Il caso Jakir

Il caso Jakir Alessandro Solgenitsin fotografato durante l'intervista (Ap) di prevedere l'avvenire ebbene, invece di esaminare il suo lavoro e di ricavarne quanto può essere vero e praticamente utile, lo si getta semplicemente in prigione. «E quando tra le file dei nostri generali brillantemente decorati si trova un solo Grigorenko che ha l'audacia di esprimere la sua opinione contro-corrente sugli avvenimenti dell'ultima guerra e sulla società sovietica contemporanea, opinione del resto pienamente marxista-leninista, viene dichiarato psichicamente malato». Solgenitsin elenca poi un certo numero di casi di detenuti politici segnalati dal giornale clendestino Cronaca degli eventi correnti, che da mesi non compare più. «Per lo stesso segreto totale che avvolge ciò che accade qui, quando apparvero in Occidente i ricordi di Marcenko sembrarono esagerati e ben pochi rifletterono su questo fatto per esempio, che il rigore del carcere centrale zarista di Vladimir è peggiorato sotto il regime sovietico di alme¬ d'un destino: l'inventore dell'arma distruttiva più potente del nostro secolo, si sottomette, sotto il fardello di peccati che sono comuni a tutti e a ciascuno di noi, alla coscienza universale e alla coscienza russa, abbandona le comodità superflue che gli erano state assicurate e che oggi causano la rovina di tanta gente, per gettarsi in lotta contro una violenza onnipotente». «Come giudicate lo stato attuale della società russa? Il suo sviluppo è influenzato dalle prese di posizione e dalle dichiarazioni degli uomini di cultura occidentali?». «E' da molto tempo che la vera storia del nostro Paese non è più registrata, non viene scritta né esposta apertamente. E se, in tutta la falange degli storici laureati, venerabili giovani o maturi, se ne trova uno (per esempio, come Amalrik) che rifiuta di rimestare lo stesso pastone, di accumulare le citazioni dei padri della dottrina progressista, ma ha l'audacia di fare un'analisi indipendente delle strutture attuali della società, La denuncia del più famoso scrittore vivente dell'Unione Sovietica Una drammatica intervista di Solgenitsin sulla persecuzione degli oppositori nell'Urss L'autore di "Divisione cancro", premio Nobel per la letteratura, insorge contro il tentativo del regime di "cinesizzare" il Paese - Da cinquantanni nessuna amnistia (molto peggio che in Grecia), impediti gli ascolti radio, censura sulla stampa, muri di cemento armato, carceri e campi - Nei manicomi, speciali iniezioni distruggono a poco a poco la mente degli oppositori - "Se un giorno morirò all'improvviso, vuol dire che sono stato ucciso dalla polizia" - Eroismo di Gregorenko, Amalrik e Bukovski che hanno rifiutato l'offerta di essere liberati se si impegnavano a non svolgere attività politica Alessandro Solgenitsin ha ricevuto la settimana scorsa, nell'appartamento ài sua moglie a Mosca, i corrispondenti di Le Monde e dell'Agenzia americana Associated Press ai quali ha consegnato il testo di una lunga intervista. Il documento era preparato in anticipo e la quasi totalità delle domande sono state formulate dallo scrittore stesso. Mosca, 28 agosto. «E' vero che avete ricevuto lettere minatorie o intimazioni da parte di banditi?». Alessandro Solgenitsin fa vedere tre lettere anonime di minacce recentemente ricevute, ma spiega che vede in esse una «mascherata» da parte degli agenti della sicurezza di Stato: «E' questa una particolarità o meglio, oso dire, un privilegio del nostro regime: non un capello cadrà dalla mia testa o da quella dei membri della mia famiglia all'insaputa o senza il consenso della sicurezza di Stato, tanto siamo osservati, spiati, sorvegliati e ascoltati. Se questi banditi fossero autentici subito dopo la prima lettera si sarebbero trovati sotto il controllo assoluto della sicurezza di Stato... Se mi si dichiara morto o improvvisamente in fin di vita, potrete concludere senza rischio di errore che sono stato ucciso con il consenso della sicurezza di Stato o direttamente da essa». Alessandro Solgenitsin aggiunge tuttavia che la sua morte non rallegrerebbe coloro che cercano di far cessare la sua attività letteraria: «Subito dopo la mia morte o la mia sparizione o la mia privazione di libertà sotto qualsiasi forma, il mio testamento letterario entrerà automaticamente in vigore (...) allora comincerà la parte essenziale delle mie pubblicazioni da cui mi sono astenuto in tutti questi anni. Se gli ufficiali della sicurezza di Stato cercano e confiscano in tutte le città di provincia gli esemplari dell'inoffensivo "Divisione cancro"... che cosa faranno quando i miei libri postumi, i più importanti, dilagheranno in tutta la Russia?». «In una vecchia intervista, un anno e mezzo fa, avete parlato delle vessazioni e delle persecuzioni subite sia nella vostra attività letteraria sia nella vita quotidiana. C'è stato un miglioramento?». Alessandro Solgenitsin ricorda le sanzioni che sono state prese contro le persone che l'hanno aiutato, come il giovane storico della letteratura Gabriel Superfin, arrestato il 3 luglio scorso. Ricorda le pressioni che furono esercitate *ul violoncellista Mstislav Rostropovitch, quando costui lo ospitava. Ricorda ancora le conversazioni ascoltate, le lettere intercettate, i danni arrecati alla sua automobile, l'obbligo infine che gli è stato imposto di riconoscere che l'ammontare del premio Nobel che gli è stato assegnato debba essere considerato come un «dono personale», fatto che autorizza lo Stato sovietico a confiscarne la terza parte. Dove vivo? «Un eminente generale del KGB, conclude Solgenitsin, m'ha trasmesso tramite una terza persona, un ultimatum diretto: che me ne vada subito all'estero, altrimenti mi si lascerà marcire in un campo, e più esattamente a Kolima, grazie a un articolo della legge in vigore. Se occorre, questa terza persona divulgherà oggi o domani più precisi particolari su questo episodio». «Poiché non vi è stata data l'autorizzazione ufficiale di vivere a Mosca con la famiglia, dove vivete?». «Non vivo più in alcun posto. In realtà non ho altro posto dove abitare che l'appartamento della mia famiglia... Vivrò qui, con o senza autorizzazione. Vengano apertamente a cacciarmi fuori, sarà una pubblicità degna del nostro regime d'avanguardia». «Considerata l'adesione dellUrss alla convenzione mondiale sui diritti d'autore, come giudicate la vostra situazione e quella di altri autori? E' stato detto ufficiosamente che ormai il semplice invio all'estero d'opere letterarie che pure non potrebbero essere qualificate come antisovietiche, verrebbe considerato come un reato comune, un attentato al monopolio di commercio estero». «... Se, sotto il primo regime socialista, spiriti bassamente mercantili arrivano a pensare che il prodotto della creazione dello spirito, appena sfuggito dal cuore, dalla testa dell'autore, diventa automaticamente una merce di proprietà del ministero del Commercio estero, non c'è che da provare disprezzo. «Fino a quando mi saranno precluse in Russia le vie della pubblicazione, continuerò a far stampare i miei libri da editori stranieri. Proclamo a priori l'incompetenza di qualsiasi tribunale dì diritto comune sulla letteratura sovietica, su qualsiasi suo libro, su qualsiasi suo autore». Alessandro Solgenitsin constata tuttavia con ironia che l'adesione sovietica alla convenzione comporta una più ampia protezione per gli autori sovietici, compresi quelli del Samizdat, contro le edizioni private. «Quando pensate di pubblicare il secondo volume della vostra serie?». «Non pubblicherò Ottobre 1916 prima che il terzo volume. Marzo 1917, sia pronto. I due fatti sono molto legati e soltanto insieme possono spiegare il corso degli avvenimenti come lo vede l'autore». «Che cosa pensate del processo di Yakir e di Krasin?». Alessandro Solgenitsin ricorda a titolo di confronto i processi staliniani degli Anni Trenta e giudica con severità Yakir e Krasin (le cui dichiarazioni, fatte dopo l'arresto, avrebbero compromesso molti loro amici): «Si sono comportati senza fermezza d'animo, persino in modo ridicolo, ripetendo a quarant'anni di distanza e in una situazione ben diversa, l'esperienza poco gloriosa di una generazione perduta, di quelle figure cupe della nostra storia, i capitolardi degli Anni Trenta». Sokharov «Che cosa dite dei recenti attacchi della stampa sovietica contro l'accademico Sakharov?». Solgenitsin descrive l'accademico Sakharov come un amico, anche se, precisa non è d'accordo concretamente su molto di quanto lo scienziato propone per il Paese. Osserva tuttavia che le affermazioni di Sakharov hanno un «carattere costruttivo» e che le autorità sovietiche si son sempre rifiutate di impegnare, su questo terreno, la minima discussione logica. Giudicando il comportamento dell'uomo Sakharov. conclude: «Qui si nacconde il senso profondo, il simbolo e la logica personale no a centinaia la linea fatale e micidiale con la flebile speranza di raggiungere la libertà, e nella Grecia è stato possibile ad un ministro esule (Karamanliis) pubblicare sui giornali il suo programma antigovernativo ». Raffrontando i vari livelli di violenza, Solgenitsin ha aggiunto: «La prima unità su una scala può equivalere a dieci, ma la prima unità per un'altra scala può equivalere a dieci volte dieci e così via. «Ho cercato invano un anno fa nella mia conferenza sul premio Nobel di attirare l'attenzione su queste due scale troppo diverse di valutazione della portata morale e dell'ampiezza materiale degli aventi. Il fatto è che è impossibile accettare come "avvenimenti interni", avvenimenti che accadono in Paesi capaci di decidere il destino del mondo. «Così pure invano ho messo in rilievo il fatto che il disturno delle trasmissioni radio occidentali nei Paesi dell'Est crea una situazione paragonabile ad una vigilia di catastrofe, riduce a nulla i trattati e le garanzie internazionali perché in tal modo esse non esistono più nella consapevolezza di metà del genere umano. Pensavo allora che la posizione anche se minacciata dell'autore di un discorso pronunciato da una tribuna solida come quella del premio Nobel attirerebbe un po' l'attenzione di un mondo distratto. «Mi sono ingannato, ciò che è stato detto resta come se non fosse stato detto. E' assolutamente inutile ripeterlo. «Che cosa significhi il disturbo delle emissioni radio può capirlo soltanto colui che ne ha fatto l'esperienza, per molti anni. E' come un insulto gettato nelle orecchie e negli occhi, è un affronto, è un ridurre una persona allo stato di robot. Equivale a ridurre degli adulti allo stato dei bambini: mangia soltanto la pappa della mamma. «Mosca e Leningrado sono divenute paradossalmente le grandi città del mondo meno informate: gli abitanti chiedono notizie alle persone che vengono dalla campagna. A causa del costo (molto salato) che il nostro vopolo deve pagare per questi servizi dì intercettazione, nelle campa- gne il disturbo radio è più debole. Ma secondo osservazioni di persone di varie località, nell'ultimo mese le intercettazioni si sono estese, hanno conquistato nuove zone, si sono intensificate «Lo scopo finale dell'odierna soppressione del pensiero nel nostro Paese potrebbe essere definita "cinesizzazione". La realizzazione di un ideale cinese, se questo ideale non fosse già stato tentato nel nostro Paese negli Anni Trenta. Questo è stato dimenticato. Quanta gente, all'Occidente, avevano sentito parlare negli Anni Trenta di Mikhail Bulgakov, di Platanov, di Florenski? Come in Cina, esistono oggi migliaia di dissidenti, esistono scrittori e filosofi segreti, ma il mondo saprà della loro esistenza soltanto dopo tutta un'epoca, cinquanta o cento anni, e conoscerà soltanto gli uomini che sono stati capaci di conservare le loro creature attraverso l'inesorabile soffocamento. E' a questo ideale che oggi da noi si vorrebbe tornare. Il caso Jakir «Tuttavia affermo con convinzione che un ritorno a un regime del genere è ormai impossibile nel nostro Paese. La prima ragione è questa: l'informazione internazionale, la penetrazione e l'influenza, nonostante tutto, delle idee dei fatti e delle proteste degli uomini: bisogna comprendere che l'Est non è per nulla indifferente alle proteste della società occidentale. Al contrario le teme mortalmente — e queste sole — ma soltanto quando si tratta della potente voce unitaria di centinaia di personalità eminenti, dell'opinione di tutto un continente; non quando si sentono proteste timide, isolate, senza alcuna fiducia nel loro successo e con riserve, quando si dice che le stesse cose accadono in Grecia, in Turchia, in Spagna, allora ciò provoca soltanto il riso. «Ed ecco la seconda ed essenziale ragione per la quale sono convinto che un ideale cinese è inconcepibile per il nostro Paese. Ci vuole incomparabilmente più coraggio all'inflessibile generale Grigorenko che non ne richiedano i campi di battaglia. Già da quattro anni è nell'inferno della prigione di un ospedale psichiatrico e respinge la tentazione di comperare la sua liberazione dai tormenti al prezzo delle sue convinzioni, dicendo che è giusto ciò che invece è ingiusto. Vladimir Bukovski, passato in tutta la giovane vita attraverso i tormenti delle prigioni ordinarie e i campi, non si è mai lasciato spezzare, non ha preferito un'esistenza di vita in libertà, ma ha scelto di vivere come vittima consenziente per il beneficio di tutti. Quest'anno è stato condotto a Mosca e gli hanno proposto: essere liberato e partire per l'estero, ma non svolgere alcuna attività politica fino alla partenza. E' tutto. Poteva senza difficoltà andare a ristabilire la sua salute all'estero. «Una scelta analoga è stata offerta la scorsa primavera ad Amalrik: poteva confermare le testimonianze di Krashij e di Yakir. Per questo gli si offriva la libertà. Ha rifiutato ed è stato rinviato a Kolima per un secondo periodo di pena. Ed in tutti i casi di cui non conosciamo bene ì particolari, quando le torture e ì tormenti si sono nascosti sotto l'etichetta della "ragione di Stato", dal solo fatto che un uomo non è rilasciato, che il suo regime carcerario non-è alleviato, possiamo concludere con certezza: quest'uomo continua ad avere incrollabilmente fede nelle sue convinzioni. Eroismo «Questo spunto di sacrificio condiviso da molti uomini isolati è una luce per il nostro avvenire. C'è una particolarità psicologica nell'essere umano che subisce sempre: nella fortuna, nella sicurezza, teme i minimi disturbi anche per le cose minori della sua esistenza, si sforza di nulla vedere e di nulla sapere delle sofferenze altrui, cede su molte cose compresi molti punti importanti, morali, essenziali, al solo scopo di prolungare la sua felicità. Ma alVimprovviso, giunto al punto estremo, quando l'uomo è già miserabile, nudo e privo di tutto ciò che sembra abbellire la vita, trova in se stesso la fermezza di ostinarsi e di non cedere pur di non rinunciare ai suoi principi. Costasse anche la vita. Alain Jacob no quattro volte, se non altro per la luce (le finestre sono quasi completamente inchiodate) ed è anche quattro volte più freddo e più crudele. «Tutti sono così abituati al fatto che in ogni circostanza non si sappia mai nulla, da trascurare la notizia più evidente: in questo sbalorditivo Paese dal regime sociale più avanzato, da un mezzo secolo non c'è più stata una sola amnistia per i detenuti politici. Quando le nostre condanne erano di 20, 5 o 10 anni, quando 8 anni venivano considerati senza sorridere come una "pena da ragazzi", la celebre amnistia staliniana (il 7 aprile 1945) liberò i detenuti politici condannati... ad un massimo di 3 anni, vale a dire nessuno. Un po' più generosa (fino a 5 anni) l'amnistia di Voroshìlov nel marzo del 1952, ha soltanto inondato il Paese di vecchi detenuti di diritto comune. Nel settembre 1955, liberando per Adenauer i tedeschi che scontavano una condanna in Urss, Kruscev fu costretto ad amnistiare anche coloro che avevano collaborato con i tedeschi. Ma c'è mai stata, durante un mezzo secolo, un'amnistia per i dissidenti? Chi può indicare sul pianeta l'esempio di un altro regime così poco sicuro della sua stabilità? Chi ama fare confronti con la Grecia li faccia pure. Amnistie? «Quando alla fine degli Anni Quaranta eravamo bombardati di condanne a venticinque anni, sui giornali non si parlava che delle persecuzioni in Grecia. E oggi molte dichiarazioni di stampa e di personalità occidentali fra le più sensibili all'oppressione e alla persecuzione che infieriscono all'Est, al solo fine di stabilire un fittizio equilibrio a beneficio delle "sinistre", non mancano di ripetere: "E' come in Grecia, in Spagna, In Turchia...". «Oso dichiarare che non è così. In quei Paesi non accadono queste stesse cose. Colà la violenza non raggiunge il livello delle camere a gas d'oggi, i manicomi criminali. «Oso osservare che la Grecia non è circondata da un muro di cemento armato con assassini elettronici al confine, e i giovani greci non attraversa¬