La pentola in soffitta di Luciano Curino

La pentola in soffitta La vita moderna allontana la donna dalla cucina La pentola in soffitta Oggi trionfano le scatolette anche se il mercato librario offre un numero sempre maggiore di pubblicazioni gastronomiche - Scompaiono le ricette preziose - Racconti e consigli degli scrittori-buongustai «Alla felicità del genere umano contribuisce più la scoperta di un piatto nuovo che la scoperta di una nuova stella» disse il nobile BrillatSavarin. Per quest'uomo l'invenzione della maionese fu evento assai più importante che i viaggi di Vasco de Gama. Fu gastronomo sommo, ma oggi vivrebbe una vita di quieta disperazione. Rassegnato anche lui ad aprire scatolette. Aprire scatolette è una necessità. E' lo spirito di conservazione che ce le fa aprire. Si sa che la vita moderna ha fissato un orario per la donna, e in questa tabella di marcia poco tempo resta per la cucina. Se si vuole fare una decente anatra brasata con piselli e lardoncini ci vuole una giornata. Dimentichiamocela quest'anatra. E uno stoccafisso non richiede almeno due giornate? Pochissime sono adesso le donne che hanno a disposizione le ore necessarie per una panissa. Vogliamo un risotto con le rane? Il Veronelli ci insegna: «500 grammi di riso arborio o violone, ben nettato, ma non lavato. 36 rane pronte per la cottura...». Ma il Veronelli non ci dice quanto tempo e perizia occorrono per «preparare» le rane. Dimentichiamoci anche questo risotto. La donna non ha affatto tempo per preparare le rane, operazione tra l'altro crudelissima, e apre scatolette. Quando si è sposata le hanno regalato libri spessi un palmo, fitti di ricette: cucchiai d'argento e talismani della felicità. Qualche altra ricetta particolare, un segreto di famiglia, gliela ha scritta la madre su un foglio di carta a quadretti. Ma una amica pratica e realista ha regalato un buon apriscatole. Che è diventato arnese indispensabile nella cucina, dove se mai sono gli uomini, oggi, che preparano piatti complicati e che richiedono tempi, lunghi. La cosa si spiega. Una donna che lavora, rincasa e la aspettano cento faccende domestiche, non ha davvero il tempo per un vitello al latte. O per i tordi col risotto. Insegna Veronelli: «Spenno i tordi e li netto; elimino gli occhi e la parte inferiore delle zampette. Faccio imbiondire la cipolla...». Quante donne hanno tempo per queste cose? L'uomo, invece, lavora e poi ha il tempo libero, e per molti di loro la cucina è un hobby. La cucina, comunque, decade e se si vuole una pasta e fagioli si va al ristorante, perché non la si può pretendere dalla moglie. E mentre l'arte culinaria decade e si mortifica in un riso al burro e in uova al tegamino, escono continuamente libri di alta gastronomia. Edizioni lusso o tascabili. In dispense settimanali. Inserti dei giornali femminili. Vanno a trovare antiche ricette che hanno fatto favolosi i banchetti dei signori del Rinascimento. Propongono i filetti di pesce persico con burro fuso all'erba salvia o le lumache trifolate. Scorrete l'indice e vi vengono le lacrime agli occhi pensando a un paradiso perduto. Gli autori incrudeliscono cercando le ricette più raffinate e più ghiotte. Senza pietà, aggiungono fotografie. Tavolate con la faraona alla creta, mostarda e tortelli. Le fondute e le salse e la selvaggina sapientemente trattata. Ascoltate questa dicitura: «Gamberi, rane, pesce persico e funghi trionfano nel risotto alla certosina...», e guardate la fotografia a colori — un vero trionfo — ma poi vi mettete a tavola e se vi va bene c'è uno spezzatino. Questi libri di culinaria (l'ultimo uscito è di Brera e Veronelli sulla cucina lombarda) sono motivo di supplizio soprattutto per le illustrazioni a colori, che hanno raggiunto la massima perfezione, si che quasi quasi senti il profumo di certi brasati e arrosti e l'occhio della trotella è ancora vivace, vedi una goccia di rugiada sulla verza e perfino una polenta taragna ci appare un bene irrimediabilmente perso. Guai a sfogliare questi libri prima d'andare a tavola. Dice Veronelli: «Lavoro l'impasto e lo faccio riposare; col mattarello tiro sfoglie piuttosto sottili...». Basta: in quante case c'è ancora un mattarello? Insegna Veronelli: «Spiumo le allodole...». Beato lui. Noi apriamo una scatoletta. Ci vuole una vita per preparare una terrina di tacchinel- la. O bisognerebbe avere un buon cuoco professionista. Ma ciò poi sempre da fidarsi dei cuochi? Il Brera racconta nel suo libro un episodio preoccupante. Una nobile famiglia milanese aveva un cuoco assai capace, insuperabile nella piccata. Però il brav'uomo beveva, e per questa debolezza furono costretti a licenziarlo. Prima che se ne andasse, gli chiesero di cucinare ancora una volta la sua famosa piccatala. Mentre egli armeggia ai fornelli «da due differenti serrature, nonna e figlia contesse stanno sbirciando in cucina per rubare il segreto di quel portento. Il cuoco prepara la polpa francese, il prezzemolo, tutto; mette il burro e l'olio in padella, frigge il vitello quanto basta, poi, prima di aggiungere il vino e prezzemolo, ritira la padella dal fuoco e ci fa, chiotto chiotto, una pisctatina. Le due nobildonne non svengono perché lo sdegno è più forte dell'orrore». Naturalmente, nessuno mangiò quella piccatala. E tutti, nella nobile famiglia, ancora oggi si stanno chiedendo: « Fu vendetta estrosa dell'ultimo giorno o semplicemente una fase d'obbligo nel¬ la cucinùtura della vivanda, per anni e anni gradita?». L'episodio è autentico e lo raccontiamo se non altro per rendere più accettabile la scatoletta. Luciano Curino Indecisa sull'acquisto ai grandi magazzini: soltanto scatolette?

Persone citate: Brera, Vasco De Gama, Veronelli