Pasta, nessun rincaro di Carlo Casalegno

Pasta, nessun rincaro Un compromesso tra i ministri e gli industriali Pasta, nessun rincaro I pastai si sono impegnati a rispettare il blocco dei prezzi e a rifornire regolarmente il mercato - Neanche il pane aumenterà - Il governo ha confermato l'arrivo di due milioni di quintali di grano dagli Stati Uniti e ha dato garanzie per le semole - Controllo prezzi: multe di cinque, di sei e di dieci milioni a tre pastifici Le incognite d'un successo Il giudizio comune che il secondo centro-sinistra abbia avuto una buona partenza è condiviso da Fanfani, protagonista massimo di quest'operazione politica: parlando con Giovanni Trovati ha riconosciuto senza trionfalismo, quasi cedendo a una gioiosa sorpresa, che nelle ultime settimane la funzionalità del governo e delle Camere ha favorito «un nello miglioramento psicologico, più rapido di quanto si potesse immaginare». Ma subito ha aggiunto, con ragionevole cautela, che «si tratta di confermare quest'avvio»: la scossa psicologica deve tradursi in misure concrete per la soluzione dei problemi, e il capitale di fiducia dev'essere adoperato per uscire dalla crisi in modo meno precario. Sul successo del governo rimangono due incognite. La prima è politica: occorre ch'esso non perda la compattezza interna, l'unanimità d'intenzioni se non d'opinioni, e che possa contare anche in autunno sull'energia del Parlamento, sul realismo dei sindacati, sull'«opposizione diversa» del pei. La seconda, anche più importante, è al tempo stesso economica, politica e psicologica: dipende dai risultati della lotta contro l'inflazione. Il blocco parziale dei prezzi è servito da scossa salutare, deterrente provvisorio contro gli speculatori, iniezione di fiducia; ma da solo non basta, né assicura effetti positivi a lunga scadenza. Dietro i negozianti, i più esposti ai controlli, ci sono i grossisti e i produttori, e dietro ancora c'è il mercato internazionale, che non obbedisce ai calmieri. L'impennata italiana dei prezzi ha avuto cause interne ed esterne, prossime e remote; ed ha rivelato come un'economia moderna sia esposta a rischi antichi e nuovi, alla scarsità simultanea di pane e di petrolio. Per «tirarci fuori dall'inflazione», come dice Giolitti, non è sufficiente la sorveglianza dei prefetti; occorrono scelte politiche coerenti, capaci d'imporsi ai gruppi di pressione più forti, e anche impopolari. Le vacanze sono un tempo di tentazioni e di spese che non prepara all'austerità, ma offrono al governo un vantaggioso periodo di tregua. Le scadenze difficili arriveranno in settembre, quando si dovrà — dice ancora Giolitti — «consolidare una ripresa non drogata dall'inflazione». Allora toccherà al governo decidere sull'aumento delle pensioni, degli assegni familiari, del sussidio ai disoccupati e, pur accantonando le riforme ambiziose, almeno su alcune misure di rilancio dell'edilizia e degl'investimenti nel Mezzogiorno; e ci sarà il rischio, se i prezzi continueranno a crescere, di nuove rivendicazioni salariali. In quel periodo, verso la fine dei «cento giorni», si vedrà se l'alleanza di centro-sinistra mantiene le sue promesse. Per ora le prospettive non sono scoraggianti. La garanzia che a Ferragosto non mancheranno né pasta né benzina può essere interpretata come il segno che nessuno vuole una prova di forza. Il contrasto fra il Tesoro e i sindacati sull'opportunità d'affrontare globalmente o singolarmente le vertenze del pubblico impiego non va drammatizzato: anche le confederazioni paiono accettare il principio di La Malfa che le casse dello Stato non debbono più essere «un colabrodo». Le proteste di settori scontenti non dovrebbero condurre a scioperi nei servizi pubblici. E' piuttosto nel mondo politico che si scorge qualche ragione d'inquietudine: screzi nell'alleanza quadripartita, e all'interno della de risveglio di attriti dopo una tregua troppo breve. A un mese e mezzo dal congresso, la destra e la sinistra democristiana hanno avuto sortite polemiche dagli obbiettivi incerti, ma comunque preoccupanti. Mentre Andreotti e Forlani mantengono un silenzio disciplinato se non convinto, l'ex-scelbiano Elkan con il pretesto dell'anticomunismo ha rivolto al governo un «avvertimento», che equivale a una parziale sfiducia eu e che qualcuno interpreta come un primo tentativo di pressione conservatrice. All'ala opposta, Donat-Cattin ha mosso un duro attacco contro il «potere personale» di Fanfani e indicato con parole oscure il pericolo d'un «repentino cambiamento di linea politica» legato alla vocazione integralista del partito. Ma c'è discordia anche nel maggior alleato della de. Precedendo di qualche ora Elkan e Donat-Cattin, l'onorevole Mancini ha ribadito le riserve della minoranza socialista verso il ministero; forzando la polemica fino all'irresponsabilità, ha minac¬ ciato addirittura di mettersi alla testa d'una possibile rivolta nel Mezzogiorno, sacrificato dal programma governativo. E sembra riaffiorare il dissenso appena sopito tra socialisti e socialdemocratici: perché Cariglia avrebbe ripetuto ancora una volta, dopo Fanfani, che «si può fare a meno del contributo comunista» se non per ribadire il sospetto di tentazioni frontiste tra i cugini del psi? Non conviene sopravvalutare l'importanza delle voci discordi in una coalizione che copre i due terzi dello schieramento politico; ma non si deve nemmeno dimenticare che senza una franca e responsabile concordia il centro-sinistra non può affrontare con speranza di successo le scadenze d'autunno. E il fallimento rischierebbe d'aprire una crisi di regime, Carlo Casalegno

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