L'Orni dei giovani di Mimmo Candito

L'Orni dei giovani Seminario di studi a Sanremo L'Orni dei giovani I rappresentanti di 33 Paesi discutono su: "La gioventù e i diritti dell'uomo" - Un documento del segretariato delle Nazioni Unite considera due elementi fondamentali: educazione e partecipazione - Le diverse posizioni degli Stati industrializzati e di quelli del Terzo Mondo (Dal nostro inviato speciale) Sanremo, 30 agosto. Una piccola fetta d'Onu s'è trasferita, questi giorni, nel salone rosso del Palazzo dei Festival; fuori, le bandiere nazionali che s'agitano alte danno nome e storia ai 33 Paesi d'ogni parte del mondo che qui sono rappresentati. L'assemblea siede stretta al grande tavolo a ferro di cavallo, ci sono anziani diplomatici e rigidi burocrati, ma non pochi delegati hanno facce giovani; qualcuno è proprio un ragazzo. Cortesi e rituali, le parole e le formule d'intervento sono quelle che s'usano nella grande sala del Palazzo di vetro, a New York; ma gli abiti austeri qui sono spesso sostituiti da camicie, jeans e sandali. Con questa curiosa, e affascinante, mescolanza di severità ufficiale e di disinibita trascuratezza, le Nazioni Unite affrontano ora il problema dei giovani. Per tutti gli Anni Sessanta, capelli lunghi e rabbia di libertà, la generazione del dissenso ha bruciato i miti della società tecnologica, contestandone le istituzioni e le tradizioni politiche; oggi la furia rovente della contestazione appare lontana, il movimento giovanile ha perso slancio e vigore di fronte alla insospettata capacità d'adattamento delle strutture sociali, e s'è messo da parte, stanco o chiuso in sé per studiare e capir meglio. A un desiderio di maggior conoscenza è certamente volto il «seminario» sanremese. Difficile dire se ci riuscirà. L'impressione che si ricava da queste prime giornate è che il carattere di ufficialità condizioni e prevalga sulla libertà degli atteggiamenti, per cui ciascun delegato — magari barricadiero in privato — ricorda sempre in pubblico d'esser portavoce dell'opinione del proprio governo, con tutte le cautele e le misurate sfumature che simile posizione richiede. Forse per superare i pericoli d'un approccio politico, ma forse anche per sottrarre il dibattito alle tentazioni del vago sociologismo che tanto ha confuso la realtà giovanile, il segretariato dell'Orni ha elaborato un documento-guida alla lunga discussione (si andrà avanti fino al 10 settembre); Marc Schreiber, rappresentante di Waldheim, lo ha illustrato, mettendo bene in chiaro che due sono i concetti cui l'assemblea deve collegare la sua ricerca: «Educazione e partecipazione». Polemica Se solo si volesse, già l'avvio potrebbe essere polemico. Il professor Franco Casadio, delegato italiano che ha preparato un'interessante relazione su richiesta del segretario dell'Onu, ricorda le dure critiche al sistema negli anni della contestazione, e afferma: «Tutto quanto la società fa jll I JHJlfl |I||IH»H II HMM II i formare i giovani non è altro che un mezzo per socializzarli in modo autoritario, al fine di perpetuare un sistema d'interessi e di posizioni troppo rigido e provocatorio». E' chiaro che un discorso come questo pare fatto apposta per creare dei problemi a tutti. Due soltanto sono le risposte possibili: ignorare diplomaticamente la «provocazione», oppure accettare la critica e aprirsi a un difficile dialogo. Finora tutti hanno scelto la prima strada. Né, forse, potevano fare diversamente. Un timido approccio lo ha tentato, quasi all'avvio della discussione, il delegato neozelandese, non a caso il più giovane di tutti: criticando «il paternalismo delle iniziative ufficiali», si è chiesto se non fosse necessario «anzitutto, dare una definizione esatta del concetto di gioventù, almeno per sapere di chi stiamo parlando e di chi possiamo parlare». Nel silenzio imbarazzato che è seguito, nessuno ha voluto raccogliere il senso esatto di quella domanda, apparentemente così ingenua; un po' tutti, hanno volenterosamente deviato verso una ricerca dei confini all'interno dei quali racchiudere «una classe sociale che comprende quasi il 60 per cento della popolazione»: si è parlato di età non fornita di potere decisionale, di età scolare non ancora lavorativa, di età compresa tra i 18 e i 24 anni, di età dell'apprendimento (rispetto a un'età dell'applicazione). Tutto, però, nel generico, per cui alla fine si è deciso che forse era meglio non stabilire categorie troppo precise, perché si sarebbero potute creare delle esclusioni non giuste. I giovani sono ' ynvìi'r. » La-realtà—*e daT"(JTbàTEito è già emerso chiaramente ,==. è che appare molto difficile attribuire caratetre comune alla gioventù dei Paesi industrializzati e a quella dei Paesi in via di sviluppo; non tanto in relazione all'età e a un generico rapporto con le due istituzioni Scuola-Lavoro, quanto riguardo alla natura dei problemi che le nuove generazioni denimeidiiu e ttìlllano di risolvere nei diversi tipi di società, e riguardo alle strategie d'intervento ch'essi elaborano. Così i vari oratori — che lo volessero o no — hanno finito per collocarsi oggettivamente su due linee ben distinte, ricostruendo una mappa sociopolitica inconfondibile: da una parte, i problemi dei giovani nei Paesi ricchi; dall'altra, i problemi dei giovani nel Terzo mondo. Esemplare, per il primo gruppo, la relazione del giovane delegato olandese: brillante, preciso, ha fatto una diligente narrazione della storia dei diritti dell'uomo, ha parlato della necessità che i popoli e gli individui rispettino i principi dell'autodeterminazione, della giustizia sociale, della non discriminazione, ha, infine, riconosciuto che oggi i giovani non sono soddisfatti, e questo perché esiste un ampio divario tra gli ideali proclamati dalla società e la loro messa in opera. La carica Per superare questo gap, ha detto, occorre dare maggior riconoscimento alla presenza giovanile nella società, utilizzandone la carica radicale e l'irruenza innovatrice soprattutto come momento spontaneo, autonomo, indipendente dalle organizzazioni ufficiali dello Stato. Sul versante opposto, l'intervento della delegata cilena, una splendida ragazza infuocata d'amor patrio e di spirito rivoluzionario. Da noi, ha detto, non esistono i problemi dei giovani; esistono i problemi della nostra società, uguali per tutti. Tra cinquant'anni, forse, anche noi potremo parlare come il rappresentante olandese, i nostri giovani contesteranno le strutture tradizionali del potere e sceglieranno nuove forme d'intervento nella società; oggi, in Cile come in Africa, inAsia e negli altri Paesi latino-americani, la lotta è, invece, tra gli interessi del popolo e gli interessi del potere economico sovrannazionale; e in questa lotta non c'è distinzione d'età o di generazioni. Il giovane delegato keniota batteva ritmicamente a palme aperte sul grande tavolo, invitando tutti all'applauso; Martinez, baffuto panamense, rincarava: «Le grandi potenze influenzano anche gli organismi internazionali, e non solo dal punto di vista politico: in tal modo impediscono perfino che l'opinione pubblica mondiale abbia un quadro esatto della lotta e della realtà dei Paesi del Terzo mondo». La quieta routine dei lavori riuscirà, molto probabilmente, ad assorbire questi spunti polemici, e farà trovare l'accordo unanime, secondo tradizione, su un documento sicuramente nobile e volenteroso. Ma il professor Casadio non ha resistito a rilanciare la sua «provocazione»: «Stiamo discutendo come operare per rendere più accettabile dai giovani il sistema dei diritti dell'uomo, fissati nella Carta delle Nazioni Unite 25 anni fa. Un sistema validissimo, ma espressione d'un tipo storicamente determinato di società. Siamo proprio sicuri che i giovani accettino ancora questo tipo di società, e quei suoi valori?». La domanda, è parso di capire, conosceva già la risposta. Mimmo Candito

Persone citate: Casadio, Franco Casadio, Marc Schreiber, Martinez, Waldheim

Luoghi citati: Africa, Cile, New York, Sanremo