Una donna respinta dall ' ingratitudine

Una donna respinta dall ' ingratitudine RISPONDE GIULIETTA MASINA Una donna respinta dall ' ingratitudine « Mi sento spingere ai margini, lo so che è il destino dei vecchi e che bisogna lasciare ai giovani sempre più spazio, e rinchiudersi, cercare di spegnere la sensibilità, l'intelligenza, l'orgoglio, l'attaccamento a loro, alla vecchia casa. So che bisogna amarli fino a renderci così, più niente, perché non abbiano a soffrire quando ce ne andremo. « L'amarezza però non può soffocarsi, ma già averle scritto mi ha sollevato. Non ho nessuno, né amici né fratelli ». La lettera, veramente bella, datata da Venezia, racconta una storia cosiddetta moderna di una madre, ormai nonna, via via sempre più sola tra figli, generi e nipoti. E non soltanto sola, ma respinta con antipatia sempre più verso gli angoli bui della sua casa ormai conquistata dalle nuove generazioni. Il melanconico tramonto di una vita che ad altre vite ha dato perfino quanto non aveva. Adesso, impoverita dal disamore di chi ama, offre ancora il suo inutile amore a chi in cuor suo lo ritiene solamente un fastidio. Soffia soffia vento infernale, nessuna cosa è pari all'ingratitudine umana — scrive Shakespeare: e, a mio giudìzio, questi versi (citati a senso, approssimativamente forse) sono densi di dolore come pochi. Almeno una volta nella vita, ognuno di noi avrebbe potuto recitarli sul suo personale palcoscenico; ma colei che mi scrive, con maggior diritto di altri. Infatti, e sebbene la lettera sia simile ad altre ricevute, la sua desolazione è tale e tanta da sconfortare anche me. Non tanto per il passato e il presente, quanto per il futuro. E' legge dell'amore non riamato che esso amore continui a operare in attesa di riversarsi nuovamente là dove non è chiesto né voluto. Una qualsiasi occasione, un qualsiasi pretesto, e la piena dei sentimenti frustrati rifluisce su quei terreni aridi e tetri. Con l'ovvio risultato non di essere respìnto, se utile, ma di essere ignorato e umiliato. L'ingratitudine è una torva malattia che si origina da un vortice di continue durezze e bassezze. E proprio perché nasce dalle cantine dell'io, non ha mai luce, né ripensamenti, né ansie di purificazione morale. Il problema dei vecchi tuttavia è, come risulta da questa lettera, marginale. Non è vero, cioè, che la senilità delle persone a noi accanto sia la causa del disamore; è vero il contrario: la senilità spirituale, affettiva, è di quei giovani che, immemori della fatalità di un ciclo che colpirà a suo tempo anche loro, sbarrano la via alla comprensione se non alla tenerezza. Rompere i contatti con chi ci precede negli anni è spezzare il cerchio di antiche solidarietà d'amore alle quali i giovani debbono il misterioso incanto della vita, la gioia e la gloria dei primi passi, il percorso finora compiuto. E' possibile, allora, che i peggiori non nutrano riconoscenza, ma l'ingratitudine, perché? Non consigli, dunque, né opere di bene; ma l'esortazione a riflettere sulla propria vita, a riassumerne i sensi più arcani e sottili; a riscoprire una libertà totale, anche a rischio di rinunciare all'amore, se l'amore è infruttuoso. In un certo momento della vita, la verità è veramente lontana, ma raggiungerla, sebbene costosissimo, è condizione di serenità. La fatica è di ascendere in altre dimensioni, anticiparne l'immenso sollievo, intuirne la vastità. Un'amputazione in vita, simile a quella che avviene allorché la morte ci colpisce. Uno stato d'animo, signora, che riconduce ad altri amori, a sentirsi in sintonia con altre cose, a prevedere di essere parte di un tutto molto più complesso e organico di quanto (presi tra le poche persone che amiamo) siamo I avvezzi a concepire. Non è consolazione, certo, ma un altro e diverso impegno di infelice felicità. L'abbraccia, Giulietta Masina

Persone citate: Giulietta Masina, Shakespeare, Soffia

Luoghi citati: Venezia