La protesta delle estetiste vere contro le "massaggiatrici" finte

La protesta delle estetiste vere contro le "massaggiatrici" finte Riunite a convegno nel salone delle Terme di Rivanazzano La protesta delle estetiste vere contro le "massaggiatrici" finte Oltre cento venute da tutta Italia in età tra i 15 e i 50 anni - Lamentano che a causa di certa pubblicità e alla "vendita" di diplomi il termine estetista è diventato sinonimo di ragazza squillo - Proposte di legge (Dal nostro inviato speciale) Voghera, 1 luglio. Austere e imbarazzate, stanche per lunghi viaggi in autostrada, le estetiste s'avviano al salone delle Terme. Hanno età diverse — dai 15 ai 50 anni — accomunate da una compostezza seriosa che le induce a discreti bisbigli. L'appuntamento fissato dall'Associazione Italiana Estetiste, qui a Rivanazzano, è per le 10,30. Ma già alle 9 frotte di ragazze arrivano scambiando convenevoli e sorrisi. Vengono da ogni parte d'Italia, non sono più di cento e si conoscono tutte: le riunioni periodiche per discutere i problemi di categoria sono diventate negli ultimi anni pratica costante e rabbiosa. Sono estetiste autentiche. Di quelle che si dedicano — secondo la definizione di Carmen Caniati, presidentessa dell'Aie — «all'igiene e cosmetica della pelle in funzione preventiva». Di quelle che, comunque, ad ogni tentativo di aprire uno studio estetico senza doppi sensi, si trovano sommerse da centinaia di telefonate da parte di chi equivoca sul genere della loro attività. Sono proposte, insolenze e minacce che — dicono — hanno indotto non poche ragazze ad abbandonare, per disperazione, il loro lavoro. Nell'ambiente un po' ospedaliero della sala conferenze alle Terme, spira aria di contenuto risentimento. «Il termine estetista — dice Carmen Caniati, che parlando al microfono versa lacrime di dispetto — è diventato sinonimo di ragazza squillo. Questo grazie a certe pubblicità ambigue e anche aila "vendita" di cosiddetti diplomi senza alcun valore giuridico che servono da paravento ad altre attività». La cronaca registra, in proposito, episodi piccanti e incresciosi: come la storia della ragazza palermitana cacciata di casa quando annunciò di voler diventare visagista perché i suoi consideravano la professione «disonorevole». Così la riunione di oggi, che ha carattere nazionale, assume un po' il tono di una crociata alla difesa del «buon nome» d'una professione. Si tratta — come art- nuncia un volantino distribuito alle partecipanti — di organizzare una «lotta alle persone che si etichettano estetiste e che alimentano, con le loro vicende, le cronache scandalìstiche». Relatori al convegno sono la presidentessa Caniati, la segretaria nazionale Piera Grassi, l'onorevole democristiano Fortunato Bianchi, il sindaco di Rivanazzano, il sindacalista Gulli e il direttore delle Terme, Leidi. La prima esigenza avvertita dalla categoria è di individuare le origini degli equivoci, comunemente indicate nella carenza legislativa e nella cattiva applicazione delle norme esistenti. «La figura giuridica dell'estetista — sostiene Gulli — è stata soltanto indirettamente accennata dalla legge 161 del febbraio '63 che ha disciplinato l'attività dei barbieri e parrucchieri. Tutte le attività che realizzano risultati estetici sul volto, dai truccatori ai depilatori ai visagisti, sono considerate affini a questi due mestieri. E' chiaro che declassare cosi la professione è già misconoscerla. Una estetista seria non si improvvisa: deve possedere nozioni di fisiologia, anatomia, patologia cutanea, igiene, dietetica. I danni provocati da una cattiva formazione professionale possono risultare irrimediabili. La serietà della preparazione che dovrebbe caratterizzare l'attività, la rende assai più affine all'esercizio della medicina che alla pratica di un artigianato». Dunque, si tratta, secondo i responsabili dell'Aie, di ottenere prima di tutto il riconoscimento giuridico della categoria elevata a professione e di guadagnare l'autonomia sindacale. Un serio discorso di riqualificazione non può comunque essere impostato se non quando si sia seriamente regolamentata la formazione professionale. «Sempre per la disposizione del '63 — continua il sindacalista Gulli — la qualifica di estetista si dovrebbe conseguire soltanto con i corsi di apprendistato disciplinati dalla legge 25 del gennaio '55 e dalle norme del contratto collettivo di lavoro. Ciononostante, molte commissioni provinciali per l'artigianato, in piena disapplicazione della regola, hanno accolto anche attestati rilasciati da privati, favorendo il dilagare di sedicenti scuole». Diventare estetista — sostiene la presidentessa Caniati — oggi può costare dalle trecentomila lire al milione. Si frequenta un corso anche soltanto trimestrale (che può ridursi — dice Gulli — al semplice pagamento delle rette senza obbligo di frequenza) durante il quale «vengono accennate nozioni superficialissime che servono a nulla». Ottenuto un attestato che impropriamente è chiamato «diploma», si può cominciare la pratica della professione. La conseguenza — sostiene Gulli — è duplice: «Da un lato le ragazze che intendono affrontare l'attività sono impreparate e quindi contribuiscono involontariamente alla dequalificazione professionale. Dall'altro, poiché il corso si riduce ad una formalità, è frequentato anche da chi del diploma si servirà soltanto per coprire attività di diversa natura». Nel tentativo di regolamentare la difficile situazione, parlamentari democristiani hanno presentato due proposte dì legge. La prima, del 2 agosto '72 (« Riconoscimento e regolamentazione dell'attività »), vorrebbe quella dell'estetista ricono¬ sciuta come arte ausiliaria della professione sanitaria. La seconda («Norme sulla formazione e sull'attività») prevede l'istituzione di scuole regionali, o dotate di autorizzazione regionale, con programma approvato dal ministero della Pubblica Istruzione. La discussione dovrebbe avvenire entro l'anno. Eleonora Bertolotto Voghera. Una « veduta » della sala di Rivanazzano dove si è svolto il congresso delle estetiste (Foto Moisio) La protesta delle estetiste vere contro le "massaggiatrici" finte Riunite a convegno nel salone delle Terme di Rivanazzano La protesta delle estetiste vere contro le "massaggiatrici" finte Oltre cento venute da tutta Italia in età tra i 15 e i 50 anni - Lamentano che a causa di certa pubblicità e alla "vendita" di diplomi il termine estetista è diventato sinonimo di ragazza squillo - Proposte di legge (Dal nostro inviato speciale) Voghera, 1 luglio. Austere e imbarazzate, stanche per lunghi viaggi in autostrada, le estetiste s'avviano al salone delle Terme. Hanno età diverse — dai 15 ai 50 anni — accomunate da una compostezza seriosa che le induce a discreti bisbigli. L'appuntamento fissato dall'Associazione Italiana Estetiste, qui a Rivanazzano, è per le 10,30. Ma già alle 9 frotte di ragazze arrivano scambiando convenevoli e sorrisi. Vengono da ogni parte d'Italia, non sono più di cento e si conoscono tutte: le riunioni periodiche per discutere i problemi di categoria sono diventate negli ultimi anni pratica costante e rabbiosa. Sono estetiste autentiche. Di quelle che si dedicano — secondo la definizione di Carmen Caniati, presidentessa dell'Aie — «all'igiene e cosmetica della pelle in funzione preventiva». Di quelle che, comunque, ad ogni tentativo di aprire uno studio estetico senza doppi sensi, si trovano sommerse da centinaia di telefonate da parte di chi equivoca sul genere della loro attività. Sono proposte, insolenze e minacce che — dicono — hanno indotto non poche ragazze ad abbandonare, per disperazione, il loro lavoro. Nell'ambiente un po' ospedaliero della sala conferenze alle Terme, spira aria di contenuto risentimento. «Il termine estetista — dice Carmen Caniati, che parlando al microfono versa lacrime di dispetto — è diventato sinonimo di ragazza squillo. Questo grazie a certe pubblicità ambigue e anche aila "vendita" di cosiddetti diplomi senza alcun valore giuridico che servono da paravento ad altre attività». La cronaca registra, in proposito, episodi piccanti e incresciosi: come la storia della ragazza palermitana cacciata di casa quando annunciò di voler diventare visagista perché i suoi consideravano la professione «disonorevole». Così la riunione di oggi, che ha carattere nazionale, assume un po' il tono di una crociata alla difesa del «buon nome» d'una professione. Si tratta — come art- nuncia un volantino distribuito alle partecipanti — di organizzare una «lotta alle persone che si etichettano estetiste e che alimentano, con le loro vicende, le cronache scandalìstiche». Relatori al convegno sono la presidentessa Caniati, la segretaria nazionale Piera Grassi, l'onorevole democristiano Fortunato Bianchi, il sindaco di Rivanazzano, il sindacalista Gulli e il direttore delle Terme, Leidi. La prima esigenza avvertita dalla categoria è di individuare le origini degli equivoci, comunemente indicate nella carenza legislativa e nella cattiva applicazione delle norme esistenti. «La figura giuridica dell'estetista — sostiene Gulli — è stata soltanto indirettamente accennata dalla legge 161 del febbraio '63 che ha disciplinato l'attività dei barbieri e parrucchieri. Tutte le attività che realizzano risultati estetici sul volto, dai truccatori ai depilatori ai visagisti, sono considerate affini a questi due mestieri. E' chiaro che declassare cosi la professione è già misconoscerla. Una estetista seria non si improvvisa: deve possedere nozioni di fisiologia, anatomia, patologia cutanea, igiene, dietetica. I danni provocati da una cattiva formazione professionale possono risultare irrimediabili. La serietà della preparazione che dovrebbe caratterizzare l'attività, la rende assai più affine all'esercizio della medicina che alla pratica di un artigianato». Dunque, si tratta, secondo i responsabili dell'Aie, di ottenere prima di tutto il riconoscimento giuridico della categoria elevata a professione e di guadagnare l'autonomia sindacale. Un serio discorso di riqualificazione non può comunque essere impostato se non quando si sia seriamente regolamentata la formazione professionale. «Sempre per la disposizione del '63 — continua il sindacalista Gulli — la qualifica di estetista si dovrebbe conseguire soltanto con i corsi di apprendistato disciplinati dalla legge 25 del gennaio '55 e dalle norme del contratto collettivo di lavoro. Ciononostante, molte commissioni provinciali per l'artigianato, in piena disapplicazione della regola, hanno accolto anche attestati rilasciati da privati, favorendo il dilagare di sedicenti scuole». Diventare estetista — sostiene la presidentessa Caniati — oggi può costare dalle trecentomila lire al milione. Si frequenta un corso anche soltanto trimestrale (che può ridursi — dice Gulli — al semplice pagamento delle rette senza obbligo di frequenza) durante il quale «vengono accennate nozioni superficialissime che servono a nulla». Ottenuto un attestato che impropriamente è chiamato «diploma», si può cominciare la pratica della professione. La conseguenza — sostiene Gulli — è duplice: «Da un lato le ragazze che intendono affrontare l'attività sono impreparate e quindi contribuiscono involontariamente alla dequalificazione professionale. Dall'altro, poiché il corso si riduce ad una formalità, è frequentato anche da chi del diploma si servirà soltanto per coprire attività di diversa natura». Nel tentativo di regolamentare la difficile situazione, parlamentari democristiani hanno presentato due proposte dì legge. La prima, del 2 agosto '72 (« Riconoscimento e regolamentazione dell'attività »), vorrebbe quella dell'estetista ricono¬ sciuta come arte ausiliaria della professione sanitaria. La seconda («Norme sulla formazione e sull'attività») prevede l'istituzione di scuole regionali, o dotate di autorizzazione regionale, con programma approvato dal ministero della Pubblica Istruzione. La discussione dovrebbe avvenire entro l'anno. Eleonora Bertolotto Voghera. Una « veduta » della sala di Rivanazzano dove si è svolto il congresso delle estetiste (Foto Moisio)

Persone citate: Carmen Caniati, Eleonora Bertolotto Voghera, Fortunato Bianchi, Gulli, Leidi

Luoghi citati: Italia, Rivanazzano, Voghera