LA LINGUISTICA E I PROCESSI DELLA MENTE UMANA di Silvio Ceccato

LA LINGUISTICA E I PROCESSI DELLA MENTE UMANA LA LINGUISTICA E I PROCESSI DELLA MENTE UMANA Aperti i segreti della parola Tutto ciò che l'uomo compie e che non scorra sul puro piano fisico prende la forma verbale: per gli altri, per sé, affinché sia ricordato, affinché sia di guida all'azione etc. Anzi, è ormai sotto la pressione delle parole, quando si apprende a parlare, che l'uomo viene a formarsi insieme come faber e come sapiens. Democrito scriveva che la parola è l'ombra dell'azione; e vale appunto anche il contrario, l'azione è l'ombra della parola. Per questo io sono convinto che lo studio della parola occuperà fra le ricerche e gli insegnamenti un posto sempre più importante, soprattutto quando la linguistica, liberata dal presupposto filosofico che sìnora ne ha limitato le funzioni, apparirà come la via più feconda e sicura per arrivare alla nostra mente. Come si è già ricordato su queste pagine, quando alcuni studiosi, venticinque secoli fa, da physiologoi si fecero philosophoi, allargando i loro interessi dal fisico al mentale, commisero l'errore, del resto plausibile, di trasferire nel nuovo campo il modo di operare proprio del vecchio. Il fisico, come del resto l'uomo della strada, si avvale certamente della percezione, categorizzazione, pensiero e linguaggio, nel condurre la sua indagine, ma li assume non quale oggetto della ricerca, bensì come strumento, e per lo più nemmeno se ne accorge. Precisamente, per costituire una situazione fisica, egli percepisce almeno due volte, localizza nello spazio iitsudrcfpntMslrscssmalsttreedgfnu i percepiti, ed allora li pone in rapporto. Quando questo schema fu trasferito nello studio della singola percezione successe un disastro. Si cercò infatti di descrivere anch'essa come rapporto fra due percepiti localizzati spazialmente, uno fuori dalla testa del pereipiente ed uno interno. L'esterno si doveva trasferire all'interno, per dar vita a questo. Ma la testa è già piena di cose sue, il cervello. Inoltre, l'esterno non si muoveva, ma restava al suo posto. Allora si escogitarono decine di trucchi per dar ragione del presupposto. Per esempio si scompose ogni cosa in elementi, eguali all'esterno ed all'interno, si mossero dall'esterno atomi-ed eìdola, e si apprestarono per essi i pertugi e le vie perché raggiungessero l'interno. / vocaboli d'uso Il secondo percepito, all'interno, non poteva comunque restare tal quale all'esterno; e così gli si tolse la materia e ci si servì per nominarlo di parole prese dal linguaggio d'uso ed impiegate metaforicamente, come idea, immagine, concetto, etc. Correntemente queste parole indicano infatti ciò che si sa attorno ad una cosa, indicano cioè un pensiero (ciò che si sa della giustizia, della patria, del cavallo, etc), e non una « entità astratta » che ripeterebbe il percepito. Ecco allora le principali conseguenze negative per la linguistica. Anzitutto la parola non avrebbe più potuto venire riferita direttamente alle cose nominate, come continuazio¬ ne dell'operare che costituisce queste o viceversa, ma a questo mediatore concetto. Ma come sarebbe mai possibile? Io devo poter parlare della mia penna, ora qui, non soltanto del concetto della penna, dell'ora e del qui! Poi, tutte le cose per essere concettualizzate e nominate si sarebbero dovute trovare già costituite di per sé ed in un loro posto, cioè essere fisiche, o parti di cose fisiche. In mancanza di questa controparte, una parola sarebbe rimasta contraddittoriamente vuota, cioè priva di controparte, di significato. Come sarebbe possibile? Eppure, tutte le linguistiche tradizionali sono state segnate da quell'antico errore, da quell'indebito raddoppio del percepito e dalle sue tante conseguenze. Le varie soluzioni strutturali, generative, trasformazionali, etc. rappresentano il vano sforzo di superarne le difficoltà. Non potendo passare dal dinamismo dell'espressione linguistica a quello del pensiero e dei suoi contenuti per descriverne la connessione, si prende quale punto di partenza l'espressione stessa, metà per la sua materialità e metà per la sua semanticità, che però rimane in buona parte inanalizzata, e si cerca di imporre un rigore mediante un meta-linguaggio che prenda quello naturale come oggetto. Per fortuna di tutti il bambino va a scuola che sa già parlare ed anche l'apprendimento della lingua straniera si può agganciare a quella materna sull'esempio ripetuto di traduzioni. Ma lo studio della lingua in queste condizioni non interessa: serve per l'esame, forse potrebbe essere anche un gioco, ma non certo l'iniziazione alla consapevolezza del pensare. Incagliata nelle sue originarie difficoltà, la filosofia appare almeno come la sorgente dei problemi profondi; ma la linguistica, alle prese con i problemi del quotidiano, si immiserisce in un groviglio di classificazioni. L'errore filosofico Scoprire dove stesse l'errore filosofico, e liberare così la linguistica dalle sue spire, benché sin dall'inizio il malessere generato dall'errore fosse stato avvertito, è stata una delle imprese più difficili. Anzitutto, ripeto, la sua plausibilità si rinnova ogni giorno. Poi, con i loro successi, le Scienze fisiche figurano come il modello. Ogni insuccesso in quelle non fisiche fu ritenuto, e molti ne sono ancora convìnti, che dipendesse, non dalla contaminazione del mentale da parte del fisico, bensì da un insufficiente metodo fisico applicato al mentale. Né era da attendersi che la critica partisse dal linguista, fruitore soltanto delle lontane conseguenze del primo errore. In effetti, fu proprio in seno ad un filosofare scontento e critico che si ebbero i più decisi attacchi del presupposto che tutto sia fisico, si raddoppi al nostro interno, e così via. Berkeley scopriva che la scomposizione dell'oggetto fisico si concludeva con oggetti non fisici. Hume scopriva che cause ed effetti, sostanze ed accidenti, non si vedono con gli occhi, Kant rifiutava la fisicità di una quindicina di categorie. Altri pensatori più recenti ed oggi la macchina linguistica hanno fatto il resto. Se si deve costruire una macchina che osserva e descrive, che è il più ambizioso progetto della cibernetica, allora bisogna che a tutte le parole e le frasi sia trovata una controparte dinamica, operativa, cioè niente di già fatto che sussista di per sé e si debba semplicemente trasferire nella testa. Una linguistica orientata operativamente, cioè che porti alla consapevolezza delle operazioni costitutive delle cose nominate, è destinata a svolgere una funzione rinnovatrice in molti campi. Additerei fra le prime la sostituzione di un atteggiamento oggi ancora tanto diffuso, quello che ci fa ritenere che i nostri pensieri e parole non siano che il riflesso delle « famose realtà di fatti che ci circondano », rendendoci deliberatamente impersonali, irresponsabili e, nel caso di differenze, rinunciatari od aggressivi. Con la linguistica operativa, questa realtà filosofica diventa infatti l'insieme dei fatti accertati grazie alla ripetizione di quanto noi abbiamo già fatto, con pensieri e discorsi « veri » se i risultati collimano, altrimenti pensieri e discorsi « erronei » e cose di cui si parla «apparenti». Verità e realtà dunque in un divenire dj cui dobbiamo assumerci una responsabilità personale e collettiva, comunque storica. Silvio Ceccato

Persone citate: Democrito, Kant