Le occasioni d'Europa di Emanuele Gazzo

Le occasioni d'Europa Le occasioni d'Europa Le circostanze fanno sì che da varie parti si rievochi in questi giorni la personalità di De Gasperi, specialmente da parte di chi gli fu vicino nell'azione. Ma queste stesse circostanze dovrebbero indurre a trarre da quell'azione e dal pensiero che l'ha ispirata una lezione concreta per il tempo presente. L'on. Andreotti ha ricordato fra le caratteristiche dominanti dell'uomo De Gasperi la preminente importanza data alla politica estera. Questo richiese allora, oltre ad un grande coraggio intellettuale (accettazione del trattato di pace) una profonda fede e una straordinaria intuizione politica. Sarebbe stato infatti facile, e giustificato, un «ripiegamento su se stessa» dell'Italia in vista dell'ardua impresa della ricostruzione economica. De Gasperi insogna Ma De Gasperi (ed è ancora Andreotti a ricordarlo) sapeva scegliere, per cimentarvisi, le cose che veramente contano. Egli aveva intuito che una ricostruzione durevole era il contrario di una «restaurazione» del passato o di una generica ricerca del benessere materiale, ma passava per una profonda innovazione della morale e delle strutture della società nazionale ed internazionale. Per questo scelse di dare la priorità a una politica estera il cui preciso obbiettivo era di condurre l'Italia ad inserirsi con successo e con diritto di primogenitura nel movimento innovatore per la costruzione di un'Europa unita, cioè per gettare le basi di una convivenza pacifica dei popoli non più contrattuale ed aleatoria ma radicata su un nuovo tipo di rapporti, su una redistribuzione di poteri nella società e basata su istituzioni liberamente accettate. De Gasperi venne sovente accusato di avere limitate cognizioni economiche. In realtà, egli sapeva benissimo che sovente quelli che gli venivano presentati come imperativi desunti dai grandi principi delle «leggi economiche» altro non erano se non il frutto dell'agglomerarsi di interessi corporativi o magari semplicemente dell'accettazione pedissequa di schemi incrostati nella tradizione. La priorità data alle scelte politiche gli permise di sfuggire a questi tranelli. Fu così che, avendo scelto di firmare il trattato della Ceca (Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio) contro il parere della quasi totalità degli «esperti» economisti che pronosticavano l'inevitabile stritolamento della fragilissima sebbene protettissima industria pesante italiana (in realtà la siderurgia italiana decuplicò in vent'anni la sua produzione), De Gasperi respinse con coerenza gli estremi tentativi miranti ad ottenere impossibili modifiche di talune clausole di quel trattato, che rendevano effettivamente gravoso se non impossibile alla siderurgia italiana l'accesso al minerale di ferro algerino, privilegiando così la siderurgia francese. Trovandomi in servizio giornalistico per l'incentro italofrancese di Santa Margherita, quando nel 1952 De Gasperi e Sforza concordarono con Robert Schumann e Pleven le grandi linee dell'azione europeistica, fui testimone io stesso di questo estremo tentativo effettuato certamente in buona fede dall'inge¬ gner Sinigaglia, pioniere della siderurgia integrata in Italia e che aveva creato lo stabilimento di Cornigliano. De Gasperi disse semplicemente di no. Forse egli non si intendeva di economia, ma quel suo rifiuto fu un fattore positivo nella straordinaria espansione della siderurgia italiana che dovette impostare la propria struttura sull'approvvigionamento di minerale ad altissimo tenore in ferro, assicurandosi giacimenti oltremare suscettibili di sfruttamento su larga scala nei grandi impianti litoranei che caratterizzano la siderurgia moderna. /I peso politico Qual è la lezione per il presente? Essa è ovvia. Anche oggi l'Italia è costretta a compiere uno sforzo eccezionale, più che per ricostruire, per avviare su strade nuove le proprie strutture economiche, più che mai condizionate dal contesto europeo nel quale sono profondamente inserite. Anche oggi il peso politico internazionale dell'Italia è o sembra quasi nullo. E' inoltre chiaro che nelle prossime settimane assisteremo in ambito europeo a una larga «redistribuzione di carte» e forse alla rimessa in causa di scelte alle quali contribuimmo. Si profila una crisi. Vi concorrono fermenti interni (aspra polemica tra la Francia da una parte, l'Inghilterra e la Germania dall'altra, sulla revisione dei meccanismi della politica agricola; accrescersi delle tensioni per la tenace resistenza francese ad ogni proposito di rafforzamento istituzionale della Comunità) ed esterni: principalmente la «nevrotica» incapacità dell'Europa di realizzare una coerente linea politica per i prossimi grandi confronti politico-economici con l'alleato americano e con l'interlocutore sovietico. Oggi l'Europa si trova in uno di quei momenti in cui è ancora possibile cogliere l'occasione storica. E l'Italia di oggi potrebbe, come al tempo di De Gasperi, esercitare un ruolo eminente nella scelta degli orientamenti. Gli uomini di punta del suo governo hanno fede ed esperienza europea. Rumor e Moro hanno partecipato al vertice dell'Aia che nel 1969 segnò una svolta nella politica europea. Inoltre, non sono pochi coloro che all'estero auspicano che l'Italia torni ad avere voce in capitolo e deplorano la nostra assenza. Basterebbe che i nostri uomini di Stato seguissero non solo l'esempio di De Gasperi (che agì in condizioni ben più difficili delle loro) ma anche l'esortazione di un altro grande europeo, Luigi Einaudi, il quale scriveva nel 1954 che «nella vita delle nazioni di solito l'errore di non saper cogliere l'attimo fuggente è irreparabile. Le esitazioni e le discordie degli Stati italiani della fine del Quattrocento costarono agli italiani la perdita dell'indipendenza lungo tre secoli, e il tempo della decisione, allora, durò forse pochi mesi». Oggi, il tempo propizio per l'unione europea è soltanto quello durante il quale la fragile costruzione esistente sarà in grado di fare il salto di qualità decisivo verso una coerente politica nei confronti del resto del mondo. Come al tempo di De Gasperi, si tratta di cogliere l'attimo fuggente. Emanuele Gazzo MENTRE IL NOSTRO PAESE È "ASSENTE,,