I boss del sequestro Rossini fuggiti per evitare la cattura di Franco Mimmi

I boss del sequestro Rossini fuggiti per evitare la cattura Qualcuno ha "parlato,, sulla vicenda di San Marino I boss del sequestro Rossini fuggiti per evitare la cattura II magistrato ha già spiccato contro due persone l'ordine di arresto - In carcere vi sono cinque pastori sardi: alcuni avrebbero fatto importanti ammissioni: "Eravamo nella villa del medico per ritirare pecore" (Dal nostro inviato speciale) Arezzo, 14 agosto. «Radio carcere» non funziona solo per i detenuti. Con la voce segreta della prigione le notizie talvolta varcano le mura verso l'esterno, come questa volta, e questa volta la voce è davvero esplosiva: alcuni dei cinque detenuti ad Arezzo per concorso in sequestro di persona hanno ammesso che la sera del 28 giugno si trovavano a Ca' Rinalda di Chiesanuova, a San Marino, alla villa dei Rossini. Si sarebbero trovati là, secondo loro, non con l'intenzione di rapire il medico e sua figlia Rossella, ma per prendere alcune pecore. Questa «confidenza» sarebbe stata fatta da un paio dei pastori sardi detenuti al sostituto procuratore dottor Marsili, il quale naturalmente alla storia delle pecore ha sorriso. Ma anche i pastori sardi l'avevano raccontata sorridendo. Non speravano certo di essere creduti: non si va a prendere delle pacifiche pecore armati di mitra e bombe a mano. Chi racconta una storia simile, tuttavia, sa benissimo di aver rappresentato nella vicenda semplicemente la parte dell'esecutore, e sa altrettanto bene che agli inquirenti interessano soprattutto i «pezzi da novanta» dell'organizzazione. Chi desse una mano a condurre a quella meta potrebbe sperare, in sede processuale, in un trattamento non troppo duro, in nome della collaborazione prestata alla giustizia. Dunque, si sa già chi c'era, degli imputati, la sera del rapimento. E si sa anche chi erano gli altri, quelli cui la labilità degli indizi concede ancora la libertà. Ma il quadro è pressoché completo, e il dottor Marsili ha dichiarato che altri due ordini di cattura sono già stati emessi. Essi, tuttavia, non hanno ancora avuto esecuzione: chi doveva essere catturato si è dato alla macchia, confermando cosi i sospetti che gli gravano addosso. «La situazione maturerà ancora — ha detto il magistrato — lino al 16 o al 17 del mese. Poi sarà l'inizio della line. E non per la "manovalanza", ma per i capi della banda». E intanto la «manovalanza» in carcere aumenta. Il quinto detenuto è giunto stamane. Si chiama Sebastiano Fiori, detto «Bastiano». E' l'uomo che nei giorni scorsi veniva interrogato a Nuoro in relazione all'alibi di Giovanni Spiga, l'intestatario del furgoncino sospetto. Il Fiori risulterebbe incensurato; di lui si sa che abbandonò il continente per tornarsene in Sardegna proprio mentre i Rossini venivano rilasciati. «In carcere ad Arezzo, tuttavia — ha detto Marsili — non ci starà molto, e anche alcuni degli altri quattro. Nei prossimi giorni saranno spostati quasi tutti, mandati in carceri diverse perché non possano chiacchierare troppo». I cinque, in effetti, si trovano ora su posizioni nettamente contrastanti, ma se restassero nello stesso carcere potrebbero stabilire una comune linea d'azione, chi ha cominciato a parlare potrebbe tornare sui propri passi, sperando che gli indizi fin qui raccolti siano troppo fragili per una condanna. Indizi, d'accordo, ma come dice il colonnello dei carabinieri, Domenico Tumminello «gli indizi cominciano a diventare molti, un po' troppi», per non assumere un peso determinante. Tanto il colonnello quanto il dottor Marsili sono soddisfatti dell'esito della «ricognizione» effettuata ieri a San Marino e nel corso della quale i due Rossini hanno avuto agio di esaminare il furgoncino che si sospetta sia servito al rapimento. Il magistrato ha detto che il rumore del motore, la capienza del cassone, lo stato trasandato della carrozzeria corrisponderebbero. E' ovvio che i Rossini non possono giurare che si tratti proprio dello stesso veicolo: troppo precarie erano le condizioni nelle quali dovettero cercare di carpire alcuni particolari, ma proprio per questo gli inquirenti sono soddisfatti di come è andata la prova. «Sapevamo benissimo — ha dichiarato il colonnello Tumminello — che non avrebbero mai potuto affermare: "E' questo". Ma, "non è questo" avrebbero potuto dirlo e invece non l'hanno detto. La ricognizione per noi è andata bene, davvero, e possiamo proseguire convinti che la nostra traccia è quella giusta». Con la riaffermata convinzione di seguire una pista sicura, gli inquirenti hanno dato nuovo impulso alle indagini. Attualmente tutta l'Italia Centrale viene accuratamente setacciata, e si sa per certo che alcune persone, per quanto non colpite da ordine di cattura, si sono affrettate a tornare in Sardegna. I carabinieri in questa immensa battuta si trovano a dover af¬ frontare difficoltà grandissime: i luoghi sono aspri, c'è l'omertà, la paura, che sono ostacoli difficili da superare. Eppure ogni giorno il muro del silenzio si incrina un po', ogni giorno si intravede, al di là di quel muro, qualcosa di più: qualcosa, qualcuno, che ha usato la barriera sarda (una barriera cementata dai disagi, dal timore, dalla atavica esperienza della morte quale unica ricompensa, per chi collabori con la giustizia) per coprirsi, per farsene uno scudo e uno strumento. I carabinieri hanno svolto sin qui un lavoro, che ha permesso di far convergere i sospetti su alcuni sardi del For¬ livese, in contatto con quelli di Firenze, che ha permesso di indicare il furgone e di provarne l'esistenza a San Marino nei momenti cruciali del rapimento, che ha permesso di individuare altre auto sospette sulle quali vengono effettuati attenti controlli. Ora debbono affrontare il lavorc più difficile, quello al quale si oppongono non solo il silenzio e la paura, ma anche il denaro e la potenza: stabilire quali fossero i collegamenti della banda dei sardi con ben altri ambienti. Ambienti italiani? Ambienti di San Marino? E' presto per dirlo, perché il magistrato lo dica occorre ancora qualche giorno. Solo qualche giorno. Franco Mimmi San Marino. Il dottor Rossini, a sinistra, con la figlia giudice Viroli (telefoto)