Candidati democratici spiati da agenti dell'Fbi per Nixon di Vittorio Zucconi

Candidati democratici spiati da agenti dell'Fbi per Nixon Nuove rivelazioni sul caso Watergate Candidati democratici spiati da agenti dell'Fbi per Nixon Ufficialmente dovevano proteggerli durante la campagna elettorale - Dopo gli sviluppi dello scandalo, il Presidente e i collaboratori preparano una replica (Dal nostro corrispondente) Washington, 10 agosto. Mentre Richard Nixon prepara nel «ritiro» estivo di Camp David la sua controffensiva televisiva (parlerà a metà della prossima settimana, pubblicando anche un libro bianco) una nuova rivelazione della Washington Post ha attizzato lo scandalo Watergate, schiudendo ancora un poco il «terribile vaso di Pandora» come lo definisce lo stesso quotidiano. Alcuni agenti dell'Fbi incaricati ufficialmente di «vegliare» sui leaders democratici durante la campagna elettorale lavoravano per lo staff del presidente, fornendo agli uomini della Casa Bianca (Haldeman e Dean soprattutto) rapporti e informazioni illecite sulla attività degli avversari di Nixon. Due giornalisti investigatori del giornale della capitale hanno messo te mani su 24 dossiere segreti, classificati come « ultraconfidenziali », che vanno dal gennaio '71 all'ottobre '72 e contengono i rapporti degli agenti Fbi al servizio dello staff presidenziale. George McGovern ed Edward Muskie, insieme coi loro più stretti collaboratori, sono stati le vittime di questo speciale trattamento. Nei dossiers si descrivono ad esempio visite compiute da McGovern a «noti esponenti sovversivi» (notizia rivelatasi oltretutto falsa) e contatti di Muskie con esponenti dei produttori agricoli e dell'indu¬ stria di alcuni stati federali. La rivelazione è clamorosa (seppur non più di altre) ma l'attenzione del pubblico americano sembra ormai tutta tesa verso l'imminente discorso televisivo di Nixon, soprattutto dopo che il vicepresidente Agnew, accusato ieri l'altro di corruzione, estorsione ed evasione fiscale, ha già parlato replicando prontamente e duramente alle «maledette falsità» della stampa. La virulenta reazione di Agnew, che ha scelto dunque tutt'altra tattica rispetto all'attendismo di Nixon, avrebbe irritato il presidente. In un incontro a quattr'occhi, durato quasi due ore, Nixon ha, secondo la Washington Post, rimproverato aspramente il suo vice, accusandolo di aver ancora aggravato le sue difficoltà con una linea difensiva cosi diversa e demagogicamente efficace nella sua schiettezza («Non mi lascerò infilzare allo spiedo da voi» ha detto Agnew ai giornalisti). Per di più il vicepresidente sembra deciso a scendere, in lotta con la stampa ad armi pari e a consegnare tutti i documenti che gli venissero chiesti, rinunciando cosi ai privilegi e alte immunità che gli derivano dalla carica e che invece rappresentano il bastione dietro il quale Nixon si trincera dal giorno delle prime rivelazioni. L'atteggiamento di Agnew, che pare più in sintonia con la mentalità tipica dell'americano, rappresenta evidentemente un precedente pericoloso per Nixon che continua a non voler rendere pubblici i famosi nastri magnetici. Nel complesso, sembra comunque un weekend di attesa questo che l'America vive a proposito dello scandalo Watergate: tutte le parti hanno mosso te loro pedine, Ervin presso la magistratura, Agnew maledicendo quella stampa che non ha mai amato, Nixon preparando con tutto il gruppo dei suoi collaboratori il discorso di replica, la Washington Post aggiungendo una nuova rivelazione al castello dello scandalo. E a questo weekend di meditazione il New York Times ha voluto apportare malignamente un soggetto di riflessione, proponendo in un editoriale il confronto fra il memorandum difensivo degli avvocati di Nixon e te leggi americane, confronto naturalmente, sfavorevole al primo. I legali del presidente negano ad esempio, come ovvio, che Nixon sia il deus ex machina del caso Watergate ma ammettono che egli abbia partecipato a conversazioni sullo scandalo «prima» che scattassero le varie inchieste. Ebbene, aggiunge il New York Times, secondo il codice statunitense, capitolo 18 comma 4, «chiunque sia a conoscenza di qualsiasi reato e non ne informi al più presto le autorità è passibile di varie pene». Vittorio Zucconi

Luoghi citati: America, Washington