Silvestro Lega riscoperto di Marziano Bernardi

Silvestro Lega riscoperto RITORNO ALL'800 NELLA MOSTRA DI BOLOGNA Silvestro Lega riscoperto Fu il più originale dei "macchiatoli", tra i ricordi classici e la rivoluzione impressionista (Dal nostro inviato speciale) Bologna, agosto. Dei risultati dell'imponente mostra dedicata questa estate a Silvestro Lega con 142 dipinti e quasi un centinaio di disegni, esposti dallo scorso giugno nel Museo Civico di Bologna, si può fare adesso un bilancio critico. Di tale possibilità dobbiamo essere grati all'associazione « Francesco Francia » che con la Regione Emilia-Romagna (nato a Modigliana nel 1826, romagnolo era il Lega) e il comune bolognese promosse la più completa revisione finora effettuata dell'opera del pittore che dopo Giovanni Fattori gode la maggior celebrità tra i Macchiatoli, E grati particolarmente a Dario Durbé, che con la collaborazione di Cristina Bonagura, ha curato per la mostra un catalogo ch'è la miglior monografìa desiderabile sull'artista. Diamo per scontata la collocazione di Silvestro Lega nella pleiade del non sempre sfavillante Ottocento pittorico italiano, e consideriamo almeno un paio dei suddetti risultati. Il primo è la conferma di quanto già in parte appariva evidente a chi conosce l'opera del grande pittore dalla vita travagliata dai lutti e dalla miseria: una miseria così nera da costringerlo a svendere — quando aveva la fortuna di riuscirvi — per 50 lire ed anche meno quadri e bozzetti che oggi valgono decine di milioni, e ad accettare alla vigilia della morte in ospedale, il 21 settembre 1895, una colletta tra persone caritatevoli. Vita drammatica Poche furono le pause di serenità e di conforto nell'ambiente caldo di affetti della famiglia Batelli nella campagna fiorentina di Piagentina o Pergentìna, e poi, nei tardi anni, delle famiglie Tommasi a Firenze e Bandini al Gabbro nei dintorni di Livorno. Ma il Lega artisticamente più alto non è quello che a contatto con gli amici Signorini, Borrani, Abbati, Sernesi, tra il 1863 ed il '64, e dunque in età già matura, adotta con entusiasmo e strenua volontà la tecnica della « macchia » e se ne vale per una lunga serie di capolavori. Che cosa sia stata, per un tempo relativamente breve almeno nel suo periodo eroico, la « macchia » toscana, « violenta di chiaroscuro e non altro » come dissero i suoi teorici contemporanei, è ben noto. Una tecnica consistente nel profilare « a macchia » scura sulle chiarezze dei fondi luminosi il carattere delle forme intese quali « masse », stabilendo un contrasto di rapporti tonali mediante differenti campiture di colore, appunto come si vedono le persone e le cose non nella luce artificiosa dell'atelier, bensì in quella naturale dell'ambiente aperto. Ma una tecnica che sottintendeva una nuova « poetica », di decisiva importanza per il rinnovamento dell'arte: il passaggio dal convenzionalismo accademico dei soggetti scelti, per lo più d'estrazione letteraria e storica, e della loro rappresentazione plastica, alla realtà di natura studiata e interpretata direttamente « dal vero ». Insomma, l'inserimento di una cultura provinciale, ma straordinariamente originale e spontanea, in quel più vasto fenomeno rivoluzionario europeo che in Francia si manifestò con l'Impressionismo. Della « macchia » Silvestro Lega, pur provvisto dei solidi principi « di scuola » acquisiti con gli insegnamenti del « purista » Mussìni, non immemore degli esempi dell'Ingres, e del Cìseri, e quantunque diffidente delle intemperanti proposte e discussioni dei suoi amici, ed anche infastidito dalle « eterne burle e chiassate » dei frequentatori del famoso « Caffè Michelangiolo », quartier generale dei sovvertitori Macchiatoli, fu assertore intrepido. La usò e la sfruttò con esiti superbi di immediatezza espressiva anche quando il vedere e interpretare « per massa » chiaroscurata, abolendo i particolari ed evitando la finitezza di essi, con l'insorgere nel 1872 e poi con il progressivo aggravarsi d'una malattia d'occhi che alla fine lo rese quasi cieco, da fatto estetico divenne fatto fisiologico. Su questa sciagura, anche più tremenda per un pittore, le opinioni di Diego Martelli e di Telemaco Signorini, entrambi amici intimi e ammiratori del Lega, divergono. Scriveva il primo: «Ora Silvestro Lega lavora accanitamente per quanto una malattia d'occhi lo tormenti da qualche anno, malattia che non gli offende menomamente la vision delle masse, né lo splendore dei colori; tantoché ne' suoi studi arieggia molto alla serena gaiezza degli impressionisti francesi »; e più tardi, nel '95, evocando l'amico scomparso: «A Lui, che aveva la sfortuna in favore, giovò anche una seria affezione alla vista, che al troppo minuzioso scrutinator di dettagli, fece veder le cose più per massa e per tono, con suo grande vantaggio ». Qualche capolavoro Dal canto suo dice il Signorini, sempre nel '95: « ... una grave malattia d'occhi lo ridusse a non vedere nel vero che le larghe masse, i solidi piani, le tonalità generali di una intonazione, coll'abolizione quasi assoluta di quei toni locali, di quelle particolarità di dettaglio, di quelle analisi di forma, che tanto distinguevano gli ultimi suoi quadri dipinti in Pergentina ». Egli si riferisce ai massimi raggiungimenti del Lega, le stupende tele II canto dello stornello, La visita, Il pergolato, La visita alla balia: quadri in cui non si riscontra l'applicazione della « macchia », ma piuttosto lo spìrito dei Primitivi toscani rivìssuto con sentimento moderno e con incomparabile gentilezza pittorica. L'infermità, che secondo il Martelli s'era risolta in una fortuna, veniva dunque ad essere, in un certo senso, una limitazione a parere del Signorini, che nel Canto dello stornello e in altri dipinti dello stesso periodo aveva scorto « la sincerità d'interpretazione del vero reale » e il « sentimento umano dell'epoca nostra». A parte, e tristissima, sta la testimonianza (1920) della signora Giulia Fagioli-Bandini relativa agli anni del Gabbro, 1886-1895: «E qualche volta, colla modella davanti, mi domandava cosa vedevo in una parte in ombra che lui vedeva solo come una massa senza distinguere alcun particolare; oppure mi chiedeva se un colore che aveva sulla tavolozza era un bianco e un giallo, un bleu o un verde, ecc. Mi sorprendeva che, vedendo così poco, potesse fare cose tanto buone e lavorare con tanta passione ». Si pensa al vecchio Renoir produttore di meraviglie con le mani paralizzate dall'artrite. Il secondo risultato della mostra è di avere definitivamente, tramite la grande pittura di Silvestro Lega, « giustamente situato e proporzionato » — come scrive il Durbé riferendosi al citato accenno del Martelli — la posizione del Macchiaiolismo toscano nei confronti dell'Impressionismo francese: per molto tempo fraintesa dallo sciovinismo critico di autorevoli studiosi italiani, proclivi a ingigantire l'importanza della « Macchia » rispetto alla « Impression » ed a rivendicarne la priorità. L'una e l'altra sono due aspetti dello stesso fenomeno, di un'esigenza di libertà che rivoluzionava il corso dell'arte. Ma nemmeno il Lega più « macchiaiolo » è un « impressionista »; e mentre il primo aspetto si esauriva in un ambito provinciale, il secondo si dilatava nell'intera Europa. Marziano Bernardi

Luoghi citati: Bologna, Emilia, Europa, Firenze, Francia, Livorno, Modigliana, Romagna