La polemica sulla storia

La polemica sulla storia La polemica sulla storia Negli ultimi mesi sono usciti alcuni libri importanti sul « senso della storia ». Lidia Storonl, su La Stampa del 21 agosto, ha recensito 11 volume di Veyne, « Come si scrive la storia ». Nicola Abbagnano, in questo articolo, discute le tesi di un altro studioso francese, Braudel. C'è un problema antichissimo che continua ad essere dibattuto non solo nel campo della filosofia ma anche in alcune discipline scientifiche, ed è quello dell'ordine del mondo nella sua totalità. Esiste quest'ordine? Si può scorgere nell'enorme varietà di esseri e cose che popolano l'universo un'armonia nascosta che la renda coerente e pacifica e ne garantisca la conservazione indefinita? Si può intravedere nella successione degli eventi, nell'incessante trasmutazione delle cose, un indirizzo costante, un disegno complessivo, un fine ultimo che dia significato o valore ad ogni accadimento? Questo problema ha per l'uomo un'importanza vitale perché la soluzione positiva di esso gli consentirebbe di guardare con fiducia al suo avvenire. Se nel mondo c'è un disegno armonico che si svolge in vista di un fine, la sorte futura dell'uomo deve esservi compresa e garantita; e, quali che siano i pericoli che lo minacciano o le difficoltà che incontra, l'uomo può nutrire la più ferma speranza nella sua sopravvivenza e nella salvezza dei valori più cari. Questo problema è oggi specialmente dibattuto nel campo della biologia e in quello della storiografia: la prima considera l'uomo come organismo nello sviluppo delle specie viventi, la seconda lo considera come entità sociale nello sviluppo degli ordini politici. Se l'evoluzione biologica e il corso della storia sono avviati ad un progresso immancabile da una legge intrinseca, da un disegno provvidenziale che intervenga a correggere deviazioni ed errori, l'organismo urnano e la società umana sono destinati a raggiungere, sia pure a distanza di tempo, forme sempre più alte e perfette. Ma l'intero dibattito verte proprio su questo punto: sono riscontrabili nell'evoluzione biologica e nella storia elementi decisivi che giustifichino tale speranza? Per ciò che riguarda la storia una raccolta di scritti (Scritti sulla storia, Mondadori, 1973) di Fernand Braudel, l'e minente storico francese, pone il problema nella sua forma più concreta e convincente. Se la storia dovesse occuparsi soltanto di fatti singoli, individuati nello spazio e nel tempo quindi irripetibili, il problema di un ordine storico totale o complessivo non sorgerebbe. Lo storico si limiterebbe a scegliere tra quei fatti quelli ritenuti, per certi aspetti, « importanti », cioè gravidi di conseguenze, e ne ricostruirebbe la genesi limitando il suo sguardo al tempo breve in cui una serie di essi si è verificata. Ma Braudel (d'accordo in questo con altri storici contemporanei) non ritiene che questa microstoria (come la chiama) sia tutta la storia e che la considerazione dei tempi lunghi, dei cicli storici, delle uniformità o delle costanti che si ripetono in periodi storici differenti, appartenga ad altre discipline e precisamente alla sociologia o all'economia. Egli è fautore di una storia interdisciplinare che consideri nella loro connessione tempi brevi e tempi lunghi, fatti singoli e periodi o cicli e si fermi quindi a delineare gli ordini o le strutture permanenti che ricorrono in periodi cronologicamente lontani. Perciò accanto alla storia degli eventi, che è quella tradizionale, egli ammette una storia congiunturale, quale è stata finora fatta soltanto sul piano della vita materiale come studio dei cicli o intercidi economici; e, al di là di essa, una storia strutturale che scorga, appunto nella struttura, l'elemento costante, immutabile rispetto alle altre storie, che le gravitano intorno e ne costituiscono esempi. A quest'ultimo livello, storia e sociologia si sostengono a vicenda e si confondono. Una struttura è per lo storico non solo architettura ma anche persistenza, spesso più che secolare; essa attraversa immensi spazi di tempo senza alterarsi; se si deteriora con il tempo, si ricompone strada facendo e i suoi tratti mutano solo con estrema lentezza. Società, civiltà, economie, istituzioni politiche sono strutture del genere nelle quali si inseriscono i tempi brevi degli eventi e delle biografie, oggetti della storia fattuale. L'accesso a questo o agli altri tipi di storia non è, secon¬ do Braudel, unico ed obbligato: si può adottare il punto di vista culturalistico o quello economicistico o la dialettica materialistica del marxismo o qualsiasi altro tipo di analisi, perché la storia completa è pluridimensionale: ha cioè aspetti molteplici che tuttavia non le tolgono l'unità perché « la vita è molteplice, ma è anche unica ». Un'indagine storiografica cosi intesa consente di riconoscere nella storia un disegno globale, un progresso ininterrotto, un ordine provvidenziale? Può essa confermare la validità del modello, proposto per esempio da Croce, di una storia che sia la realizzazione progressiva della provvidenza immanente? Braudel lo esclude. Bisogna, egli dice, rinunziare a parlare della civiltà (che è la struttura fondamentale, la costante storica per eccellenza) come d'un organismo che nasce, si sviluppa e muore, sul modello del destino umano semplice e lineare. Una civiltà è sempre in bilico tra vari destini possibili, molto diversi tra loro, e perciò non obbedisce neppure a quel destino ciclico che fu, per esempio, ipotizzato da Vico come successione delle tre età, degli dèi, degli eroi e degli uomini. Né una civiltà è un mondo chiuso e indipendente, come se fosse un'isola in mezzo all'oceano. Le civiltà vivono in rapporto incessante tra loro e, pur radicandosi ognuna in una area geografica determinata, si scambiano i beni culturali acquisiti o rifiutano tali scambi o prestiti rafforzandosi e irrigidendosi nelle loro forme di vita, nei loro modi specifici di lavorare e di pensare. In questa varietà e molteplicità, il vero fattore di uniformità, il fondamento comune delle civiltà più disparate, è costituito dall'uomo e dal suo limite Dappertutto l'uomo è raro e fragile e la sua vita è misera e breve. Perciò tutte le civiltà si dispiegano in un campo ristretto di possibilità. I limiti dell'uomo restringono in anticipo ogni avventura e le danno in fondo un'aria di parentela con tutte le altre che si sono dispiegate nello spazio e nel tempo. Nessuno sviluppo unilineare, nessuna unicità di struttura, nessun determinismo necessitante, dunque, ma pluralismo di civiltà, pluralismo dei loro rapporti, pluralismo dei loro destini. Pessimismo e ottimismo, che entrambi si sottraggono al pluralismo, sono messi fuori gioco. Ai profeti di sventura, come a quelli che annunciano il paradiso imminente, è dato il benservito. L'uomo, con tutti i suoi limiti, è investito della responsabilità che gli spetta nella scelta decisiva del suo futuro. Solo egli può fare in modo che le civiltà, ciascuna per suo conto e tutte insieme, si salvino e ci salvino. Nicola Abbagnano