Nixon e i giornali

Nixon e i giornali WATERGATE: UN'OPINIONE CONTROCORRENTE Nixon e i giornali Scorrono sulle reti televisive americane le onde che riflettono quasi in ogni casa le udienze della commissione parlamentare sullo scandalo « Watergate ». Si vuol sapere da testimoni, il cui interesse è naturalmente fortemente coinvolto nell'uno o nell'altro senso, se Nixon sapeva dello scasso avvenuto alla sede del partito democratico, se ha ordinato di soffocare lo scandalo, o semplicemente se ne era al corrente. Il paradossale è che quelle onde scorrono dalle case degli interessati statunitensi in quelle di casa nostra, mentre ncn ci risulta che Tom Ponzi o Beneforti o la commissione antimafia siano all'ordine del giorno della nostra tv, né facciano titolo di prima pagina. Superiorità della democrazia americana, che sa andare a fondo, diranno gli uni; ma molti altri, forse i più, diranno invece: vedete dove sono i veri corruttori del mondo? La reazione morale Tutto ciò non è dovuto a prava malvagità; è soltanto un naturale sottoprodotto della tendenza che induce un giornalista democratico inviato all'estero a identificarsi con la stampa del Paese, la più influente e la più all'opposizione. Si dice che all'origine ci sia il puritanesimo americano. Il moralismo, il legalismo. Anche se su questo si esagera (non dimenticherò mai una certa lezione di Salvemini in argomento), una genuina reazione morale c'è stata. Lo scasso del «Watergate » non era solo un reato, ma offendeva un certo tipo di decenza, la difesa della privacy, cui, malgrado tutta la permissività, molti americani ancora sono sensibili. All'origine, dunque, reazione morale autentica. Quanto diffusa? Quanto popolare? In verità, tutta la letteratura poliziesca americana è piena di simpatici « Perry Mason » che entrano con chiavi false in appartamenti altrui, si servono di registrazioni all'insapu¬ ta dell'avversario, quando non vuotano le tasche del cadavere trovato nell'appartamento: a fin di bene, s'intende. Ma tranne che nella favola, la morale ortodossa rivendica a quel che pare i suoi diritti. Fin qui avremmo solo, comunque, una morale disarmata. Niente di simile a una campagna tipo Zola o Colone! Picquart per Dreyfus. La morale prende corpo perché si allea a un potere: la stampa. E' la stampa, la grande stampa, particolarmente i suoi corrispondenti a Washington, non i giornaletti underground, che attaccano il Presidente per « Watergate ». E certo è un dovere della stampa dare voce alle reazioni morali e legali. Ma, mentre sul caso bisogna conservare la freddezza dell'investigatore, sull'assenza di passione e di interessi da parte del potere che si è investito dell'azione moralizzatrice, bisogna porre serie riserve. Dall'assassinio di Kennedy in poi. Casa Bianca e stampa sono state spesso ai ferri corti. Divisa al tempo di Roosevelt (la concentrazione delle testate lì c'è stata sul serio) ha nell'assieme rispettato la figura « paterna » di Elsenhower, ma non senza che c'entrasse qualche preoccupazione per le campagne di Goldwater; e con Kennedy ebbe la sua èra d'oro, quando per filo e per segno si sapeva com'erano andate le cose per Cuba. Poi venne Johnson; ma l'ostilità a Johnson, che fu discretamente diffusa, era prima dell'underground poi della grande stampa; si confondeva con i rancori per l'ingrossarsi della guerra nel Vietnam (e, perché no, dell'emancipazione rapida dei negri?). L'ostilità a Nixon ha radici più antiche: non solo nel rancore che sia stato necessario chiamare un conservatore per mettere assieme i cocci rotti in un'epoca di mode progressiste (il rancore per l'uomo Nixon, lo ha scritto Alsop, corrisponde da par¬ te democratica al rancore repubblicano per l'uomo Roosevelt, e l'uno e l'altro accecano). Ma nel timore di quanti erano stati una forza con Roosevelt, avevano morso il freno nel periodo goldwateriano, e ora temevano, da forza quasi dominante com'erano apparsi nel periodo Kennedy, di tornare quali sempre erano stati in America, minoranza critica con scarsa influenza diretta in politica. / telefoni sorvegliati Quando si dice questo, e cioè si accenna alla passione con cui il « potere » dei mass media si gettò sul «Watergate», non si vuol dire che dovessero venir taciute o minimizzate le rivelazioni dei già condannati per lo scasso al partito democratico; si vuol ricordare che si è fatta colpa alla Casa Bianca di aver usato le precauzioni più elementari. Che Kissinger, prima di recarsi in Cina, facesse sorvegliare un certo numero di telefoni, era il meno che si potesse chiedere per una operazione come questa, di cui ora gli americani, New York Times e Washington Post compresi, godono i vantaggi. Che il sottrarre un documento di Stato come il dossier McNamara sia assolto dal fatto che qualcuno nell'esecutivo abbia poi cercato di conoscere la cartella clinica del ladro pacifista, è almeno contraddittorio. Siamo in presenza, riconosciamolo, della lotta di un potere contro un altro potere. Ma in un conflitto tra un potere dì opinione, come i mass media, e un potere di forza, come l'esecutivo, non poteva non entrare, e come comprimario, un terzo potere: il legislativo, con la commissione d'inchiesta parlamentare. Anche chi ha una vaga idea della storia americana sa che si tratta di poteri separati, cooperanti ma rivali; e che solo la grande crisi del 1929 e le due guerre mondiali hanno fatto del Presidente americano quel signore della guerra e della pace che per forza è. E noto è il desiderio di rivincita del legislativo. Ma, nonostante le grandi parole, questo procede con cautela. Sa di non poter forzare l'esecutivo, fuori dei casi stabiliti dalla legge: e controllare dall'interno l'esecutivo, stabilendo se vi sia stata in seno ad esso prevaricazione contro la giustizia oppure decisione politica, non gli spetta, tranne il caso in cui si decidesse a iniziare la procedura di impeachment. Se mai spetterebbe al terzo potere legale, la Corte Costituzionale, decidere; e non gli sarebbe facile. Anche qui, è discutibile che la commissione voglia spingere a fondo la lotta per il potere parlamentare. Più probabilmente cerca una rivincita, che è fino a un certo punto legittima (se si pensa al modo con cui furono utilizzati da Johnson i « poteri speciali » per il Vietnam). Ma questa rivincita, saggio o no che sia stato, l'ha trovata piuttosto in un'azione come quella che nega i poteri di bombardamento in Cambogia a Nixon, che in un'improbabile azione giudiziaria, che lascerebbe o il Paese senza capo per le prossime battute internazionali, o il Congresso con minor credito di oggi. Solo ragioni che fossero strettamente connesse alla validità stessa del suo potere consentirebbero moralmente al Congresso di trascinare in un processo morale un Presidente impegnato nella difficile lotta per una tregua mondiale quale è Nixon. Certo, l'uomo non è simpatico: è «Dick dei trucchi», non ama gli intellettuali, il che non gli ha impedito di adoperare Kissinger; domani, a sua volta, potrebbe maturare vendette. Ma chi, come noi, non si lasciò trascinare nella follia Goldwater (e non perché credesse all'inesistenza del noyautage comunista) farà bene a mettere in guardia i suoi amici americani contro ogni tentazione di fare di «Watergate» un «Goldwaterismo alla rovescia ». Aldo Garose!

Luoghi citati: America, Cambogia, Cina, Cuba, Vietnam, Washington