Le virtuose di Goldoni

Le virtuose di Goldoni Con Cobelli Le virtuose di Goldoni (Dal nostro invialo speciale) Borgio Verezzi, 22 luglio. Che cosa sono quegli enormi bauli verdi che sul palcoscenico allestito nella piazzetta di Sant'Agostino torreggiano più alti della chiesetta che fa da fondale e scorrono qua e là, si aprono, si chiudono, s'accendono di luci? -Sono le stanze della locanda veneziana dove il Goldoni colloca l'azione dell'«/mpresario delle Smirne», ma sono anche i camerini di quei mostri sacri e girovaghi che erano i cantanti d'opera nel Settecento: l'autore li conosce assai bene, ha lavorato per loro come librettista e qui argutamente e impietosamente li satireggia quasi a vendicarsi delle umiliazioni e dei torti patiti. I bauli abitati, che il gusto pei- l'accumulazione dello scenografo Gianfranco Bignardi ha incredibilmente' stipato di suppellettili, vestiti e. cianfrusaglie di ogni sorta, sono una delle più spiritose e intelligenti invenzioni della messinscena della commedia goldoniana curata da Giancarlo Cobelli (il quale ha- preferito1 alla stesura in martelliani del dicembre del 1759 quella immediatamente successiva in prosa) e per la tradizionale stagione all'aperto che, da sette anni ormai, si tiene nel borgo ligure di Verezzi, suggestivamente appollaiato su un cocuzzolo dell'entroterra. Non è la sola trovata di uno spettacolo a! quale il Cobelli ha dato una cornice fin-de-sièeie,- sottolineata da uno spumeggiante can-can, con il conte delle . « virtuose » (aguzzino o .sfruttatore? Schiatti « bastonate volano che è j un piacere) che e una specie di losco" Viveur in frac, mantello e cilindro, e con le cantanti in guèpière e calze lunghe, nere naturalmente, o in vestaglie, busti e mutandoni sino alle caviglie. C'è anche la presentazione del bizzarro e sornione Ali, venuto dalla Turchia con l'idea di mettere insieme una compagnia di canto per portare l'opera a Smirne, o alle Smirne come allora si diceva (ed è questo propriamente, e unicamente, il pretesto più che l'argomento della commedia), e che alla fine se ne fugge via, atterrito dalle pretese, le bizze, gli intrighi e le gelosie degli artisti. . • • . . ■ ■ Questo Ali arriva su una nave di cuscini e con un tappeto per vela, mentre altri tappeti calano tutt'intornó dall'alto oppure, arrotolati in modo da sembrare una carovana di dromedari, vengono portati in scena da due mori che già prima, ogni volta che viene nominato il turco, compaiono con essi mentre le luci si attenuano e risuonano le note di quel «pezzo caratteristico» che è «In un mercato persiano» di Ketelbey. E', come si dice, un «tormentone» e il suo effetto è immancabile sebbene, ripètuto troppo spesso come avviene di altre trovate, finisca inevitabilmente col scemare d'intensità. Dismisura e'insistenza sono i difetti o, se si vuole, i limiti delle regìe di Cobelli, anche qui eccessivo nell'ammiccare e dare di gomito, ma costituiscono in un'certo senso anche i suoi meriti perché concorrono ad accrescere il divertimento con una ricchezza di notazioni, citazioni e invenzioni che pioliferano in modo quasPmostruoso visualizzandosi negli oggetti e nei costumi, oltre che nei personaggi e nei loro atteggiamenti in controcanto, o in filigrana, col testo. Sono i momenti in cui la vocazione decadentistica, c l'espressione non è affatto spregiativa, del Cobelli si sfrena e si estenua in una sensualità molle e disfatta e in una irrisione del cattivo gusto che è anche, inconsciamente o no, compiacenza verso di esso. Di siffatti momenti abbonda, lo si è détto, una rappresentazione che rifiuta un impossibile confronto con quella, giustamente lodata per l'humour sottile e il poetico incanto, di Visconti nel 1957 (per tacere dell'altra di Simoni, una decina di anni prima), e che se può apparire meno rigorosa dell'«i4ntonio e Cleopatra» allestito nella scorsa estate, sempre a Verezzi, dallo stesso Cobelli, non ha meno estro e, talvolta, persino meno genialità. Poco importa poi se Goldoni c'entra di straforo, se il testo è tagliato e sono mutale c adattate alle ori- gini e alle attitudini delle, attrici le cadenze dialettali delle tre canterine, e se il finale, con il Conte «Macro» che col pretesto di metterli «in sociale» (con ovvie e autocritiche allusioni ai nostri giorni) si fa padrone dei comici, è alquanto sforzato. Preme di più rilevare l'impegno e l'entusiasmo con i quali si buttano nell'impresa inter¬ preti di diversa provenienza, indipendentemente dai risultati che essi ottengono o non ottengono. E' inevitabile che l'arte e l'esperienza, di Piera Degli Esposti prevalgano sull'impaccio di Marilù Tolo, immatura ancorché affascinante dagli occhi alla vita sottile e ai fianchi generosamente mostrati, o sul disagio di Maria Grazia Francia costretta, come i colleglli-, alla recitazione sovraccarica, strillata e strascicata, che Cobelli suole imporre ai suoi attori. Ma Nino Castelnuovo, pressoché esordiente sul palcoscenico della prosa, è un «protettore» piuttosto azzeccato come lo è il turco Tino Schirinzi, che ha coraggiosamente lottato contro le menomazioni provocategli da una caduta durante le prove, e come sono azzeccate le figurine, o anche macchiette, disegnate da Aldo Reggiani, Ennio Groggia, Pier Luigi Pagano e, con particolare sicurezza, dall'impeccabile Graziano Giusti. Rallegrato e divertito, il pubblico ha festeggiato tutti accomunandoli con il regista e lo scenografo in lunghi e cordiali applausi. Alberto Blandi Le virtuose di Goldoni Con Cobelli Le virtuose di Goldoni (Dal nostro invialo speciale) Borgio Verezzi, 22 luglio. Che cosa sono quegli enormi bauli verdi che sul palcoscenico allestito nella piazzetta di Sant'Agostino torreggiano più alti della chiesetta che fa da fondale e scorrono qua e là, si aprono, si chiudono, s'accendono di luci? -Sono le stanze della locanda veneziana dove il Goldoni colloca l'azione dell'«/mpresario delle Smirne», ma sono anche i camerini di quei mostri sacri e girovaghi che erano i cantanti d'opera nel Settecento: l'autore li conosce assai bene, ha lavorato per loro come librettista e qui argutamente e impietosamente li satireggia quasi a vendicarsi delle umiliazioni e dei torti patiti. I bauli abitati, che il gusto pei- l'accumulazione dello scenografo Gianfranco Bignardi ha incredibilmente' stipato di suppellettili, vestiti e. cianfrusaglie di ogni sorta, sono una delle più spiritose e intelligenti invenzioni della messinscena della commedia goldoniana curata da Giancarlo Cobelli (il quale ha- preferito1 alla stesura in martelliani del dicembre del 1759 quella immediatamente successiva in prosa) e per la tradizionale stagione all'aperto che, da sette anni ormai, si tiene nel borgo ligure di Verezzi, suggestivamente appollaiato su un cocuzzolo dell'entroterra. Non è la sola trovata di uno spettacolo a! quale il Cobelli ha dato una cornice fin-de-sièeie,- sottolineata da uno spumeggiante can-can, con il conte delle . « virtuose » (aguzzino o .sfruttatore? Schiatti « bastonate volano che è j un piacere) che e una specie di losco" Viveur in frac, mantello e cilindro, e con le cantanti in guèpière e calze lunghe, nere naturalmente, o in vestaglie, busti e mutandoni sino alle caviglie. C'è anche la presentazione del bizzarro e sornione Ali, venuto dalla Turchia con l'idea di mettere insieme una compagnia di canto per portare l'opera a Smirne, o alle Smirne come allora si diceva (ed è questo propriamente, e unicamente, il pretesto più che l'argomento della commedia), e che alla fine se ne fugge via, atterrito dalle pretese, le bizze, gli intrighi e le gelosie degli artisti. . • • . . ■ ■ Questo Ali arriva su una nave di cuscini e con un tappeto per vela, mentre altri tappeti calano tutt'intornó dall'alto oppure, arrotolati in modo da sembrare una carovana di dromedari, vengono portati in scena da due mori che già prima, ogni volta che viene nominato il turco, compaiono con essi mentre le luci si attenuano e risuonano le note di quel «pezzo caratteristico» che è «In un mercato persiano» di Ketelbey. E', come si dice, un «tormentone» e il suo effetto è immancabile sebbene, ripètuto troppo spesso come avviene di altre trovate, finisca inevitabilmente col scemare d'intensità. Dismisura e'insistenza sono i difetti o, se si vuole, i limiti delle regìe di Cobelli, anche qui eccessivo nell'ammiccare e dare di gomito, ma costituiscono in un'certo senso anche i suoi meriti perché concorrono ad accrescere il divertimento con una ricchezza di notazioni, citazioni e invenzioni che pioliferano in modo quasPmostruoso visualizzandosi negli oggetti e nei costumi, oltre che nei personaggi e nei loro atteggiamenti in controcanto, o in filigrana, col testo. Sono i momenti in cui la vocazione decadentistica, c l'espressione non è affatto spregiativa, del Cobelli si sfrena e si estenua in una sensualità molle e disfatta e in una irrisione del cattivo gusto che è anche, inconsciamente o no, compiacenza verso di esso. Di siffatti momenti abbonda, lo si è détto, una rappresentazione che rifiuta un impossibile confronto con quella, giustamente lodata per l'humour sottile e il poetico incanto, di Visconti nel 1957 (per tacere dell'altra di Simoni, una decina di anni prima), e che se può apparire meno rigorosa dell'«i4ntonio e Cleopatra» allestito nella scorsa estate, sempre a Verezzi, dallo stesso Cobelli, non ha meno estro e, talvolta, persino meno genialità. Poco importa poi se Goldoni c'entra di straforo, se il testo è tagliato e sono mutale c adattate alle ori- gini e alle attitudini delle, attrici le cadenze dialettali delle tre canterine, e se il finale, con il Conte «Macro» che col pretesto di metterli «in sociale» (con ovvie e autocritiche allusioni ai nostri giorni) si fa padrone dei comici, è alquanto sforzato. Preme di più rilevare l'impegno e l'entusiasmo con i quali si buttano nell'impresa inter¬ preti di diversa provenienza, indipendentemente dai risultati che essi ottengono o non ottengono. E' inevitabile che l'arte e l'esperienza, di Piera Degli Esposti prevalgano sull'impaccio di Marilù Tolo, immatura ancorché affascinante dagli occhi alla vita sottile e ai fianchi generosamente mostrati, o sul disagio di Maria Grazia Francia costretta, come i colleglli-, alla recitazione sovraccarica, strillata e strascicata, che Cobelli suole imporre ai suoi attori. Ma Nino Castelnuovo, pressoché esordiente sul palcoscenico della prosa, è un «protettore» piuttosto azzeccato come lo è il turco Tino Schirinzi, che ha coraggiosamente lottato contro le menomazioni provocategli da una caduta durante le prove, e come sono azzeccate le figurine, o anche macchiette, disegnate da Aldo Reggiani, Ennio Groggia, Pier Luigi Pagano e, con particolare sicurezza, dall'impeccabile Graziano Giusti. Rallegrato e divertito, il pubblico ha festeggiato tutti accomunandoli con il regista e lo scenografo in lunghi e cordiali applausi. Alberto Blandi

Luoghi citati: Borgio Verezzi, Smirne, Turchia