Fine dei Ciclopi di Francesco Rosso

Fine dei Ciclopi ACITREZZA DEVASTATA Fine dei Ciclopi (Dal nostro inviato speciale) Acidezza, agosto. Uno degli angoli più suggestivi della Sicilia orientale, la Costa dei Ciclopi, sta scomparendo; anzi, è già stata in gran parte cancellata da una cieca, furente speculazione che non ha rispetto per nulla, nemmeno per le sue memorie più venerabili. Lo scempio incomincia appena fuori Catania; Ognina era già da anni ingoiata dal cemento, i « milanesi del Sud » andavano a trascorrere brevi fine settimana, anche solo una grande abboffata serale di pasta con le sarde, negli infiniti ristoranti a specchio del mare. Cannizzaro, Acicastello, Acitrezza parevano ancora troppo lontani, e scomodi; nemmeno un ristorante chic, né un night club. Dovettero attendere alcuni anni e una compiacente amministrazione comunale, poi la corsa al calcestruzzo divenne irrefrenabile; persino le scogliere contro cui s'infrangono da sempre i marosi sono state distrutte per costruire passerelle di legno, stabilimenti balneari, bar, piazzole-parcheggio per automobili. Me ne avevano parlato a Catania, e ci sono andato per vedere se quanto avevo ascoltato era vero; nessuna descrizione può dare l'immagine di ciò che è accaduto e sta accadendo lungo la Riviera dei Ciclopi, soprattutto ad Acitrezza, 10 scenario quasi sempre idillico, percosso dalla tragedia quando il mare si scatena, in cui Verga ha ambientato I Malavoglia. Fino ad alcuni anni addietro, proprio perché un poco discosto, il villaggio di pescatori era stato risparmiato. Ricordo un viaggio, nemmen tanto lontano nel tempo, e la conversazione col proprietario di una delle pochissime trattorie di Acitrezza. Gli domandai dov'era la «casa del Nespolo». Mi guardò con occhi straniti, come se parlassi una lingua incomprensibile. « I Malavoglia, Verga », continuai. Scosse il capo. Ripiegai su La terra trema, di Visconti. Ebbi più fortuna; ricordava attori ed attrici venuti ad Acitrezza per girare il film; di Verga, però, nemmeno il nome conosceva. Alcuni anni dopo, tornando ancora ad Acitrezza, notai un ridestato interesse per 11 celebre romanzo ed il suo autore; sulla facciata di una casa accanto alla chiesina era stato murato un bassorilievo che rappresentava le donne dei Malavoglia mentre piangono per la perdita della « Speranza », affondata durante la procella. Il villaggio, però, era sempre lo stesso, con le casine dei pescatori dipinte di teneri colori, rosa, giallino, bianco, aggrappate come timorose pecorelle attorno alla chiesa dalla facciata verde pistacchio. Sul lungomare c'era ancora la vecchia trattoria, ma poco lontano era già sorto un ristorante di qualche pretesa. Questo accadeva cinque anni addietro, ed anche se un alberghetto era stato costruito sul fianco della collina, pareva che la Costiera dei Ciclopi potesse salvarsi dalla distruzione. Ora Cannizzaro, Acicastello, Acitrezza vanno al diavolo, benedetti alle esequie da inerti sindaci ed assessori laici e cristiani. Acicastello è una fungaia di edifici nuovi contro cui la mole turrita del vecchio rudere fa la figura del parente povero appena tollerato; Cannizzaro, forse l'insenatura più pittoresca del Lido dei Ciclopi, è un cantiere fervido di opere edili, col cielo trafitto da foreste di gru. Ma l'offesa più oltraggiosa l'ha subita Acitrezza, trasformato in assordante babele di juke box, discoteche, ristoranti, pizzerie, night clubs tutti installati in casermoni moderni che umiliano con la loro altezza e pretenziosità i tre coni di pietra nera che, un tempo, giganteggiavano appena fuori dalla rada. Dicono le antiche storie che siano macigni scagliati da Polifemo contro Ulisse che fuggiva dopo averlo accecato; inutile tentativo di vendetta, allora ed anche oggi: se dall'Etna vicina si ergesse un nuovo polifemo, nulla potrebbe contro i devastatori di Acitrezza. Ad una ad una, le case dei pescatori sono scomparse, al loro posto son sorti goffe villette, albergoni, condomini. La casa sul cui muro era stato posto il verghiano bassorilievo, ha resistito, ed anche il bassorilievo si è salvato, ma per subire la peggiore delle umiliazioni; proprio in verticale, e delle stesse dimensioni, è stata murata la pubblicità di una birra. Passeggio sul lungomare, e non saprei dire che cosa accade attorno a me. I neri scogli di lava sono pressoché scomparsi: ristoranti, bar, alberghi li hanno ingabbiati in passerelle di legno perché i clienti arrivino più comodamente alle acque a fare i bagni, oppure per sistemare tre tavolini e sei sedie per clienti cui piace il traffico ed il frastuono. Dov'era la vecchia trattoria con pergolato ove avevo sostato anni addietro, ora sorge un Grand Hotel, una strana costruzione, due torrioni tondeggianti, in cemento grezzo, sormontati da cupole che sembrano le torrette mobili di un fortilizio. Forse, l'architetto che ha ideato questo gioiello temeva rinnovati assalti di corsari dal mare? Oltre l'albergo-fortezza che incombe sul mare e minaccia i tre umiliati ciclopi di pietra, dilagano i condomini con vista sul mutilato lido. Alcuni autocarri trasportano ghiaia, pietroni e terriccio e riempiono i vuoti tra scoglio e scoglio, fino a ricavarne vasti spiazzi; tra non molto saranno asfaltati per consentire la sosta delle automobili in arrivo da Catania, sempre più numerose e colme di turisti scamiciati, o anche per sistemare il dehors di una gelateria. Non c'è da gridare allo scandalo, il governo regionale fa di peggio col denaro pubblico. Dopo aver allungato di cinquanta metri la banchina orientale, che già esisteva, ha fatto costruire una banchina occidentale spendendo 150 milioni. Se davvero fosse servita per riparare le barche dei pescatori dalle tempeste, nulla da eccepire; ma dopo avere speso tutto quel denaro si sono accorti che quando il mare infuria, le onde arrivano fin sulla strada nazionale e trascinano via le barche. Da qui la necessità di allungare la banchina occidentale ed alzarla di circa due metri. Ma già che ci siamo — ha detto qualcuno ad Acitrezza, subito ascoltato nel municipio di Acicastello — facciamo anche una bella banchina, addirittura una piazza in cemento che allarghi il lungomare. La grande spianata in cemento è già ultimata e riverbera un calore feroce sotto il sole d'agosto; è una piazza di dimensioni cospicue, sufficientemente vasta per ospitare i tavoli di un buon numero di caffè e ristoranti. Tuttavia questo dilagare del cemento nel mare di Acitrezza non basta ancora; la voglia di distruggere la scogliera pare proprio non abbia limiti. E' rimasta una fettina di spiaggia ancora intatta, con la sabbia nera, tutta lava colata dall'Etna che il mare ha frantumato durante i millenni. Quando c'è maltempo i pescatori, nonostante l'inutile porto, tirano in secco le barche su quel lembo di spiaggia scampato finora al calcestruzzo. «Però quella sabbia proprio davanti alla chiesa non sta bene; quando sarà ultimata la banchina, e la spianata sarà finita, chiederemo alla Regione di coprire col cemento anche la spiaggia ». Ad esprimersi così è il signor Giovanni Castorina, consigliere municipale, rimpatriato da poco dall'Argentina. Egli ha ancora negli occhi le costruzioni razionali di Mar del Pia¬ ta, tutto nuovo e squillante; vorrebbe che anche Acitrezza fosse rilucente di cementi nuovi. Egli ha brigato molto a Palermo per favorire i pescatori di Acitrezza, bisogna riconoscergli questo merito; però non trova nessuno che lo consigli sul modo migliore per conciliare l'antico col moderno. Per esempio, egli sostiene che bisogna « ammazzare il mare », cioè renderlo inoffensivo anche durante i più violenti fortunali, ma in che modo? « Semplice, facciamo costruire grandi blocchi di cemento e li buttiamo a mare dinanzi alla scogliera, otto o dieci metri più in là. Questo sbarramento ammazzerà il mare ». Però, tra sbarramento e scogliera si formerà una sorta di laguna inondata da acqua marcia. «Bene, riempiremo anche la laguna ». Non passerà gran tempo, e tutta la scogliera da Cannizzaro, passando per Acicastello, fino ad Acitrezza, sarà cancellata totalmente da un lungomare asfaltato, e poiché il desiderio di strappare sempre più spazio al mare crescerà col tempo, non è lontano il giorno in cui si arriverà alla base delle tre cuspidi di pietra nera a piedi, per tentarne la non difficile scalata con scarpe da passeggio. Ormai più nessuno riuscirà ad arrestare questi signori « bene intenzionati » nella loro corsa alla distruzione di uno dei più affascinanti angoli d'Italia; le accuse che La Sicilia rivolge quasi quotidianamente al sindaco Giuseppe Fedito cadono in una palude di silenzio e le costruzioni continuano a crescere; si direbbe che ognuno abbia licenza di distruggere la Costiera dei Ciclopi. Un esempio, sempre ad Acitrezza. Una signora si è fatta ricostruire la casa, ed è avanzata di un bel po' sul fronte della strada, anziché allinearsi con gli edifici preesistenti. Perché? le è stato domandato. « Mi piace guardare il mare — ha risposto —. Allineandomi alle altre case non avrei potuto vederlo». Ad Acicastello, lo stesso architetto che deve aver costruito l'albergo-fortezza di Acitrezza, ha ideato un gruppo di villette plurifamiliari anch'esse formate da cilindri legati l'uno all'altro, ognuno sormontato da una cupola simile a torretta girevole; resta un mistero il criterio con cui le autorità hanno dato la licenza di costruzione per edifici perlomeno discutibili. Ma ad Acitrezza, a Cannizzaro, soprattutto ad Acicastello ove c'è il Comune con sindaco e giunta, trovano che tutto è normalissimo. Verga, i Malavoglia, i Ciclopi, i Faraglioni? Nomi bellissimi, sicuramente redditizi; infatti c'è inflazione di alberghi, bar, stabilimenti balneari che si sono impadroniti di quei nomi. L'Etna ha inondato più volte di lava queste contrade, ma non è mai stato distruttivo come le colate di calcestruzzo dei moderni ciclopi. Francesco Rosso