CINQUANTANNI DOPO di Remo Cantoni
CINQUANTANNI DOPO CINQUANTANNI DOPO L'amarezza di Pareto Su Pareto la polemica non sembra mai chiudersi e i più ingenerosi tra i suoi lettori lo trovano immorale, retrivo, quasi oscurantista. C'è invece in Pareto, nonostante il culto altezzoso della pura scienza, della logica matematica e della verifica empirica, una vocazione occulta di moralità non « virtuista », una fede nel valore illuminante della conoscenza, anche se il suo è un moralismo capovolto e pessimistico, che non bandisce crociate e non si illude di poter modificare la stoltezza o la violenza umane, ma le mette, anzi, crudamente a nudo. Con più sarcasmo che benevolenza Pareto scava nell'uomo alla ricerca dei « residui » costanti e nell'intento di smascherare le « derivazioni » con cui gli uomini preferiscono ingannare se stessi e gli altri per ricoprire di motivazioni nobili o poetiche, pseudologiche, il sottosuolo ambiguo dei loro comportamenti più egoistici e prosaici. Si direbbe quasi che rivolgendosi ai suoi simili egli li inviti a gettare infine la maschera, a mostrarsi per quel che sono, pur sapendo che il suo rude invito non troverà alcun credito. La saggezza amara di Pareto, come quella di Machiavelli, di Nietzsche o di Freud, consiste in una lucidità che non abbocca all'amo del pietoso inganno e si nutre di sconsolate verità. Nel disincanto paretiano, cosi avverso all'etica e al moralismo in genere, sono tuttavia ricorrenti, per un singolare e ambiguo paradosso, l'elogio del coraggio intellettuale, il disprezzo per codardi e stolti, l'insofferenza per quanti si abbandonano ciecamente alle passioni e ai pregiudizi. La logica tirannica dei sentimenti, alla quale gli uomini sono soliti obbedire per trarne conforto, cambia sempre le carte in tavola, sempre gira al largo dei fatti o li stravolge, sempre teme la verifica dell'esperienza e si nutre di fantasticherie e illusioni, miti e leggende. Questa concitata logica, più raziocinante che razionale, conferisce esistenza oggettiva alle proprie emozioni e trascura le proprietà reali delle cose, la machiavellica « realtà effettuale » che è, in fondo, un sistema dotato di un suo occulto equilibrio. Pareto non ammetterebbe mai di voler costruire un'etica, per timore di apparire edificante o retorico. Egli pretende o auspica, anzi, che il suo pensiero coincida con la pura logica, con un discorso scientifico spoglio di ideologie. Una sua etica, sprezzante e inconfessata, in parte contraddittoria, mi pare peraltro che esista ed è quella appunto dell'uomo di scienza che avversa la pochezza d'animo, le declamazioni verbose, l'umanitarismo astratto, le velleità frastornanti. Ancora oggi, cinquant'anni dopo la sua morte, avvenuta fi 21 agosto 1923 a Céligny, nel cantone di Ginevra, sulle rive del lago Lemano, Pareto ha più avversari che fautori. Gli si muove il rimprovero di esser stato un conservatore e un aristocratico avvocato delle élites, di avere avuto pochissimo rispetto per la democrazia e gli ideali umanitari. Lo si accusa perfino di aver propiziato il fascismo gettando discredito sulle classi popolari. E la riprova di questo avallo ideologico sarebbe nell'avet egli accettato, pochi mesi prima della morte, la nomina a senatore del Regno. Nomina, peraltro, mai ratificata perché Pareto rifiutò di sottoporre alla Presidenza del Senato i documenti richiestigli. Ritengono i denigratori più zelanti che la sua cruda e naturalistica visione della storia come lotta spietata e avvicendamento di gruppi egemonici che si valgono della frode e della violenza abbia trovato fervido appoggio proprio in quelle minoranze astute e spregiudicate che muovevano all'assalto del potere. Croce, gran patrono della cultura nazionale e avversario accanito della sociologia, definì il Trattato di sociologia generale « un caso di teratologia scientifica », quasi che nel suo capolavoro Pareto si occupasse di mostruosità animali e non di vicende umane. Da molte di queste accuse mi par giusto assolvere Pareto per ricomporre di lui una immagine più aderente alla verità e meno faziosa. Pareto non idoleggiò le minoranze corrotte o crudeli né fu un sadico sociale. Si limitò a constatare, con spunti volterriani, che in tutte le circostanze storiche emergono, in ogni tempo, aristocrazie ristrette che tendono ad amministrare in proprio il potere, sia questo monarchico o repubblicano, liberale o socialista, borghese o proletario, religioso o laico. Se Pareto parla della storia come di un cimitero di aristocrazie, queste élites che circolano non sono quelle del sangue o del danaro soltanto. Egli non ebbe avversione per le classi popolari, non era un politico ma un sociologo in cerca di invarianti all'interno di sistemi sociali. E nelle sue pagine risuonano più frequenti le invettive e gli scherni contro la borghesia infiacchita e declinante che non quelli contro il proletariato vigoroso e in ascesa, generatore anch'esso di nuove élites. Fin che visse fu, come sociologo, misconosciuto, perché andò contro corrente in un Paese dominato dallo spiritualismo e dalla sua versione storicistica. Dovette emigrare dall'Italia nell'ospitale Svizzera. Negli ambienti accademici del nostro Paese l'ingegner Pareto, ex direttore delle ferrovie, economista su basi matematiche, sociologo nato dalle ceneri di attività e studi guardati con sospetto, ebbe poca fortuna. La sua fama giunse in Italia di rimbalzo, dagli Stati Uniti, ove Talcott Parsons, la maggiore autorità in fatto di sociologia, gli eresse nel 1936 un vero monumento scientifico, collocandolo, credo giustamente, tra i classici della nuova scienza. Né si può dimenticare che l'uomo Pareto fu integro e dignitoso, appassionato nel difendere la libertà, fautore del disarmo e della pace, critico severo della censura, amico di uomini come Turati, Einaudi e Salvemini. Quando rileggo Pareto imparo sempre qualcosa. Mi vien sempre fatto di accostarlo all'ultimo Freud, cosi amaro e pessimista. Anche Freud ritenne, negli ultimi venti anni della sua lunga vita, che le pulsioni distruttive e aggressive fossero un aspetto costitutivo e funzionale della vita psichica. Erano entrambi convinti che l'animale uomo occulta i moventi reali di larga parte dei suoi comportamenti. Antimoralistici, infastiditi dalle concezioni edulcorate o melliflue della società, essi appartengono tuttavia a quella famiglia esigua di uomini morali che cercano il senso della loro vita nella chiarezza della conoscenza e non temono quindi le verità spiacevoli. Non diffama l'uomo chi lo indaga. Proprio il contrario dei verbosi e arroganti retori che manipolano i fatti e li vedono soltanto nella luce che a loro torna più comoda. Remo Cantoni
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