La magrezza comandata di Giovanni Arpino

La magrezza comandata FEMMINISMO E MODA La magrezza comandata L'ordine suona, minacciosissimo: siate sottili, filiformi, siate « squisiti cadaveri », consumate ogni residuo filamento delle vostre ultime carni straziate con assalti di creme, fustigazioni, ginnastiche, e soprattutto denutrendovi. Solo così potrete essere accolte — voi donne, isterilite alghe, baccelli e stecchi — nelle sacre caverne della Dea Magrezza. Chissà da quale antro diabolico, da quale bunker di odio è scattato questo comando: c'è un perfido Goebbels senza nome che lavora con le sue trame alle spalle della moda. La Dea Magrezza gli si inchina con tutti i suoi spigoli. La donna va liberata, va liberandosi, è libera. Combatte, giudica, contesta, piglia di petto le leggi, il costume, il marito. Le sue rivistine schiamazzano al di là delle ragioni, pur lecite. Le rivendicazioni si divorano l'un l'altra. L'uomo — che nemico non è — assiste, talora plaude convinto. Al massimo, verrà sostituito in ogni ruolo, e la cosa potrebbe risultargli gradevole. Farla da padrone è una noia, ma la donna ancora non lo sa. Però, ecco: un ordine, e la stessa uonna torna ad obbedire con animo antico. Si tratti del sandalo con suola alta tre spanne e che favorisce inevitabili lussazioni, che ostacola nella rincorsa al tram, si tratti invece della dieta, delle ossa di fuori. Forse andremo davvero tutti nudi su ogni spiaggia e anche lungo i marciapiedi: avremo solo ossa da mostrare. Mai più la dolce curva d'un ventre, mai più il tenero giro d'una spalla, la divina sostanza d'un seno, ma scapole e gomiti, siepi di vertebre e bacini che paiono spolpati come gli scudi di guerrieri barbari. La donna non mangia più, e la stessa fortuna dei fastosi libri di cucina sottolinea che i fornelli sono spenti, la scienza si depone tra le pagine non venendo applicata. L'arte delle pignatte è ormai memoria, enciclopedia, non pratica assidua. Né mangia, la-donna, né desiste dallo struggersi per questo non mangiare, perché è pur fatta di terra, è ombelico del mondo, quindi porta con sé gli ordini — ma naturali, questi — necessari alla sopravvivenza, alla nutrizione, alla carne generata e da generare. Soffoca e inaridisce questi dettati per diventare giunco. E spesso si raggrinza in ortica. Le cronache sono gremite di notizie disastrose: morta la quindicenne che volle perdere dieci chili in un mese; suicida la cinquantenne che una terribile dieta depresse; aperti dieci, cento, mille altri luoghi di tortura dove turbe femminili impazziscono tra le ginnastiche curative. E dicono i medici, quelli veri: non s'è mai assistito a tante disfunzioni, fegati cistifellee milze stomaci contratti, sonni perduti, nausee, pelli denutrite che si spaccano, squamano, diventano decrepite nel giro di poche settimane. La bilancia è l'unico dottore riconosciuto dalla Dea Magrezza. Con un ventino ci si confessa, comunica, si implora l'assoluzione da una foglia di lattuga, una bistecca bruciacchiata. La bilancia traduce in grammi, cioè in peccati, ogni altra leccornia, anche una mela, anche un cucchiaio di gelato. Deposti i suoi sandali, che un clown faticherebbe ad usare sulla segatura della pista, la donna, dimentica di contestare, si pesa. In bagno, in farmacia, per la strada, in casa di amici, alla stazione, nei supermercati. Scruta, china verso l'ago maledetto, poi si riassesta sui sandali e già ha deciso, mentalmente, ulteriori tagli, solo più mezza foglia di lattuga, la bistecca bruciacchiata a dividere tra mattino e sera. Un uovo sodo domenicale, come miraggio. E' una grande epidemia. Che si misura a punti, calorie, valori proteici, inganni con il pompelmo, la carota cruda, il liquido da non inghiottire mai, neppure per agevolare una delle tante pastiglie. Nei negozi chi non pesa quanto un grissino mai più troverà la sottana adatta, chi non tortura il seno tra le bende come una vecchissima cinese non può infilarsi dentro una maglietta. Pochi giorni fa, a Milano, secondo una lettera pubblicata dai quotidiani, una signora per ottenere una scarpa qualsiasi e non il trabiccolo smisurato, ha dovuto confessare astutamente d'essere incinta. L'involgarimento della medicina ha le sue colpe. Non più ristretta ai depositari della scienza, la medicina è ormai fatto quotidiano, che intorbida ogni discorso. Non c'è ragazzuola che non discetti sul valore nutritivo d'un cannolo alla crema o non sdottori sui «rDspmigrnsgzsvulstssdrfpapinq « pericoli » di un'anitra all'arancia (comperata in scatola). Di qui nuove angustie, nuovissime restrizioni, cilici, accompagnati da ricatti verso chi mangia, osa mangiare, se ne impipa delle varianti dietologiche. Di qui il linciaggio morale per tutti coloro che cercano d'opporsi usando il buon senso, solitamente accompagnato da buoni appetiti. Corrono come iene rabbiose, zoccolando, con i tessuti dello stomaco ormai inerti, le gengive dissanguate per l'inedia, le unghie che si screpolano, la bile che rotea torva fuori del suo vaso, il bianco dell'occhio troppo lucido, aliti pestiferi, succhi gastrici che ruminano se stessi, la spina dorsale ridotta a una rastrelliera, povere vittime che sognano di naufragare dentro un mastello di pasta e fagioli. Si sono arrese ad una fame elementare, perpetua e quasi abbietta, perché i fantasmi che le perseguitano non sono nobili, raffinati, ma quantitativi, montagne di pane e salame anziché un loup flambé au fenouil. E parlano di tisane, erbe, pozioni e lassativi, depurativi e diuretici e astringenti. Ingurgitano brodi che neppure le streghe scespiriane agitavano nei loro buglioli. Si scambiano indirizzi degli ultimi negromanti (giorno verrà in cui li awinghieremo come meritano, insieme a certi sociologi, certi architetti) che hanno escogitato nuove torture, ulteriori astinenze. I telefoni, gli spazi pubblicitari, quintali di carta patinata s'ingolfano di questa follia penitenziale, il cui ultimo fine è uno solo: il manicomio. Come possiamo rilevare, ancora una volta, dalle cronache. Esisteva un termine, spicciativo e poco elegante ma allegro: la « falsa magra ». Sottintendeva mille cose, tra l'aspetto e la fantasia, la realtà scattante e l'intima, fruttuosa scoperta. E' precipitato nel dimenticatoio, con cento altre parole e tutte le curve care a Renoir. Oggi si è soltanto «magre », aggiungervi un « false » costituirebbe offesa mortale. Anche se questo essere magri si traduce in pigrizia mentale, accidia e allucinazioni, assenza di buonumore e quindi di civiltà colloquiale, in forme estreme di deliqui, nevrosi, rabbie vanamente condite di ideologie. La donna che rifiuta il cibo è come rondine che rinneghi il suo volare. Sempre pennuto resta, ma canarino dentro la gabbia di infiniti inganni metafisici. Reprimendo l'immagi ne di se stessa, la « grande magra » si assoggetta soltanto ad un impervio presente: mentre la donna ha creduto in ogni tempo d'essere eterna e futura. Nel Lager dietetico fermentano i vermi di chissà quale estranea mutazione. Per fortuna scampasti tu, Giunone dalle bianche braccia. Giovanni Arpino

Persone citate: Goebbels, Moda, Renoir

Luoghi citati: Milano