -1 pompieri arrivano dopo 4 minuti - Il problema della sicurezza La tragica morte di Roger Williamson grida vendetta. Tutto il mondo è paese nell'inadeguatezza dei servizi antincendio e di soccorso. Si protestava — giustamente — contro Monza per quanto è accaduto prima a Pasolini e Saarinen e poi a Galtrucco, Colombini e Chionio. Che cosa dovremmo dire adesso, con le immagini del rogo di Zandvoort viste per tv? Uno spettacolo orrendo, drammatico, uno spettacolo che è un atto di accusa contro gli organizzatori del Gran Premio d'Olanda. Noi, e milioni di telespettatori, non ci faremo incantare da versioni di comodo, da giustificazioni, da scuse. La realtà l'abbiamo vista con i nostri occhi, lì nel teleschermo che è venuto — freddo ed imparziale — a distruggere la serena tranquillità di una domenica di luglio. Rievochiamo le fasi della sciagura, momento per momento. E' l'ottavo giro della corsa, La March di Williamson sbanda, si capovolge, urta contro il guard-rail che fiancheggia il lato sinistro della pista, in uno dei punti più veloci del circuito di Zandvoort: i piloti l'affrontano a 250-260 l'ora. Purley vede la scena e con gesto magnifico si ferma per aiutare il collega. Purley esce dalla sua vettura — un'altra March —, si guarda intorno, attende un attimo, poi attraversa la carreggiata mentre la gara continua e si mette a correre disperatamente verso la macchina di Williamson, che giace con le ruote al cielo, la coda verso il guard-rail. Purley si avvicina, cerca di rovesciarla premendo contro una ruota con le mani e il corpo. In questo momento — e sono già passati parecchi secondi dal momento dell'impatto contro la barriera — le fiamme ancora non divampano. Compaiono tre commissari sportivi, di cui uno munito di un estintore portatile. Sembrano inebetiti o spaventati. Temono, probabilmente, che la March esploda. Nessuno ha indumenti speciali antifiamma, non c'è un pompiere con la speciale tuta ignifuga. Purley s'impossessa dell'estintore e ne dirige il getto sulla monoposto. Gli altri guardano. La carica — ovviamente limitata — si esaurisce ed è il rogo. I minuti trascorrono lentissimi mentre le fiamme avvolgono la vettura e il suo povero fardello umano. Purley, che fa gesti disperati, vie. ne rudemente allontanato. Giunge un'auto di servizio, mentre il fumo avvolge la scena e le monoposto degli altri concorrenti sfilano a velocità ridotta. Dopo quasi quattro minuti — abbiamo registrato il tempo automaticamente, dal momento delle prime immagini dell'incidente comparse sul teleschermo — compare un mezzo antincendio con quattro o cinque pompieri in tuta. Aggrediscono le fiamme, quasi con cautela. Nessuno cerca di rovesciare subito la March. Andrea De Adamich, che commenta per la tv svizzera, fa una giustissima osservazione. « E il cavo con lo speciale gancio — dice il nostro pilota — per capovolgere una macchina, previsto dai regolamenti di sicurezza, dovè? ». II fuoco si spegne, finalmente la monoposto viene rimessa sulle ruote. E' un rottame. Sull'abitacolo viene steso un telo. Sono trascorsi circa 14 minuti. La tragedia si è compiuta. Sull'asfalto ri. mane un'enorme chiazza bianca, formata dalla polvere degli estintori. I pompieri se ne vanno. Resta il relitto con il corpo martoriato di Williamson, che Stewart, Peterson e compagni sfiorano nella loro lotta per la vittoria. Questi i fatti, come si sono visti per tv. Immagini ohe ci hanno riportato alla memoria un altro dramma: quello del maggio 1967, protagonista Lorenzo Bandini a Montecarlo. Sono trascorsi sei anni da allora e, a quanto pare, si sono compiuti progressi molto scarsi se un pilota pub ancora morire come Williamson ieri. Il rischio è una costante inevitabile delle competizioni, ma esso dovrebbe essere contenuto, soprattutto dovrebbero essere ridotte le conseguenze di un eventuale incidente. Da tempo i piloti di Formula 1, riuniti in asso, dazione (la Grand Prix Drivers Association), sono impegnati in una campagna per ila sicurezza e qualche risultato è stato raggiunto: le mo¬ noposto sono state appesantite, a bordo vi sono impianti antincendio, serbatoi speciali racchiudono la benzina; alcuni circuiti sono stati contestati e hanno dovuto ap¬ portare modifiche al loro tracciato, come il Nuerburgring o lo stesso Zandvoort, in cui l'anno scorso non si gareggiò. Evidentemente quanto è sta- to fatto finora non basta. E poiché non si possono trasformare le vetture in carri armati (non si può neppure con quelle normali, di tutti i giorni), occorre intervenire sui circuiti. La soluzione non è nemmeno complicata: il nasto d'asfalto deve correre fra due ampie zone prive di ogni ostacolo, in sabbia o erba, per consentire una innocua decelerazione a chi esce dalla carreggiata. Poi, reti di contenimento, in grado di assorbire dolcemente l'impatto, infine il guard-rail. La barriera rigida serve ad evitare che la macchina voli fra il pubblico, ma non può impedire la violenza dell'urto. Persino, può ributtare in pista la monoposto, trasformandola in un ostacolo-trabocchetto per le altre. Questo tipo di tracciato esiste già, e citiamo quelli di Le Castellet o di Nivelles o di Misano Adriatico. In più, un servizio antincendio veramente valido, con mezzi e pompieri appostati nei punti chiave, in grado di coprire con spostamenti rapidissimi, su strade di servizio al lato della pista, ogni metro del percorso. A Zandvoort, invece, i guardrail sono assai vicini alla pista, salvo in qualche curva intelligentemente disegnata. E mancano i pompieri. Quelli intervenuti in soccorso di Williamson arrivavano dal posto situato a fianco dei box, e quindi hanno dovuto percorrere due o tre chilometri di pista. E' incredibile che in quel punto non fosse stato predisposto un posto supplementare. E non ci si obietti che non era possibile prevedere che proprio lì si sarebbe schiantato Williamson. Il punto è noto a tutti per la sua pericolosità: nel 1970 vi morì in analogo rogo Piers Courage. Per i piloti non c'è proprio perdono. Uno sbaglio è fatale, sé non interviene la Divina Provvidenza. Si rompe un organo della macchina, un collega ti investe, tu fai uno sbaglio: il confine fra la vita e la morte rimane appeso aa un filo. Un filo che si può spezzare con estrema facilità. Amiamo le corse, ma bisogna che esse siano organizzate da professionisti. E' necessario cambiare, è necessario intervenire, prima che la solita superiore autorità decida un giorno di imporre un secco «no». Ma i peggiori nemici delle competizioni sono quelli che operano al loro interno male, come gli organizzatori di Zandvoort. Michele Fenu Roger Williamson era nato il 2 febbraio 1948 a Leicester, in Inghilterra. Aveva cominciato con i kart, passando nel 1971 alle monoposto di Formula 3. Williamson si era messo rapidamente in luce come una delle migliori «promesse» inglesi. Nel 1972 era salito alla Formula 2 e a quella 5000. Il debutto in F. 1 era avvenuto quest'anno a Silverstone, nel G.P. d'Inghilterra, in cui aveva sostituito il francese Jarier (impegnato per l'europeo di F. 2) sulla March Zandvoort. Il pilota David Purley accanto ai rottami dell'auto in cui è morto Williamson (United Press International) L'inglese imprigionato nella March Scandaloso ritardo dei soccorritori L'inglese imprigionato nella March Scandaloso ritardo dei soccorritori Dopo l'urto contro un guard-rail la vettura si rovescia - Purley si ferma e tenta di aiutare il collega - Le fiamme divampano e nessuno interviene -1 pompieri arrivano dopo 4 minuti - Il problema della sicurezza La tragica morte di Roger Williamson grida vendetta. Tutto il mondo è paese nell'inadeguatezza dei servizi antincendio e di soccorso. Si protestava — giustamente — contro Monza per quanto è accaduto prima a Pasolini e Saarinen e poi a Galtrucco, Colombini e Chionio. Che cosa dovremmo dire adesso, con le immagini del rogo di Zandvoort viste per tv? Uno spettacolo orrendo, drammatico, uno spettacolo che è un atto di accusa contro gli organizzatori del Gran Premio d'Olanda. Noi, e milioni di telespettatori, non ci faremo incantare da versioni di comodo, da giustificazioni, da scuse. La realtà l'abbiamo vista con i nostri occhi, lì nel teleschermo che è venuto — freddo ed imparziale — a distruggere la serena tranquillità di una domenica di luglio. Rievochiamo le fasi della sciagura, momento per momento. E' l'ottavo giro della corsa, La March di Williamson sbanda, si capovolge, urta contro il guard-rail che fiancheggia il lato sinistro della pista, in uno dei punti più veloci del circuito di Zandvoort: i piloti l'affrontano a 250-260 l'ora. Purley vede la scena e con gesto magnifico si ferma per aiutare il collega. Purley esce dalla sua vettura — un'altra March —, si guarda intorno, attende un attimo, poi attraversa la carreggiata mentre la gara continua e si mette a correre disperatamente verso la macchina di Williamson, che giace con le ruote al cielo, la coda verso il guard-rail. Purley si avvicina, cerca di rovesciarla premendo contro una ruota con le mani e il corpo. In questo momento — e sono già passati parecchi secondi dal momento dell'impatto contro la barriera — le fiamme ancora non divampano. Compaiono tre commissari sportivi, di cui uno munito di un estintore portatile. Sembrano inebetiti o spaventati. Temono, probabilmente, che la March esploda. Nessuno ha indumenti speciali antifiamma, non c'è un pompiere con la speciale tuta ignifuga. Purley s'impossessa dell'estintore e ne dirige il getto sulla monoposto. Gli altri guardano. La carica — ovviamente limitata — si esaurisce ed è il rogo. I minuti trascorrono lentissimi mentre le fiamme avvolgono la vettura e il suo povero fardello umano. Purley, che fa gesti disperati, vie. ne rudemente allontanato. Giunge un'auto di servizio, mentre il fumo avvolge la scena e le monoposto degli altri concorrenti sfilano a velocità ridotta. Dopo quasi quattro minuti — abbiamo registrato il tempo automaticamente, dal momento delle prime immagini dell'incidente comparse sul teleschermo — compare un mezzo antincendio con quattro o cinque pompieri in tuta. Aggrediscono le fiamme, quasi con cautela. Nessuno cerca di rovesciare subito la March. Andrea De Adamich, che commenta per la tv svizzera, fa una giustissima osservazione. « E il cavo con lo speciale gancio — dice il nostro pilota — per capovolgere una macchina, previsto dai regolamenti di sicurezza, dovè? ». II fuoco si spegne, finalmente la monoposto viene rimessa sulle ruote. E' un rottame. Sull'abitacolo viene steso un telo. Sono trascorsi circa 14 minuti. La tragedia si è compiuta. Sull'asfalto ri. mane un'enorme chiazza bianca, formata dalla polvere degli estintori. I pompieri se ne vanno. Resta il relitto con il corpo martoriato di Williamson, che Stewart, Peterson e compagni sfiorano nella loro lotta per la vittoria. Questi i fatti, come si sono visti per tv. Immagini ohe ci hanno riportato alla memoria un altro dramma: quello del maggio 1967, protagonista Lorenzo Bandini a Montecarlo. Sono trascorsi sei anni da allora e, a quanto pare, si sono compiuti progressi molto scarsi se un pilota pub ancora morire come Williamson ieri. Il rischio è una costante inevitabile delle competizioni, ma esso dovrebbe essere contenuto, soprattutto dovrebbero essere ridotte le conseguenze di un eventuale incidente. Da tempo i piloti di Formula 1, riuniti in asso, dazione (la Grand Prix Drivers Association), sono impegnati in una campagna per ila sicurezza e qualche risultato è stato raggiunto: le mo¬ noposto sono state appesantite, a bordo vi sono impianti antincendio, serbatoi speciali racchiudono la benzina; alcuni circuiti sono stati contestati e hanno dovuto ap¬ portare modifiche al loro tracciato, come il Nuerburgring o lo stesso Zandvoort, in cui l'anno scorso non si gareggiò. Evidentemente quanto è sta- to fatto finora non basta. E poiché non si possono trasformare le vetture in carri armati (non si può neppure con quelle normali, di tutti i giorni), occorre intervenire sui circuiti. La soluzione non è nemmeno complicata: il nasto d'asfalto deve correre fra due ampie zone prive di ogni ostacolo, in sabbia o erba, per consentire una innocua decelerazione a chi esce dalla carreggiata. Poi, reti di contenimento, in grado di assorbire dolcemente l'impatto, infine il guard-rail. La barriera rigida serve ad evitare che la macchina voli fra il pubblico, ma non può impedire la violenza dell'urto. Persino, può ributtare in pista la monoposto, trasformandola in un ostacolo-trabocchetto per le altre. Questo tipo di tracciato esiste già, e citiamo quelli di Le Castellet o di Nivelles o di Misano Adriatico. In più, un servizio antincendio veramente valido, con mezzi e pompieri appostati nei punti chiave, in grado di coprire con spostamenti rapidissimi, su strade di servizio al lato della pista, ogni metro del percorso. A Zandvoort, invece, i guardrail sono assai vicini alla pista, salvo in qualche curva intelligentemente disegnata. E mancano i pompieri. Quelli intervenuti in soccorso di Williamson arrivavano dal posto situato a fianco dei box, e quindi hanno dovuto percorrere due o tre chilometri di pista. E' incredibile che in quel punto non fosse stato predisposto un posto supplementare. E non ci si obietti che non era possibile prevedere che proprio lì si sarebbe schiantato Williamson. Il punto è noto a tutti per la sua pericolosità: nel 1970 vi morì in analogo rogo Piers Courage. Per i piloti non c'è proprio perdono. Uno sbaglio è fatale, sé non interviene la Divina Provvidenza. Si rompe un organo della macchina, un collega ti investe, tu fai uno sbaglio: il confine fra la vita e la morte rimane appeso aa un filo. Un filo che si può spezzare con estrema facilità. Amiamo le corse, ma bisogna che esse siano organizzate da professionisti. E' necessario cambiare, è necessario intervenire, prima che la solita superiore autorità decida un giorno di imporre un secco «no». Ma i peggiori nemici delle competizioni sono quelli che operano al loro interno male, come gli organizzatori di Zandvoort. Michele Fenu Roger Williamson era nato il 2 febbraio 1948 a Leicester, in Inghilterra. Aveva cominciato con i kart, passando nel 1971 alle monoposto di Formula 3. Williamson si era messo rapidamente in luce come una delle migliori «promesse» inglesi. Nel 1972 era salito alla Formula 2 e a quella 5000. Il debutto in F. 1 era avvenuto quest'anno a Silverstone, nel G.P. d'Inghilterra, in cui aveva sostituito il francese Jarier (impegnato per l'europeo di F. 2) sulla March Zandvoort. Il pilota David Purley accanto ai rottami dell'auto in cui è morto Williamson (United Press International)

Luoghi citati: Inghilterra, Misano Adriatico, Montecarlo, Monza, Olanda, Silverstone, Zandvoort