ITINERARI D'ESTATE NEL CUORE DELLA MITTELEUROPA

ITINERARI D'ESTATE NEL CUORE DELLA MITTELEUROPA ITINERARI D'ESTATE NEL CUORE DELLA MITTELEUROPA Il fantasma degli Asburgo (Dal nostro inviato speciale) Fraga, agosto. Sono sceso all'aeroporto internazionale di Praga-Ruzyné sventolando, al posto di controllo della dogana, una copia de La Stampa. Era la condizione posta dalle autorità cecoslovacche, dopo laboriose trattative, per mettere il visto sul mio passaporto di giornalista. Venga pure, sarà bene accolto, sarà anzi nostro ospite, ma lo faremo accompagnare sempre da un funzionario che lo rileverà all'arrivo. In questo modo, che rivela da solo quanti sospetti e difficoltà si frappongano ancora, in molti Paesi, all'esercizio pratico del giornalismo, ho cominciato un viaggio durato tre settimane, fra il rievocativo e il turistico-informativo, nel cuore di quella cne un tempo si usava definire come «Mitteleuropa austroungarica»; una rapida corsa in aereo, in automobile, in battello lungo il Danubio, attraverso il vasto arco dall'Austria alla Boemia, alla Galizia, all'Ungheria, fino alla Croazia e in Slovenia. Conclusione naturale, Vienna. Duplice lo scopo del viaggio, osservare come passa le vacanze la gente del posto (ferie, weekend, cure termali, gite collettive, ma niente politica) e nello stesso tempo, spinto da certe mie simpatie storico-letterarie, ritrovare dove possibile le tracce dell'ormai lontano ma non remoto passato asburgico, far rivivere un mondo perduto, forse più semplicemente rintracciare un fantasma. Perché la potente casa degli Asburgo, con il suo orgoglioso motto « Austriae est imperare orbi universo », in realtà non è mai riuscita a fare un organismo unitario e valido del mosaico di popoli e nazioni e lingue centroeuropei, in questa marca di frontiera immediatamente a contatto, per tanti secoli, con il mondo ottomano e trovatasi poi di fronte all'espansionismo zarista e all'esplosione nazionalistica dell'Ottocento. Sono trascorsi poco più di cinquant'anni dalla fine della prima guerra mondiale, l'ultimo imperatore Carlo che si spegne nell'esilio di Madera dopo due patetici e insensati tentativi di ritorno, il sorgere della Cecoslovacchia, la rinascita della Polonia dopo oltre un secolo di silenzio e di rivolte, la creazione del regno unito dei Serbi, Croati e Sloveni e di un'Ungheria cosi come di un'Austria ristrette in più naturali confini, l'adempimento dell'unità italiana, la caduta degli Zar e degli Hohenzollern. Questi cinquant'anni trascorsi da allora sono stati di nuovo «tempi torbidi», anni di tempesta: rivoluzione bolscevica, Bela Kun e Horthy, fascismo e hitlerismo, seconda guerra mondiale, stragi senza numero, devastazioni, eserciti e bombe, bombe ed eserciti. Infine l'affermarsi delle nuove « democrazie popolari » sotto l'egida sovietica e, nell'Austria ricostruita, d'una repubblica democratica di tipo occidentale. Non c'è da stupirsi se c'è rimasto poco, del passato. Ma la realtà, quale mi è parso di avvertire in ogni giorno e in ogni luogo, è che già allora, alla fine della prima guerra mondiale, non c'era più nulla di quel mondo asburgico di cui ho voluto rintracciare le vestigia. Esistono ancora soltanto i ricordi e le pietre. Ma le pietre, le infinite Dominikaner, Augustiner, Theatiner Kirchen, che si trovano quasi in ogni cittadina da Vienna a Varsavia, i palazzi delle grandi famiglie aristocratiche, dagli Esterhàzy ai Palli'y, dagli Schwarzenberg agli Auersperg, ricostruiti tutti con amorosa cura in Ungheria co¬ me in Cecoslovacchia e in Polonia, non hanno più la potenza di evocare i ricordi del passato, hanno assunto il valore che si può attribuire ad un museo, ad un'attrazione turistica. Qui le pietre sono veramente morte. E i ricordi, la stessa musica (a Vienna ci sono numerose sale di concerti di musica classica, non un solo caffè-concerto popolare) appaiono staccati dalla realtà d'ogni giorno, riposti in un angolo della casa e tenuti con devozione, ma non più vissuti, sono ormai privi di ogni « impulso dinamogeno » sulle coscienze. la superba dinastia degli Asburgo, i magnati d'Ungheria in lotta continua con i loro sudditi e i loro re, i litigiosi nobili polacchi, i fieri aristocratici boemi, i diplomatici sottili, sorridenti e duri dell'equilibrio europeo e della reazione sociale, da Kaunitz a Mettermeli a BetMen, hanno fallito il loro grande compito storico di creare uno Stato supernazionale in cui potessero convergere austriaci e magiari, slavi e italiani. E nulla è rimasto di loro se non, forse, qualche traccia d'un comune modo di vivere (la cucina da Vienna a Fraga a Budapest, per esempio, è sostanzialmente la stessa), indubbiamente sopravvive ancora una certa impalcatura; o meglio tradizione, di serietà amministrativa e di decentramento esecutivo locale. Ma nulla più; una vera « Mitteleuropa » forse non è mai esistita, non che sia morta. E' esistita certo Karlsbad, oggi Karlovy Vary, con le sue terme e le sue case da gioco; e queste esistono ancora, frequentate soprattutto da comitive di tedeschi orientali e di sovietici. Tutto esiste ancora, ma tutto ha cambiato volto e anima. Del resto, che cosa ha mai significato per il contadino boemo la bella vita di Karlsbad? Nella stessa Vienna, centro dell'impero, ci sono ancora, risparmiati dalla guerra o in parte ricostruiti, tutti i palazzi dove nel 1815 si tenne il famoso congresso che doveva riordinare l'Europa dopo la caduta di Napoleone, Schònnbrunn, il delizioso Belvedere fatto costruire da Eugenio di Savoia, ci sono ancora i saloni dove, dicono, lo zar di Russia passò quaranta notti a ballare e il re di Baviera altrettante a bere, mentre Mettermeli e Talleyrand, Castlereagh e Nesselrode pensavano per tutti. Una diplomazia, forse, che sapeva ottenere risultati migliori di quella d'oggi (alla conferenza di Helsinki, per i preliminari d'una trattativa generale sulla sicurezza europea, due mesi fa, hanno trascorso quasi altrettanto tempo a discutere senza concludere assolutamente nulla che non fosse già stabilito prima di cominciare). Ma al di là dei palazzi non è rimasto nulla. A Vienna oggi si costruisce la metropolitana, ci sono trecentomila lavoratori stranieri (soprattutto greci, turchi, spagnoli) ai quali offrire una casa decente, il Parlamento discute se si debba vietare alla radio-tv di far pubblicità all'alcol e alle sigarette. Trecento agenti di polizia versati in lingue (prima l'inglese, poi le lingue scandinave, poi il francese e l'italiano, ultimo il russo), la città continua a estendersi, dall'aeroporto al centro occorrono quaranta minuti d'auto. Politicamente l'Austria vive in una neutra lità assoluta, come la Svizzera, anche se intellettualmente è « occidente ». Forse non c'è più che qualche anziana baronessa a ricordare, non dico a rimpiangere, l'aquila degli Asburgo. Umberto Oddone