Le due facce della Russia

Le due facce della Russia Il dramma denunciato da Sakharov e Solgenitsin Le due facce della Russia Da un paio di anni in qua una delle contraddizioni più conturbanti sulla scena del mondo è rappresentata dalle due facce della politica sovietica: quella rivolta verso l'occidente appare distesa, sorridente, sempre più conciliante; e viceversa quella che vigila sulla circolazione delle idee all'interno dell'Unione Sovietica risulta sempre più severa, addirittura spietata. Breznev si reca negli Stati Uniti e d'un tratto, smesso l'abituale aspetto crucciato, lo vediamo tutto latte e miele in compagnia di Nixon, brindare in lieti calici, distribuire a piene mani cordialità e allegria. Intanto, però, nell'Unione Sovietica la polizia e i tribunali provvedono a chiudere nelle prigioni, nei campi di lavoro o nei manicomi i superstiti tra coloro che intendono fare un uso personale e pubblico del proprio cervello, indipendentemente dalle direttive politiche del regime. Ormai, dato Ualacre ritmo di lavoro di quella polizia e di quei tribunali, le voci del dissenso sono state messe a tacere quasi tutte. Diminuita è persino la diffusione dei dattiloscritti clandestini, i samizdat. Tuttavia, proprio in questi giorni, lo scrittore Solgenitsin, premio Nobel nel 1970 per la letteratura, e lo scienziato Sakharov, il padre della bomba H sovietica, hanno fatto filtrare nell'Occidente due interviste mediante agenzie di stampa e giornalisti stranieri. Si tratta di denunce particolarmente gravi, circostanziate con molta precisione, e che prospettano il progressivo slittamento del regime sovietico verso sistemi di intimidazione e di repressione analoghi a quelli dell'epoca di Stalin. A un certo punto della sua intervista Solgenitsin ha detto: « Se venite a sapere che sono morto o improvvisamente in fin dì vita, potrete concludere senza rischio di errore che sono slato ucciso con il consenso della polizia di Stato o direttamente da essa ». E' una previsione coerente, perciò tranquilla, di uno scrittore cristiano e che nel romanzo « Divisione Cancro» così aveva riassunto il suo credo morale: « Il significato dell'esistenza consiste nel mantenere intatta, senza incrinature o distorsioni, l'immagine di eternità che ogni persona porta dentro di sé fin dalla itascita ». Dunque, Solgenitsin, dopo molti anni di carcere duro, di angherie e di tribolazioni di ogni genere, continua ad andare diritto per la sua strada, per intima vocazione e anche per sentirsi vicino alle migliaia di amici morti o sofferenti nelle prigioni e di cui, spesso, nessuno ha sentito parlare. Del resto — è sempre Solgenitsin a dirlo — « quando un uomo è giunto al punto estremo, quando è miserabile, nudo e privo di tutto ciò che sembra abbellire la vita, allora trova in se stesso la forza di ostinarsi e di non cedere, di non rinunciare ai suoi principi. Costasse anche la vita ». Anche se meno esasperati nel tono generale dell'intervista, molto simili sono i concetti di fondo espressi dallo scienziato Sakharov: la repressione in Russia sta diventando sempre più crudele di pari passo con la politica di distensione verso l'Occidente. Il 5 gennaio dell'anno scorso, quando ebbe inizio la nuova campagna di arresti e di severe condanne contro i dissenzienti, ai giudici che lo avevano condannato a dodici anni di detenzione, Vladimir Bukovski ebbe a dire: «Non importa per quanto tempo sarò recluso, io non rinuncerò mai alle mie convinzioni e diffonderò le mie idee tra tutti coloro che vorranno ascoltarle. La nostra società è malata. E' malata di paura, sopravvivenza dell'era staliniana ». E questa era stata la dichiarazione fatta ai giudici dallo storico Andrei Amalrik: «Mi rifiuto di rispondere alle vostre domande perché non credo in un processo che giudichi le idee di un uomo per assolverle o condannarle. Le idee possono essere dibattute solo fuori dell'aula di un tribunale, in una libera discussione tra persone che liberamente pensano ». Sia a Bukovski che ad Amalrik la polizia ha offerto la libertà immediata, purché avessero accettato determinate condizio ni. L'uno e l'altro hanno detto di no. E commenta Solgenitsin: «In tutti i casi di cui non conosciamo bene i particolari, quando le torture e i tormenti vengono nascosti sotto l'etichetta della ragion di Stato, dal solo fatto che un uomo non è rilasciato, che il suo regime carcerario non è alleviato, noi possiamo concludere con certezza che quell'uomo continua ad avere una fede All'atteggiamento disteso, sorridente, conciliante verso l'Occidente, corrisponde all'interno un sistema spietatamente repressivo della libera circolazione delle idee - Un allarmante riflusso dei metodi staliniani momento. Perciò la domandachiave da porre fin dall'inizio dovrà riguardare l'abolizione dell'isolamento del nostro Paese». Da parte sua Solgenitsin dice: «Bisogna rendersi conto che l'Est non è per niente indifferente alle accuse dei Paesi occidentali. Al contrario, le teme mortalmente (...) quando si tratta della potente voce unitaria di centinaia di personalità eminenti, dell'opinione di tutto un continente». Viceversa al Cremlino si mettono a ridere quando le proteste contro la repressione poliziesca nell'Unione Sovietica vengono formulate con timidezza e dicendo che, in fondo, più o meno le stesse cose avvengono nella Grecia, nella Turchia o nella Spagna. Quelle di Sakharov e di Solgenitsin sono idee che è difficile non condividere, se si è sinceramente democratici. A parte ogni considerazione umanitaria sul riflusso dell'ondata staliniana tra i sovietici, sono praticamente impensabili una coesistenza pacifica e una collaborazione fruttuosa tra Paesi dove la circolazione delle idee e delle persone è libera, e Paesi dove al contrario vige, anzi si inasprisce, il divieto contro quella circolazione. Almeno apparentemente su questo punto si dichiarano d'accordo anche i comunisti italiani. Tuttavia da loro ci aspettiamo qualche cosa di più di una generica affermazione di principi: poiché il pei è il più forte partito comunista dell'Occidente, pensiamo che una sua iniziativa per «una maggiore democratizzazione» tra i sovietici potrebbe avere il consenso di altri partiti comunisti occidentali e farsi sentire a Mosca precisamente come viene suggerito dallo scrittore Solgenitsin. Nicola Adelfi Alessandro Solgenitsin e Andrei Sakharov (Tel. Ap-Upi) incrollabile nelle sue convinzioni ». E' quanto meno improbabile che Solgenitsin e Sakharov abbiano scritto e trasmesso le interviste negli stessi giorni, l'uno all'insaputa dell'altro. Tuttavia le conclusioni dei messaggi che essi affidano alla coscienza e all'intelligenza dei popoli liberi dell'Occidente sono di natura prevalentemente morale da parte del letterato, di natura spiccatamente politica da parte dello scienziato. Va anche detto che essi si sono mossi verosimilmente in uno stesso momento perché si avvicina la data (il 18 prossimo) dell'apertura a Ginevra dei lavori preliminari per la Conferenza europea per la sicurezza. Per mesi a Ginevra tre commissioni di diplomatici occidentali e orientali cercheranno di trovare punti di intesa su altrettanti argomenti: principi generali di comportamento nei rapporti tra gli Stati dell'Ovest e dell'Est, rapporti economici e commerciali, scambi culturali e umani. Ora, dice in sostanza Sakharov agli occidentali: per migliorare il tenore di vita dei suoi cittadini, l'Unione Sovietica ha un grande bisogno delle merci e delle tecnologie occidentali. Orbene, voi occidentali fate delle concessioni su queste questioni, però state attenti a farvi dare solide contropartite nel campo della libera circolazione delle idee e degli uomini tra l'Ovest e l'Est, tenendo sempre presente che i diplomatici russi sono molto astuti e praticano il bluff molto bene. Sempre a detta di Sakharov, «l'Occidente dovrebbe comprendere che se il nostro Paese non subisce modifiche nel senso di una maggiore democratizzazione, qualsiasi accordo sarà precario. Esso durerà soltanto per il tempo che i dirigenti del nostro Paese riterranno opportuno farlo durare in rapporto alle necessità politiche ed economiche del