Le bolge della "cintura,, di Sandro Viola

Le bolge della "cintura,, LUNGO VIAGGIO DENTRO IL PIEMONTE Le bolge della "cintura,, I Comuni che circondano Torino sono diventati sacche sottoproletarie caratterizzate da abitazioni malsane, sovraffollamento, traffico pazzesco, bambini che lavorano a domicilio - Qui si è versata, negli ultimi ventanni, l'alluvione dei 900 mila immigrati giunti dall'Italia povera - Se in essi c'è frustrazione e rivolta, nei piemontesi c'è nostalgia per il loro mondo scomparso Orbassano, agosto. La prosa del vigile urbano (V « accertatore ») che ha redatto questi rapporti, ha l'essenzialità d'un buon testo letterario. Inviato dal Comune e dall'Ufficio di Igiene di Orbassano a verificare le condizioni di abitabilità di una serie di alloggi dove si ammassano decine di famiglie meridionali dell'ultima immigrazione, il vigile ha messo insieme pezzo a pezzo un documento tra i piti significativi di quelli che già esistono sulla cosiddetta « cintura » di Torino. Man mano che il sindaco di Orbassano, Gattini, me li porge, scorro e appunto su un quaderno una decina di rapporti. In testa al foglio c'è il nome della famiglia, accanto l'indirizzo dell'abitazione. Segue l'elenco delle persone che vi alloggiano, quindi il numero delle stanze e il tipo dei servizi, infine c'è un rigo di «conclusioni». Qui, alle conclusioni, la prosa del vigile svela un suo sorprendente vigore. «E' uno spettacolo desolante», si legge in un rapporto, « vedere in che modo vive questa famiglia ». In un altro (dove l'alloggio è così descritto: « Basso fabbricato, ex stalla, da cui è stato ricavato uno stanzone di 6 m per 5 m, gabinetto sprovvisto di acqua»A le «conclusioni» sono ancora più drastiche: «Sembra impossibile che una famiglia possa vivere qui ». Qualità di vita Quest'articolo, in fondo, potrebbe essere composto dei soli rapporti del vigile di Orbassano. Messi uno dietro l'altro, magari tentando un effetto di « crescendo », i rapporti formerebbero una testimonianza definitiva sulla «qualità della vita» nei comuni attorno a Torino. Due motivi sconsigliano, tuttavia, un simile esperimento di « giornalismo-verità». Il primo è che i rapporti, anche se numerosi, non darebbero un'idea esatta delle proporzioni e della natura del fenomeno. Le abitazioni di Orbassano dichiarate malsane dall'ufficiale sanitario sono circa centotrenta, cifra che — coinvolgendo cinque o seicento persone — è già di per sé impressionante. Ma la gravità della situazione non si esaurisce qui: ci sono infatti centinaia di altri alloggi che hanno sì i requisiti richiesti dall'Ufficio d'Igiene, ma risultano tanto affollati da costringere chi vi abita alle promiscuità che due decenni addietro (quando le scoprivamo nei « bassi » napoletani, nei quartieri poveri di Palermo) già definivamo «indegne d'un Paese civile». Il secondo motivo che sconsiglia di utilizzare — per descrivere le condizioni di vita nella «cintura» torinese — soltanto i rapporti del vigile di Orbassano, è che in questo modo il lettore non avrebbe a disposizione qualche necessario dato di confronto. Per esempio il dato che ci indica come Torino sia quasi la provincia più ricca d'Italia, la seconda nella classifica nazionale, il cuore dell'industria metalmeccanica. Contro lo sfondo di tanta prosperità la realtà dei « bassi » della « cintura » si riempie dei suoi giusti significati, e le migliaia di uomini, donne e bambini che li affollano finiscono col personificare quella condizione di «prodotto secondario delle strutture industriali» di cui parlano i sociologi. Né, si capisce, le situazioni descritte dall'«accertato- re » di Orbassano sono una eccezione, una sventura capitata di colpo e casualmente a questo paese informe, attraversato da un traffico pazzesco, certo uno dei luoghi più squallidi d'Italia. No: le stesse condizioni si ritrovano infatti in tutti i ventitré comuni della « prima cintura » di Torino, e già si vanno spandendo — col movimento «a macchia» delle epidemie — ai ventinove comuni della « seconda ». Poche cose possono essere così monotone come una serie di colloqui coi sindaci di questi paesi. Tutto è sempre identico. Identici gli umori (il vago senso d'impazienza, quasi un'ostilità, con cui accolgono l'inviato di quella « grande stampa indipendente » che solo da poco, bisogna dirlo, va scoprendo i problemi scaturiti dalla congestione industriale), identiche le cifre o meglio il loro significato. Grugliasco aveva dieci anni fa 13.000 abitanti e ora ne ha 30.000; Settimo Torinese è salita da 16.000 a 43.000; Orbassano da 8600 a 17.000; Nichelino da 14.000 a 44.000. Né la situazione (questo improvviso, assurdo rigonfiamento degli abitati) è diversa a Moncalieri, a Rivoli, a Rivolta, a Beinasco, a Collegno. Sono i paesi dove si è riversata l'alluvione degli 8900.000 immigrati giunti in Piemonte, negli ultimi vent'anni, dall'Italia povera. Investita prima Torino, saturatala sino a sformarne il volto, a decine di migliaia gli immigrati hanno poi proseguito verso la « cintura » facendo di questi paesi un tempo verdeggianti, immobili, le bolge scomposte e fragorose di oggi. 404.507 persone sono venute nel decennio '61'71. Quelle che non hanno trovato da abitare a Torino, nei palazzi di via Artom, di Mirafiori Sud, delle Vallette, o nelle soffitte e negli alloggi « a lettini » del vecchio centro, hanno cercato dì sistemarsi nei comuni vicini. Negli appartamenti costruiti dagli speculatori e affittati da altri speculatori, quando la famiglia disponeva di almeno due salari, quel che occorre per poter pagare le 60-70.000 lire che vengono richieste per due-tre stanze e monoservizi. Nelle cascine, stalle comprese, quando il salario era uno solo e non permetteva di pagare per l'alloggio più di 25-30.000 lire. Monotoni, dunque, i discorsi dei sindaci (scoppio delle strutture scolastiche e delle attrezzature sanitarie, trauma della viabilità, inoperosità delle leggi sull'edilizia popolare), monotone le visioni. Non fossero le scritte di «W la Juventus», il falansterio di Borgata Santa Maria 26 a Moncalieri ricorderebbe le case fatiscenti dei pescatori di Taranto vecchia. In via Trieste, a Orbassano, una famiglia di quattro persone ha tentato l'altro giorno di rientrare nell'unica stanza — un grosso loculo dipinto di verde, il gabinetto nel cortile — dove aveva abitato per due anni: trasferitasi 6 mesi fa in un appartamentino, la famiglia ha capito che non sarebbe riuscita a pagare l'affitto salvo che rinunciando a nutrirsi, e allora si è presentata con le masserizie dinanzi a questo « basso » che mi hanno condotto a visitare. I quattro (padre, madre e due figli) volevano riprenderne possesso, hanno strepitato e persino pianto, ma l'ufficiale sanitario non ha dato l'autorizzazione. Triste inventario Un inventario di tali situazioni potrebbe andare avanti, volendo, per molte pagine. Solo che si somigliano troppo l'un l'altra, per cui quando se n'è descritta una è come averle raccontate tutte. Così, basterà dire che la « qualità della vita » — la cattiva qualità della vita — d'una gran parte degli immigrati che abitano in questi paesi (della massa, cioè, addensatasi intorno all'industria-pilota torinese e alle quindicimila ditte «fornitrici ») è sostanzialmente omogenea, e non varia che per qualche dettaglio. Il problema della congestione del traffico, per esempio, è più acuto a Nichelino che altrove, a Grugliasco è più grave quello della casa (8000 persone in alloggi vecchi, sovraffollati, privi o quasi di servizi), a Settimo c'è il fe¬ nomeno dei bambini che lavorano a domicilio. Lavorano, mi racconta una assistente sociale del comune, tre o quattro ore al giorno, ogni giorno, montando penne a sfera. Il compenso è di cinquecento lire, il contraccolpo sul rendimento scolastico diretto e nettissimo. Svogliatezza, sonnolenza, nervosismo. L'assistente sociale parla un suo linguaggio piuttosto fastidioso, estremamente specialistico, ma qualcosa riesco a capirla 10 stesso. Per esempio che la mancanza di palestre non consente di far fare più dì mezz'ora di ginnastica alla settimana, che l'intasamento degli alloggi, la scarsità di spazi verdi conducono il bambino a « non saper usare 11 proprio corpo », che la maggioranza dei figli di ■meridionali di immigrazione recente appare « disturbata ». Poi viene fuori l'episodio della fine dello scorso anno scolastico, uno scoppio improvviso (ma non certo casuale, anzi) di violenza, qualche decina di ragazzi delle medie che si mettono a rompere tutto, spaccano vetri, rovesciano banchi: una storia da brividi. Il Piemonte è anche questo, il fenomeno della grande immigrazione e le sue conseguenze: le sacche sottoproletarie, e il modo brutale, malinconico, in cui larghi tratti della regione hanno visto dissolversi (se non addirittura cancellata) la loro fisionomia originaria. Un pomeriggio sono entrato in un bar di Grugliasco in tempo per assistere a una di quelle scene-sintesi che valgono, a volte, la larga esperienza d'una certa situazione. La lite tra due donne, una cliente e la padrona del bar, tutt'e due siciliane, una di Enna e l'altra messinese. Urla, giuramenti, minacce, la gestualità esasperata del sud, le teste scarmigliate, i visi paonazzi. Subito, intorno alle due donne (prima nello stesso bar, poi dinanzi all'ingresso), s'era radunata gente. Chi interveniva a favore dell'una, chi dell'altra, e questo in un impasto di dialetti meridionali, in una girandola di gesti simili a quelli delle due litiganti. Dov'eravamo, che Piemonte era quello? Si capisce, l'atteggiamento contro l'antimeridionalismo di tipo razzista di cui spesso, in questi anni, molti piemontesi hanno dato prova, dev'essere fermissimo. Soprattutto, non è accettabile che si parli dei fenomeni lievitati dopo le grandi ondate d'immigrazione (la prostituzione, la delinquenza) evitando dì dare un qualche rilievo alla vicenda sociale, alle condizioni di vita degli immigrati che vi si trovano coinvolti, e a quelle che sono le fatali conseguenze di una urbanizzazione « selvaggia ». Ma è giusto lasciare ai piemontesi la tristezza, la nostalgia per il loro mondo scomparso. Sandro Viola

Persone citate: Gattini, Rivolta