Buonaiuti, cristiano antico

Buonaiuti, cristiano antico RITRATTI DAL TACCUINO DELLA MEMORIA Buonaiuti, cristiano antico Appare assurdo il tentativo di farne un precursore del papato giovanneo: era uno spirito fuori del tempo, e da questo anacronismo traeva il suo fascino - Le qualità umane, la matrice culturale e le scelte politiche dello "scomunicato" Nina, la nostra domestica milanese degli Anni Trenta, era cattolicissima, praticante, forse un tantino bigotta. Comperava ogni domenica L'Italia ed ogni settimana il Pro familia. Andava a messa tutti i giorni e forse pregava per noi. Mamma, perciò, si credette in dovere di avvertirla, e quasi di congedarla, un mattino che la sera avremmo avuto a cena Ernesto Buonaiuti. Non voleva, Mamma, ferir la devota e affezionata domestica nei suoi sentimenti più profondi. A tutta prima, Nina credette che si trattasse di servire in tavola un prete spretato. Cercammo di farle capire a fatica che Buonaiuti non era un prete spretato, ma uno scomunicato vitando: un uomo, per ordinanza ecclesiastica e disposizione concordataria, posto al bando della società civile non meno che della società religiosa. La domestica ebbe l'impressione, forse il ribrezzo, ma anche la spaurita curiosità, di trovarsi di fronte al Diavolo. Scherzosamente, del resto, fra noi e con gli amici antifascisti ci si divertiva a chiamar Buonaiuti Solanone, e la Nina può darsi avesse inteso e colto sulla nostra bocca il nomìgnolo. Una sera lontana Comunque, senza scomporsi, e ritenendolo anzi un atto e un dovere cristiano, accettò di servire la cena. E durante il pasto continuò ad osservar Buonaiuti, quasi a mangiarselo con gli occhi, in un atteggiamento fra l'intimidito, il divertito e l'incantato. La voce, la gentilezza, la sorridente affabilità e semplicità di Buonaiuti disarmarono a poco a poco ogni perplessità della donna. Anch'essa ne subì, come suo malgrado, e nonostante l'intenzionale, iniziale resistenza, il fascino; e la mattina dopo confessò senz'esitazione a mia madre che quel presunto Diavolo era troppo umano e cortese, troppo ilare e « signore », per non essere un buon cristiano. Il tratto di Buonaiuti che più ricordo, e che i suoi libri disgra¬ ziatamente meno o punto rivelano ai lettori superstiti (dubito, invero, siano molti o parecchi, e soprattutto « disinteressati » e non tecnici), era, invero, questa serena umanità, questa sorridente gentilezza, l'eleganza del tratto, l'affettuosità del porgere e della voce: soprattutto quando s'indirizzava agli umili. Più che convincere, direi che voleva, e sapeva, vincere, cioè cattivare e quasi catturare l'interlocutore, istituire un immediato rapporto, lasciar il suo segno, farselo amiro. E smentire, implicitamente, così le voci, le accuse o le calunnie che circolavano sul suo conto, quasi a giustificar non soltanto il provvedimento della scomunica, ma il bando dalla vita civile (su cui, fra parentesi, aveva soprattutto insistito la Chiesa, esigendo, ben prima dell'appiglio concordatario, la sua rinunzia alla cattedra, la sua rinunzia a scrivere, a pubblicare e a parlare). Scrivere e pubblicare, ho detto: in realtà, scrivere e pubblicare non erano, per Buonaiuti, se non i sinonimi, o l'alternativa, del parlare. Perciò la lettura talvolta riesce fastidiosa e "sgradevole per quel che di eloquente, di predicatorio e. di gonfio e turgido agita e non sempre anima lo stile, per quel difetto di goethiana ruhige Bildung, che sempre, né a torto, gli rimproverarono Croce e i crociani. Ma il parlatore era inarrivabile. Si sarà, anche lui, preparato, o addirittura « studiato ». E non già solo nel senso che la conferenza o lezione era in effetti assai accuratamente preparata, con gran dovizia di testi analizzati e di citazioni raccolte, le dicesse a memoria o ne desse lettura da un foglietto di appunti: ma nel senso in cui l'attore di volta in volta studia e prepara la sua parte, inventa o trova o scopre anche i moduli espressivi, le inflessioni, gli atteggiamenti e le nuances; uguale, perciò, sempre e sempre diverso, nella misura in cut è libero dalla servitù mnemonica e dal gestire stereotipato. Così era, appunto, di Bonaiuti, la cui eloquenza non era mai accompagnata dal dimenarsi dell'oratore e dai pugni sul tavolo (fosse pur la cattedra filosofica di Giovanni Gentile...), ma era tutta, sempre e solo governata da una sapiente discesa ed ascesa di toni, da un'abilità magistrale di « attacco », sì da creare d'un subito l'atmosfera, in cui immergere l'uditorio, in cui creare un ambiente e uno sfondo a tutto il suo dire. Anti-protesiante Ernesto Buonaiuti aveva, probilmente, come gli studi successivi hanno provato, più ragione che non paresse al suo pubblico, ai suoi critici e lettori degli Anni Trenta, nel rivendicar la presenza d'una spiritualità asiatica, o d'una comune spiritualità mediterranea, nei tragici greci, interpretati serbandosi ugualmente lontano dalla critica estetica e dal tecnicismo teatrale. Comunque, la restaurazione del valore spirituale di Eschilo era già implicita nei toni profondi e terribili dell'inizio, nella rievocazione e citazione dell'epitaffio: «Questo tumulo chiude Eschilo... ». L'assoluta sincerità dell'assenso spirituale, o della condanna spirituale, parlasse di Eschilo o di Lutero, di Giovacchino da Fiore, di San Tommaso o di Pascal rendeva effettivamente pericoloso Buonaiuti, perché riuscivano immediatamente convincenti le verità impopolari o le tesi eretiche del suo dire; perché la sua parola risultava l'espressione d'un'intima coesistenza con ogni forma, appunto, di spiritualità. La sua, non conformistica, philosophia perennis era appunto in questo suo senso della continuità spirituale: tanto più conformistica, tuttavia (fossero stati, i suoi censori e persecutori, un poco più accorti e più storici), in quanto era spiritualità mediterranea. In quanto, cioè, Buonaiuti era uomo mediterraneo, e quindi romano, e quindi, necessariamente, anti-protestante ed anti-anglosassone. L'epigono, pertanto, dell'educazione ecclesiastica e della cultura italiana dell'Ottocento, anteriore all'unità e alla successiva moda germanica. Il suo ultimo autore fu Gioberti, o Mazzini. Gioberti, perché assertore del primato d'una religiosità mediterranea ed italica, ininterrotta dai riti, poi cristianizzati, del paganesimo primigenio o « pelasgo » al millenarismo gioachimita e francescano. Mazzini, perché assertore d'una soluzione religiosa del nostro problema nazionale, sola capace d'impedir che l'Italia scadesse fra le secche d'un mero politicismo e statalismo, di cui avrebbero variamente profittato, o in cui avrebbero variamente battagliato, ma sempre e meramente sul piano della politica e dei partiti, anche le masse proletarie e gli organizzatori delle masse cristiane. Formatosi in un'era di scientismo razionalistico e di cultura idealistico-germanizzante, Buonaiuti rovesciò d'un colpo e per sempre queste ch'egli giudicava remore alla progressiva illuminazione mistica e cristiana tanto dello Stato quanto della Chiesa. Donde la sua costante avversione, pur nelle non mai smentite sue simpatie socialiste, allo stesso partito di Turati e di Matteotti, cui rese religioso omaggio nel tragico giugno del '24, ai partiti politici in genere, ma più specialmente ad ogni istituzionalizzazione politica e partitica dei « cristiani », fosse l'organizzazione di Romolo Murri, fosse il partito popolare di don Sturzo, fosse la democrazia cristiana di De Gasperi. Né senza un significato profondo unico fra i pontefici del tempo suo venerò il Papa sotto cui nacque, Leone XIII, per la carica e l'aureola di « romanesimo » (e di umanesimo) che si sprigionava da quel vegliardo (ne restarono conquisi anche Pascoli e D'Annunzio), non avvertendo, o non volendo avvedersi, di quanto politico e diplomatico e temporale pur fosse quel pontificato, comunque assai più prossimo ch'egli non pensasse al pontificato di Pio XII. Questi, invero, parve a Buonaiuti esasperare le tendenze corruttrici del temporalismo e patteggiare con Satana e quasi te¬ mere, o voler temperare, la necessaria espiazione. Precorse, quindi, Hochhut e i nostri provinciali « sinistrorsi » nel condannare, subito e senza mezzi termini, la presunta passività o moderazione della Santa Sede, anche dinanzi al massacro delle Fosse Ardeatine. Non che Buonaiuti fosse politicamente attivo, pur nel suo fermo antifascismo di professore non giurato: perché la sua temperie non era quella, e potè quindi, senza intima contraddizione, in quegli anni medesimi rifiutare il giuramento; subire angherie, vessazioni e molestie poliziesche; polemizzare con Croce e con Omodeo; insorgere contro il clero anglicano e in favore della guerra d'Etiopia. Egli era dove credesse di scorgere un barlume o un avvio di associazionismo carismatico e di rinascita cristiana, o dove fosse da combattere il nemico, entro e fuori la Chiesa, di quella spiritualità. La rivelazione Mentre oggi è frequente il proposito di analizzare quanto di suo e di « modernistico » sia in effetti penetrato, e sia ora permesso, in ambito ecclesiastico, quasi ad « attualizzare » Buonaiuti e un suo presunto « precursorismo » del papato giovanneo e del Concilio Vaticano II, Buonaiuti ci appare, invece, e in realtà, una sorta di unicum, di anacronismo storico (affatto a prescindere dall'intrinseco valore della sua opera storiografica e del suo stimolante magistero universitario). Era non solo fuori del suo tempo, ma fuori del tempo. Rappresentava un dover essere, una rivelazione cristiana. E trasmutava, perciò, nel profondo, tutti coloro che s'imbattessero in lui. Mi basterebbe, a conferma, il ricordo e l'aneddoto della mia domestica milanese, non fosse stata la più frequente sulle sue labbra, delle sentenze cristiane, quella che ai primi fedeli comandava: « Hai veduto nel volto del tuo fratello il volto del tuo Dio. Prostrati e adora... ». Piero Treves

Luoghi citati: Etiopia, Italia