Le memorie del sukida "tragedia con 5 delitti"

Le memorie del sukida "tragedia con 5 delitti" L'ex ergastolano che non parlava mai Le memorie del sukida "tragedia con 5 delitti" La sorella lo ha ospitato per 5 anni a Carrara: usciva solo la domenica, andava a firmare il registro dei carabinieri - Nessuno è riuscito a parlargli, poi s'è tagliato la gola - Fu un ragazzo-assassino: a 13 e 16 anni (Dal nostro corrispondente) Massa Carrara, 13 agosto. La casa popolare di S. Luca, alla periferia di Carrara, nella quale abitava con la sorella Liliana, professoressa di lettere, Giorgio William Vizzardelli, l'ex ergastolano graziato cinque anni fa e uccisosi sabato notte con una coltellata alla gola, è stranamente silenziosa: non si sente una voce di bambino, non un richiamo, è come se fosse disabitata. E' inutile bussare alle porte degli appartamenti, nessuno apre, risponde. Anche la sorella di Giorgio William Vizzardelli ha sbarrato la porta e aspetta in silenzio che la gente dimentichi nuovamente il fratello. «Lasciatelo in pace», ci ha risposto, quando abbiamo telefonato. «Ha sofferto tanto. Ora è morto, ha il diritto di essere lasciato stare». Tutta la famiglia ha pagato per Giorgio William Vizzardelli. I suoi delitti furono atroci, delitti di un ragazzo che fu preso, condannato, diventò uomo, fu graziato, si è ucciso. Ma gli altri? Il padre è morto, dopo la lunga lotta per la grazia, quando Giorgio stava per uscire; la madre. Maria Albina Santagnello, è morta nel 1946, a Pietrasanta; quattro mesi dopo, il fratello Walter fu dilaniato da una mina tedesca; gli altri due fratelli sono scomparsi, nessuno sa dove sono andati a vivere. Erano rimasti Giorgio e Liliana. Famiglia della media borghesia, quella dei Vizzardelli. In regola con le tradizioni, che volevano i figli studenti e la madre casalinga. Il padre è direttore dell'Ufficio del Registro, la madre, una piccola proprietaria di terre, nel Meridione, fa la casalinga, i figli studiano. Giorgio William è il più intelligente e il più vivace. A Sarzana, dove la famiglia è andata a stare, Giorgio passa dalla scuola di Stato a quella dei salesiani. Ha compiuto i 13 anni, ma è alto e robusto, come un uomo. Non ama i suoi insegnanti, pensa che derubarli sia giusto, perché li ritiene parassiti. Così si arma con una «Glisenti» calibro 9, rivoltella che usava per dimostrare ai compagni qvanto era abile nel tiro a segno, e va a rubare, ma è scoperto: incontra il direttore, padre Umberto Bernardelli, e lo uccide con quattro colpi a bruciapelo. Scappa, ma sulla sua strada incontra padre Bruno e l'uccide. Un altro — l'ingegner Vincenzo Montepagani, che insegnava matematica nel collegio — fu arrestato e processato. Lo stesso Vizzardelli si presentò a testimoniare in suo favore. Montepagani fu così assolto, dopo che il p.m. aveva chiesto la condanna a morte, mediante fucilazione alla schiena. Un anno e mezzo più tardi, il 3 giugno 1938, con quella stessa rivoltella Vizzardelli ammazza il barbiere Livio Delfini, 21 anni, che lo ricattava, e il barista ventitreenne Bruno Veneziani, attirandoli con uno stratagemma in una località isolata — Falcinando — alla periferia di Sarzana. Poi, l'ultimo delitto: il 29 dicembre 1939. Vizzardelli ha da poco compiuto 16 anni. Penetra nell'ufficio del padre per rubare 12 mila lire, gli servono a espatriare clandestinamente, su una nave, negli Stati Uniti. Lo scopre il custode, Giuseppe Bernardini, 74 anni, Vizzardelli afferra una scure che era su un mobile dell'ufficio e lo uccide. La sera stessa, il padre si reca dal commissario di Sarzana: «Mio figlio non è rientrato — dice —, ho il presentimento che gli sia accaduto qualcosa». Le indagini prendono la via giusta. Giorgio Vizzardelli è trovato, ha con sé le chiavi dell'Ufficio del Registro, sulle chiavi vi sono tracce di sangue. Si scopre il cadavere del Bernardini, il ragazzo confessa. Venne il processo, la pena di morte fu commutata in ergastolo, per la minore età. In carcere Vizzardelli cambiò. Studiò, conseguì la maturità classica, imparò le lingue, tradusse Shakespeare. Il 30 luglio '68 — il padre era morto da pochi giorni — Vizzardelli ottenne la grazia. Quando arrivò nella caserma dei carabinieri di Carrara, dopo la liberazione dal manicomio criminale di Reggio Emilia, Vizzardelli era un automa, si muoveva a piccoli passi, senza dire parola, impassibile, come sordo e muto. Da quel giorno, per cinque anni, Vizzardelli è uscito di casa soltanto la domenica mattina, prima delle 8: andava alla caserma dei carabinieri, rispondeva con un cenno al saluto dell'appuntato, firmava il registro dei vigilati speciali, tornava in silenzio. Per cinque anni, Giorgio William Vizzardelli non ha cercato gli altri uomini, nessuno ha parlato con lui, nessuno sa cosi come era, dopo 29 anni di carcere, per i cinque omicidi compiuti quand'era ancora ragazzo. Si sa che scriveva, forse un memoriale. Marco Oleggini, consigliere comunale de di Carrara, che lo conobbe prima dei delitti, dice di Vizzardelli: «Da ragazzo aveva un'intelligenza superiore alla normale. In carcere aveva studiato, per rifarsi una vita. Non capisco come abbia potuto uccidersi. Forse era giunto alla conclusione che il suo debito con la società era così grande da non poterlo saldare che con la morte. So che stava scrivendo un'opera teatrale sulla sua vicenda. Mi aveva fatto firmare un documento. Nell'opera sarebbe stato fatto anche il mio nome, poi non ho saputo più nulla». Che cosa ha scritto l'ergastolano che s'è ucciso non appena libero? e. s.