Sfida tra i gauchos di Angela Bianchini

Sfida tra i gauchos Sfida tra i gauchos I mirabili racconti fantastici dell'argentina Ocampo Silvina Ocampo: « Porfìria », a cura di Italo Calvino, traduzione di Livio Bacchi Wilcock, Ed. Einaudi, pag. 279, lire 3500. Due celebri racconti. L'impostore e II diario di Porfiria Bernal, e molteplici altri, lunghi e brevi, sempre di saggia, serrata economia, che testimoniano un'inventiva continuamente rinnovata, da vero narratore. Scenario del primo racconto è la pampa, «una campagna ardentemente monotona » e vn'estancia dove vive un ragazzo, forse matto, forse omicida che un altro ragazzo, inviato dal padre del primo, è incaricato di sorvegliare. Sono, per quel che il lettore comprende, due ragazzi borghesi, due studenti, eppure giocano una partita sottile, da gauchos, con coltello alla mano, ben consci che l'ultima posta è la morte. Entrambi i ragazzi lottano, si avvicinano, si sfuggono, con mosse alterne, che hanno il ritmo di funebre tan- go. Uno dei due, e forse entrambi, sono impostori: certamente uno è il doppio dell'altro, in un destino indissolubilmente unito: « Non c'è modo di distìnguere tra le nostre esperienze » (così suona l'epitaffio, la morale della storia), « alcune sono vivide, altre opache; alcune sono piacevoli, altre sono un'agonia nel ricordo; ma non si può sapere quali di esse sono state dei sogni e quali realtà». Astratta atta Scenario del secondo, conclusivo racconto è, invece, Buenos Aires, dove vive la pupilla dell'istitutrice inglese, narratrice della vicenda. Questa Buenos Aires ha precisione geometrica, è astratta, surreale, quasi simbolica, è, vorrei dire, tutta letteraria. Non a caso, la zitella inglese cita, a testimonianza, i romanzi argentini di W. H. Hudson: si tratta, infatti, anche qui di una partita psicologica tra due esseri, questa volta, apparentemente diversi, una bambina di otto anni e la governante straniera. Sfugge, anche qui, il debole, e si trasformano, mostruosamente, i ruoli scambiati, con un'uscita verso il soprannaturale, l'incalcolabile, quel dominio del mistero che si trova appena al di là della geometria pacifica e rassicurante delle case comode, delle famiglie serene e delle metropoli del Vecchio e del Nuovo Mondo. Tale è Silvina Ocampo, grande scrittrice argentina, con i suoi racconti mirabilmente tradotti e comparsi per la prima volta in Italia. Una sola di queste narrazioni, Porfiria Bernal per quanto mi risulta, aveva visto la luce da noi, anni fa (Todariana Editrice, Milano), nella stessa versione, ma preceduta da due paginette di Rodolfo J. Wilcock che, per acume, rivaleggiano con la presentazione di Calvino. Insomma, tutto un complesso di autori e di circostanze che immette il lettore, di colpo, in un clima raffinatissimo e sottile, in una sorta di intesa spirituale che varca i continenti. E come potrebbe essere diversamente? Si sarà notato il ricorrere del nome di Borges, di Wilcock (argentino, ma da molti anni autore italiano) e si sarà sentita, almeno in forma implicita, l'influenza di Henry James e dei suoi fanciulli « sapienti »: quei fanciulli che servono da tramite tra questo e un altro mondo più misterioso e più vero. Tout se tient, infatti. Silvina Ocampo, grande poetessa oltreché narratrice, è la sorella minore di Victo¬ ria, la prestigiosa direttrice della rivista argentina Sur che imi, per decenni, l'intellettualità argentina a quella europea. E' la moglie di Bioy Casares, ed è l'autrice, con Adolfo Bioy Casares e Borges, di quella Antologia de la literatura fantàstica, del 1940, che caratterizzò, per la sua vena fantastica e intellettuale, tutto il gruppo di Buenos Aires, Wilcock compreso. Diceva Wilcock: « Borges rappresentava il genio totale, ozioso e pigro, Bioy Casares l'intelligenza attiva, Silvina Ocampo era tra quei due la Sibilla e la Maga, che ricordava loro in ogni sua mossa e in ogni sua parola la stranezza e la misteriosità dell'universo ». Quanto unisce la Ocampo a Borges salta agli occhi, direi: appositamente abbiamo citato l'insistenza sul « doppio », sul « sogno », sul tango, sullo scambio dei ruoli e su tanti altri motivi subito percepibili. Ma tutta una parte di questa scrittrice è unicamente sua, ed è quasi più chiara nei racconti brevi o brevissimi che nei due lunghi e celebri. Ci sono le innumerevoli storie di bambini e di esseri strani o idioti o infermi; e scompaiono e muoiono e comprendono e si rivelano attraverso atti semplici dapprima insospettabili. La lunga scala Da questi racconti nasce la sensazione di una vita che si rincorre e tenta, di continuo, di mordersi la coda. C'è la vecchia donna che rifa i gradini della scala che ha fatto tutta la vita e che le ricordano, gradino per gradino, atroci o quasi atroci fatti dell'esistenza: ed è colta nel momento, unico, ma imprevedibile, in cui muore, sull'ultimo gradino. La fotografìa che, sviluppata, dà l'immagine della morte nella stanza di un malato: ed è Pola Negri. La donna perbene che, dopo la morte della donna godereccia, ma beneamata, ne insidia la memoria con lettere retrodatate e apocrife. E così via. La simpatia di chi scrive va, incondizionata (il lettore se ne sarà accorto), a questa autrice così intelligente, così fine, così angosciosa, che sembra venire da tanto lontano (si fanno i nomi di Cecov, di Kafka: può darsi) e si ritrova, invece, frammentariamente, qua e là, tramutata, tutta diversa, e pur echeggiante, in altre sensibilità: quella delle americane Anais Nin ed Eudora Welty, ovunque si porga orecchio alla travolgente, ripetitiva banalità della vita. Angela Bianchini

Luoghi citati: Buenos Aires, Italia, Milano