RITORNO NELLA TORINO DEGLI ANNI TRENTA di Luciano Curino

RITORNO NELLA TORINO DEGLI ANNI TRENTA RITORNO NELLA TORINO DEGLI ANNI TRENTA Le signorine emancipate In nessun'altra città le donne sono così indipendenti: il pericolo maggiore sono gli allievi della Scuola di guerra, che vanno sotto i portici con la mantellina azzurra - La moda prescrive gonne lunghe a volanti e cappelli a larghe tese - Molte lavorano: commesse, dattilografe, operaie; in qualche borsetta c'è già il pacchetto di sigarette - La ragazza ideale è quella opulenta disegnata da Boccasile, gli uomini "preferiscono le bionde" « Passavano in bicicletta gli operai che stavano nelle ultime case della barriera. Nel viale era pieno di bambini che strillavano fin che c'era un po' di chiaro. Amalia si fermò davanti allo specchio del Bar Americano, e si rifece le labbra e la frangetta». Poche righe di un racconto di Pavese ed ecco un momento della Torino del « Trenta » con una ragazza di quegli anni. Amalia, una « tota ». E' parecchio libera. In nessun'altra città, è noto, le ragazze sono tanto indipendenti. E' un costume che sgomenta le donne della prima immigrazione meridionale. Le madri torinesi, « ciaciarando » con la borsa della spesa sul marciapiede, spettegolano: « I napoli tengono le loro donne in casa ». Sapersi difendere La madre sentenzia: «Una ragazza deve sapersi difendere ». In genere le ragazze sanno difendersi, ma accade che qualcuna, talvolta, preferisca di no. In questi anni è popolare una canzone di Mascheroni: « Adagio, Biagio, questa cosa non si fa, se no del mal facciam...». Comunque c'è sempre qualche ragazza che se la dimentica volentieri. La madre concede alla figlia indipendenza, ma che metta, mio Dio, un po' di giudizio, non faccia la stupida. Indica il pericolo maggiore negli allievi della Scuola di guerra, che vanno sotto i portici con la mantellina azzurra e grossi bottoni dorati, hanno terribile fama di donnaioli. Avverte la madre: « Boton ca luso o ca tenso o ca bruso », bottoni che luccicano o macchiano o bruciano. Amalia si ammira nello specchio del Bar Americano: tutto a posto. Il buon gusto, la semplice eleganza delle donne torinesi è la prima cosa che colpisce il forestiero. Nessuna è ciabattona o trascurata, tutte sanno essere garbate e gradevoli, anche con poco. Passione per le tinte pastello. Per gli abiti da passeggio la moda prescrive gonne lunghe con ampi volanti e cappelli a larghe tese. Le signore hanno il tailleur e naturalmente il cappello, talvolta con veletta. Ci sono signore che non uscirebbero nemmeno sul balcone senza cappello. Nel 1933 si ha a Torino la prima Mostra nazionale della moda. Carola Prosperi, nella pagina « La donna e la casa» de La Stampa, dopo avere letto un romanzo di Aldous Huxley, « scrittore inglese che descrive le stranezze di un mondo al di là da venire in cui le utopie sono diventate tremenda realtà », sembra atterrita dalla prospettiva che un giorno le donne « vestiranno indumenti che si aprono e si chiudono con una chiusura lampo (immagino una di quelle chiusure che si adoperano ora per le bor¬ sette o per le soprascarpe e che si dicono "americane") e un bel paio di pantaloncini... ». Amalia è una ragazza che lavora. Sono tante: commesse, dattilografe, all'Alleanza Cooperativa, ai Telefoni, anche in fabbrica. Ve ne sono di giovanissime con patetiche treccine e le mani arrossate dai geloni, vanno dalle clienti con grandi cappelliere. Sono le « cite » degli ateliers, diventeranno sartine e modiste, « caterinette » che ancora pochi anni fa venivano chiamate «midinettes ». Per la la loro tradizionale festa, scrive La Stampa nel 1933: « Eccole, le nostre Caterinette, frotte garrule, smaliziate e indulgenti, che sciamano per i portici a raccogliere sguardi e occhiatine, la parola pronta, la risposta lesta. Le loro passioni sono il cinema, soprattutto quando vi si possa spremere qualche lacrimetta e un tenero "povr' fleul" per John Gilbert o per Ramon Novarro; i romanzi dove ci sono tante contesse; la camiciola di seta vera; poter andare due volte all'anno dalla manicure. Nella borsetta: il bastoncino del rossetto, il piumino della cipria, una pagina ripiegata con il " figurino " strappato da una rivista di moda, qualche vecchio biglietto del tranvai e una ricetta per smacchiare i guanti ». In qualche borsetta già vi è il pacchetto di sigarette. Manifesti sui muri e pubblicità sul giornale mostrano una donna con il boa e il filo di perle, che fuma con un lungo bocchino. C'è scritto: « La grazia, la bellezza, la gioia dei giorni felici non sono perfette che con il profumo di una Macedonia». Davanti al Bar Americano, Amalia aspetta l'amica Tosca per andare a ballare. Si balla molto in questi anni: fox trot e tango, anche il valzer. Le ragazze ci vanno con i fidanzati oppure tra di loro: due amiche aspettano i giovanotti che vengano a invitarle, sedute al tavolino attorno alla pista di cemento, in fondo c'è il palcoscenico dorato. La grande balera di lusso è la Sala Gay, aperta di pomeriggio agli studenti e alle sartine, di sera ai signori e ai nobili. Si dice che ci vada anche il principe Umberto. Il direttore d'orchestra si chiama Cinico Angelini. Si balla. E' anche un modo per sfuggire a una certa realtà. I personaggi de Gli indifferenti di Moravia dopo essersi tanto dilaniati non se ne vanno tutti a ballare? Una pubblicità su La Stampa; « Volete introdurvi nella vita? Fare conoscenze utili? Essere bene accolti? Ballate. L'ottanta per cento dell'umanità odierna balla. Se temete che sia difficile imparare e non potete frequentare una scuola, iscrivetevi ai corsi di ballo per corrispondenza. Scuola Zucco, Galleria Nazionale, Torino ». Mancano altre occasioni propizie agli incontri, la balera è il posto dove è più facile « attaccare », se non si è timidi o complessati come Pavese, che andava al Fortino e (ricorderà Trevisani) « lungo la Dora, una sera, a vent'anni, Pavese segui una ballerina. L'aveva vista in sala da ballo, era uscito dietro di lei. Non aveva avuto il coraggio o non gli era parso il caso di fermarla. Chissà come sarebbe andata». «Nel riflesr ; verdastro dello specchio Amalia osservò che aveva occhi profondi e crudeli ». La donna è cambiata parecchio in un decennio. Negli Anni Venti era magra, ossuta, tipo cavalla stanca, con gli occhi cerchiati di blu, la camiciola di seta sfiorava piccoli seni freddi. Signore e signorine avevano i capelli corti, alla garsonne. La Garsonne era il titolo di un romanzo molto spregiudicato dì Victor Marguerìtte. Ma ora, nota Longanesi, «Jean Harlow rincuora le donne formose: ritornano in onore i seni pesanti e i fianchi opulenti ». La donna ideale è quella che disegna Boccasile sulla copertina de Ve grandi firme. Nei film della « Cines » Assia Noris indossa pigiama di seta, ed è la fine della camicia da notte. Gli uomini preferiscono le bionde è il titolo di un film, e molte ragazze si fanno schiarire i capelli dalla pettinatrice o si arrangiano con l'acqua ossigenata. C'è qualche reazione del padre. « Un po' di camomilla, nient'altro» mente la madre per difendere la figlia. «Camomilla! Come se la camomil¬ la potesse imbiondire a questo punto». La ragazza lascia brontolare. Si guarda nello specchio e pensa di mandare la sua fotografia a « 5 mila lire per un sorrìso », il concorso che ha sostituito l'elezione della « reginetta» e anticipa quello delle « miss ». Case popolari Amalia abita in una vecchia casa popolare. In questo momento la madre rammenda seduta sulla soglia del ballatoio (lì c'è piìi aria, si può anche sbirciare nelle case delle vicine) o fa il bucato piegata sul mastello posto in mezzo alla cucina, e per qualche ora avrà la schiena rotta e le mani sapranno di lisciva. E' lei che decide e amministra tutte le spese della famiglia. Il marito le consegna l'intera busta paga e lei gli dà quanto basta per sigarette, tram e caffè. Se lei brontola perché si sente un po' trascurata, la risposta del marito è pronta: «Ti do la busta, più di così... ». Quando gli riesce, lui nasconde alla moglie una parte degli extra. Sono donne che hanno partorito in casa con la vicina che faceva bollire l'acqua per la levatrice; che non compe¬ rano nemmeno una manciata di spinaci senza mercanteggiare; hanno esagerata fiducia nell'olio di ricino e chiamano il medico soltanto quando impiastri, decotti e vin brulé si sono rivelati tutti inefficaci. Non è facile in questi anni mandare avanti la casa, arrivare alla fine del mese, e la donna deve essere energica, talvolta dura, ci sono madri che la sorte ha messo in una barca sforacchiata dove ha senso soltanto l'infaticabile furore col quale si tappano i buchi. E' sempre lei che tiene le redini. Ecco la donna di un altro racconto di Pavese: «Cicotto sposò la tabaccaia quasi di nascosto perché lei era vedova e gli diceva sempre che a rimaritarsi avrebbe perduto i clienti. Ma appena maritata mise lui dietro il banco ». Anche nelle case borghesi chi decide e amministra è la madre. Ci sono ancora ragazze che la chiamano « maman ». Il mercoledì sera la figlia dice che va all'Azione Cattolica, in corso Oporto, per la riunione delle propagandiste, che talvolta finisce a mezzanotte. «Maman » si fida: « Una ragazza deve essere libera. E deve imparare a difendersi ». Qualche sera d'estate «maman» e la figlia sono a un tavolino all'aperto del Ligure o del Mogna, con l'orchestrina sul palco e il tenore che alterna vecchie romanze con canzoni recenti. La ragazza sembra attenta a succhiare con la cannuccia la sua granatina, in realtà occhieggia l'ufficiale stretto in una divisa con bottoni dorati. « Maman » se ne accorge e avverte: « E' il busto. Hanno quel bel portamento perché portano il busto ». In piedi, attorno ai tavolini, sono Amalia e altre ragazze che davvero non possono permettersi la granatina sedute. Sventagliandosi per il caldo, ascoltano le canzoni. La radio è un lusso per pochi, è nelle balere e in piedi attorno ai « dehors » con orchestrina che s'imparano i nuovi motivi da canticchiare nell'atelier. Ragazze degli Anni Trenta. « Tote ». Si sposano e diventano « madame » o « madamin». Ecco una questione che non è affatto chiara: com'è che a Torino una signora è chiamata « madama » e un'altra «madamin»? Non si sa. Non dipende dal fatto che abbia o no figli né dal censo né dall'educazione. Non dipende neppure dall'età. Ci sono signore già avanti negli anni che tutti chiamano « madamin », altre ancora giovani sono « madame » per chiunque. Non c'è una regola, non è scritto da nessuna parte, ma un certo giorno una « madamin » per la prima volta viene chiamata « madama », e tale resta per il bottegaio e le commesse, per il fattorino del tram e l'esattore del gas e la modista. Per tutti. E' sempre stato così e lo sarà finché sì parlerà torinese. Luciano Curino Torino di una volta. La giovane dattilografa: nei ritagli di tempo, una rapida occhiata alla rivista femminile

Luoghi citati: Bar Americano, Macedonia, Torino